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 2010  dicembre 14 Martedì calendario

Il Cavaliere vede la corsa alle urne - Tocca sempre a Gianni Letta riferire i messaggi spiacevoli del capo

Il Cavaliere vede la corsa alle urne - Tocca sempre a Gianni Letta riferire i messaggi spiacevoli del capo. E lo ha fatto anche ieri con Gianfranco Fini («Berlusconi non vuole dimettersi, la vostra proposta è considerata irricevibile, anzi vi chiede di votare la fiducia»). E ha allargato le braccia, come ha dovuto fare tante altre volte in questi ultimi mesi di calvario: il Gran Ciambellano di Palazzo Chigi a tentare strenuamente la ricucitura mentre i duellanti si mandavano pesantemente a quel paese. Odiandosi. «Sì, perché ormai qui la politica non c’entra più nulla: è solo una questione di odio», spiegava il ministro Altero Matteoli in Transatlantico, precisando però che questo sentimento non appartiene al Cavaliere. E’ solo di Gianfranco nei confronti di Silvio. Ed eccoli i due a pochi metri l’uno dall’altro ignorarsi. Il premier, con la cravatta blu e il logo tricolore del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, che non lo ringrazia per avergli dato la parola, come da consuetudine. Calato dentro uno «scafandro» (il copyright è di Fabrizio Cicchitto) per non gridare ciò che ha in gola e non dire tutto il male che pensa di «quello» seduto pochi metri più su. Anzi apre a rimpasti, alla riforma della legge elettorale, parla di patto di legislatura e di quanto possa servire per evitare l’epilogo tragico di una lunga comunanza politica. Chi lo conosce bene spiega che ieri in Parlamento Berlusconi si è infilato dentro un’armatura psicologica, rimanendo freddo, come gli capita quando il momento è veramente difficile. Eppure era nero dopo avere incontrato i finiani Moffa, Urso e Ruben che gli chiedevano di dimettersi dopo la fiducia al Senato e salire al Quirinale per ottenere un reincarico immediato. «Queste sono alchimie che non mi appartengono, che la gente non capirebbe. E’ una provocazione di Fini. Non abbocco alle sue trappole». Il premier infatti ha subito capito che in questo modo il leader di Fli ha voluto blindare i voti delle colombe finiane incerte. Avrebbe detto loro: va bene, facciamo questo estremo tentativo, ma se Berlusconi dice no allora voi dovete votare la sfiducia. Il niet del presidente del Consiglio ha chiuso il cerchio, mettendo di nuovo nell’assoluta incertezza il voto di oggi. A Moffa, Urso e Ruben tuttavia non ha detto subito che non c’è più nulla da fare. Anzi ha risposto che ci avrebbe pensato ed è tornato in aula scuro in volto. Poi ha riunito lo stato maggiore del Pdl e ha chiesto ai ministri e ai maggiorenti del partito cosa ne pensassero. La reazione è stata unanime: è una proposta assurda, tardiva. «Ma siamo impazziti?», è intervenuto Cicchitto. Angelino Alfano ha osservato che un minuto dopo le dimissioni Fini e Casini tirerebbero sempre più su l’asticella delle richieste. Stesso concetto di Frattini e Fitto. La Russa ha osservatoche accettare le dimissioni significherebbe consegnarsi al diktat dei partiti e rinnegare l’investitura popolare. Intanto Bossi chiudeva già porte e finestre, lasciando presagire le urne. La sensazione che saranno le elezioni il risultato vero della giornata di oggi è diffusa tra i ministri. Ne parlavano ieri pomeriggio le tre ministre Gelmini, Prestigiacomo e Carfagna mentre si avviavano insieme verso la buvette. La Prestigiacomo si chiedeva come sarà possibile approvare con unodue voti di maggioranza il decreto sui rifiuti (Napoli ne è ancora sommersa) che arriverà in aula già domani. Il loro collega Rotondi, nonostante abbia rotto in tempi non sospetti con l’Udc, è convinto che se la maggioranza avesse pochi voti di sopravvivenza bisognerà fare ponti d’oro a Casini. Addirittura proponendo un patto elettorale che preveda chi andrà al Quirinale e chi a Palazzo Chigi. A Berlusconi la prima destinazione; a Casini la seconda. Anche Berlusconi ha confidato che sarà difficile evitare le urne. Ma prima farà di tutto per allargare la maggioranza. E’ convinto che adesso quella del leader dell’Udc sia solo tattica. Mostra il volto duro, ma poi si ammorbidirà. Ci vorrà un periodo di rodaggio, una sorta di appoggio esterno, votando alcuni provvedimenti. In questo modo Bossi lo potrà considerare affidabile e accettare di aprire ai centristi. I quali però dovranno approvare il federalismo. Le offerte di Berlusconi potranno essere ministeri e sottosegretari, il quoziente familiare e altre leggi eticamente sensibili care al Vaticano. Sono tutti conti senza l’oste. Il quoziente familiare intanto costa una montagna di soldi (al ministero dell’Economia viene quantificata in 8 miliardi). E dove vanno a trovarle tutte queste risorse?