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 2010  dicembre 12 Domenica calendario

EMMA DANTE MILANO

Una niña mala, la chiamerebbe Mario Vargas Llosa, che sull´avvincente prototipo della «ragazza cattiva» ha scritto un bellissimo romanzo. La definizione si addice alla regista Emma Dante. Cattiva perché amante delle sfide, delle corride e delle irriverenze. Cattiva perché intrepida e sanguigna. Ha una bella faccia da donna del Sud, questa niña mala siciliana, uno di quei volti antichi e severi che sembrano avere visto tutto e che non temono gli affondi nella malinconia. La striscia della sottile ciocca bianca che spezza la continuità castana dei capelli è una virgola stregata, l´esclamazione della propria unicità, un modo di dire «io». Si offre all´incontro davanti a un caffè, nel fasto silenzioso della hall di un albergo milanese, a pochi passi dalla Scala, mentre all´esterno sfavilla lo shopping natalizio sospinto da stormi concitati di turisti giapponesi. Come in controvento rispetto al clima consumistico là fuori, Emma riferisce: «Poco fa, al bar della stazione, mi sono incantata a osservare una vecchietta che mangiava sola e triste. Certi esseri sperduti e marginali sembrano ancora più dispersi e vaghi nei giorni di festa».
È ai reietti, ai borderline, ai clandestini, a quelli che si fanno sfruttare, a chi prostituisce il corpo per poter campare, che quest´acclamata e discussa protagonista del teatro europeo dedica le sue messe in scena fragorose e visionarie. Accolta sempre con eccitazione e polemiche in Italia (per ogni sua creazione c´è chi loda e chi inveisce), premiata da una pioggia di riconoscimenti («ora mi danno pure una laurea honoris causa a Macerata»), prodotta all´estero da istituzioni importanti quali il teatro parigino di Rond-point, Emma vive nell´assedio di progetti e impegni: «Sto lavorando a un nuovo spettacolo, La trilogia degli occhiali, che debutterà a Napoli il 25 gennaio prima di una lunga tournée che toccherà tra l´altro Roma, Milano, Parigi e Mosca. Tutti mezzi cecati, e dunque occhialuti, i personaggi che ne animano le tre parti sono emblematici di tre gruppi socialmente scomodi e fragili: i poveri, i malati e i vecchi. Li guardo con empatia, senza nulla di pietistico o di lamentoso. Per questo vi ho costruito intorno tre storie d´amore. Quella di un ex marinaio innamoratissimo del mare, quella di un catatonico che emerge dalla propria oscurità per dirci cos´è la sua vita e quella di una vecchietta che balla a ritroso il suo passato tirando fuori dai bauli fantasmi e ricordi».
Nel frattempo la ragazzaccia viene consacrata al rango di classico da Rizzoli, che con l´etichetta della Bur sta per pubblicare la sua opera omnia drammaturgica, molto ammirata da Andrea Camilleri: «Sarà una raccolta di testi che rappresentano il mio intero percorso teatrale, e vi sarà inclusa anche la Trilogia della famiglia, ovvero mPalermu, Carnezzeria e Vita mia: tre pezzi che raccontano esterni e interni palermitani con soglie impossibili da varcare, vicende buie della città tradotte nel suo linguaggio, famiglie di carne da macello attraversate da foghe compulsive». Intanto alla Scala, nell´ottobre scorso, ha riallestito la sua Carmen, che nel 2009 segnò l´esordio nella lirica, suscitando sfrenati entusiasmi e accesi dissensi o persino anatemi (da parte di Zeffirelli, che parlò di un´opera del demonio) per la sua temperatura rovente e iper-passionale: «È uno spettacolo miracoloso», sostiene lei. «Ha un´autentica capacità, confermata a ogni ripresa, di accogliere il pubblico e gli artisti. Per questo sarà rimontato altre volte, andrà in tournée e verrà ripresentato a Milano nel 2015 in occasione dell´Expo». E mentre torna in campo (tra l´altro al Valle di Roma dal 21 dicembre al 6 gennaio) una sua velenosa Cenerentola trasposta nella crudeltà e nel degrado («anche se è una fiaba non potevo rinunciare a me stessa facendo uno spettacolo mieloso»), la Dante lavora per tradurre in cinema («con Giorgio Vasta sto ultimando la sceneggiatura») il suo romanzo Via Castellana Bandiera, uscito per Rizzoli nel 2008 e naturalmente ambientato a Palermo.
Impossibile, con lei, non parlare di Palermo. L´ombra e la luce di Emma sono Palermo. La sua furia è Palermo. La sua ansia di sondare, protestare, varcare i confini del lecito, del conformistico e del decoroso. Quest´artista barocca, viscerale e "fisica", ossessionata dall´espressività del corpo e dall´urgenza di esorcizzare sulla scena il dolore, ma anche ironica nella sua grottesca ferocia, non prescinde mai dai paradossi della città in cui è nata nel 1967, e dove ha voluto radicarsi, per scelta esistenziale e creativa, con la sua compagnia Sud Costa Occidentale, fondata nel 1999. Se per un verso riconosce a Palermo il ruolo di motore della sua poetica, per l´altro afferma, più che indispettita («diciamo pure incavolata»), che le istituzioni cittadine non l´hanno mai aiutata: «Arrivano da lontano per vedere le mie cose, un giorno è venuto anche il sovrintendente della Scala Lissner. Eppure nessuno dei politici locali, o dei dirigenti dei teatri palermitani, si è mai affacciato nel mio spazio. Strana ´sta storia».
Strana, certo, ma non stupisce. Perché è minaccioso e perturbante l´universo siculo dipinto dalle sue turgide allegorie, grondanti citazioni di riti religiosi: «Ne ho viste tante, nella mia infanzia, di feste cattoliche sfrenate e chiassose durante le estati in paesini presso Barcellona Pozzo di Gozzo, nell´entroterra della provincia di Messina, dove oggi è sepolta mia madre e uno dei miei due fratelli, morto a venticinque anni in un incidente». Tanto teatro di Emma Dante è una galleria di affreschi spietati nel restituirci, senza censure né sconti, brutalità familiari, incesti nefandi, clan assassini, donne luride e voraci, uomini mezzo scimuniti o in balìa della propria aggressività bestiale. O nel descriverci struggenti maschi scimmieschi, e completamente nudi, che finiscono crocifissi, come nello spettacolo La scimia, con una emme sola, considerato sacrilego dal cardinale Tarcisio Bertone. O nell´esporci cerimoniali masturbatori che pulsano attorno al cuore nero della mafia vista come una madre-cagna, vedi la rabbiosa, tribale e accalcata liturgia di Cosa Nostra del suo Cani di bancata. O ancora nel frastornarci con asservimenti e intrecci d´identità sessuali, come succede ne Le pulle, che in palermitano significa puttane, ed «è interpretato da cinque prostitute, quattro travestiti e un transessuale che nella loro misera esistenza rincorrono sogni di fate».
Emma si nutre della foga del teatro da quando aveva diciassette anni: «Mi ha folgorato a Siracusa, dov´ero con la scuola a vedere l´Antigone. Era quello il mio primo spettacolo teatrale: i miei non frequentavano teatri né chiese. Il desiderio della scena è stato immediato e tremendo, un bisogno divorante, una voglia irrazionale». Suo padre, messinese, dirigeva una filiale di tessuti. La mamma, palermitana, la spinse a fare teatro sul serio: «E io, che fino a quel momento non avevo mai viaggiato, mi ritrovai su un treno per Roma, dove avrei studiato all´Accademia d´arte drammatica. Ebbe un coraggio enorme mia mamma, morta così giovane da non avere avuto il tempo di vedere i miei spettacoli. Per me l´approdo nella capitale fu un´iniziazione, un risveglio di primavera. Non solo per lo svelamento del teatro, ma perché uscivo di casa ad esplorare il mondo».
Per qualche anno lavora come attrice, ma a un tratto comprende che recitare non le piace, che non si riconosce, «perché volevo scrivere, pensare, cercare le mie idee, far esprimere con il corpo altri attori». Torna a Palermo e comincia a far teatro in un centro sociale autogestito, nel mercato Ballarò, «un ex carcere femminile così fatiscente che temevamo crollasse il pavimento. Un´esperienza dura e intensa in una zona a rischio, dove la polizia arrivava spesso a cercare di sgombrarci e ci ritrovavamo i senzatetto a dormire in sala-prove». Ora, da un paio d´anni, la sua compagnia ha un´altra sede, «la Vicaria, che in passato è stata pure una prigione, come se avessimo addosso la persecuzione delle carceri. L´affitto lo paghiamo noi, siamo svincolati e indipendenti, non riceviamo il minimo supporto da nessuno in quel calvario che è Palermo». S´infuria ma non demorde, non intende affatto lasciare la città, «se me ne andassi non potrei criticarla». E anzi ha appena preso una casa nuova, «vicino al mare e con po´ di terra attorno, una villetta sulle pendici del monte dove faccio giardinaggio cercando di uccidere il punteruolo che è un parassita, un insettaccio che fa morire le palme». Vi abita col suo bel marito, l´attore napoletano Carmine Maringola, che lavora nella sua compagnia; e quando riesce a fermarsi un po´, Emma legge grandiosi romanzi, con l´amato Dostoevskij in cima all´elenco delle predilezioni, «perché è il più grande costruttore dell´architettura familiare». Gode molto del cinema classico, Fellini, Stanley Kubrick e anche Frank Capra: «Il mio film preferito, lo confesso, è La vita è meravigliosa. L´ho visto non so quante volte, costringo Carmine a rivederlo con me. E nei soliti cinque o sei punti scoppio a piangere». La ragazza cattiva è una romantica.