Giampaolo Visetti, la Repubblica 14/12/2010, 14 dicembre 2010
ADESSO PECHINO RISCOPRE LA DIPLOMAZIA DEL PING-PONG
Da mezzo secolo è sempre oro. Troppo. Un dominio talmente assoluto che il ping-pong, al di fuori dalla Cina, è praticamente scomparso, oratori compresi. Un potere così totale che tra competizioni internazionali e tornei di quartiere non c´è differenza. Sponsor e tivù sono in fuga e anche i bambini cinesi cominciano a non sognare più di diventare campioni della racchetta di legno: fama circoscritta in provincia. Pechino si rassegna così a demolire lo strapotere eccessivo nel suo sport-simbolo e, nei giorni più difficili del confronto con il resto del mondo, resuscita la «diplomazia del ping-pong».
Iniziativa senza precedenti: fonderà un´università per costruire fuoriclasse stranieri, capaci di battere finalmente anche i maestri di casa.
Dal prossimo autunno aprirà a Shanghai la prima Accademia cinese del tennis da tavolo e recluterà, a spese proprie, i duecento migliori giocatori del resto del mondo per portarli ad allenarsi con i campioni nazionali. È come se il Brasile pagasse per insegnare agli asiatici a fare le rovesciate, il Giappone assumesse lottatori europei per veder rotolare al tappeto i propri giganti del sumo e l´Austria finanziasse corsi di sci per far trionfare gli africani nella libera. L´improvvisa voglia di regalare campioni agli altri non è solo il tentativo estremo di salvare un´abilità minata dall´eccesso di egemonia, in onore dell´orgoglio nazionale. Conferma quanto lo sport, nei momenti di alta tensione politica, contribuisca a riaprire dossier internazionali altrimenti bloccati. La Cina, anche in questo, è imbattibile.
E´ stato Mao Zedong, nel 1971, a invitare a Pechino una delegazione del tennis da tavolo degli Stati Uniti, inaugurando le relazioni diplomatiche con gli Usa di Richard Nixon, interrotte dopo la rivoluzione del 1949. Fu un incontro storico, un anticipo della fine della Guerra Fredda, che con l´Unione sovietica si combatteva anche a colpi di tornei di scacchi. I giornali dell´epoca scrissero che «una pallina è riuscita a smuovere due enormi sfere».
La «diplomazia del ping-pong» in Cina ha fatto scuola e il partito comunista ha poi inventato la «politica del panda», che prevede il dono del suo animale-icona allo zoo del Paese con cui si intendono riallacciare i contatti, o la «proposta della sala thè», basata sull´apertura di un locale per il consumo delle spezie nella nazione che offre i migliori scambi commerciali. Al G2 dell´anno scorso a Washington il neoeletto presidente Obama volle accanto a sé Yao Ming, star del basket made in China esportata nella Nba, per rompere il ghiaccio al suo primo incontro con Hu Jintao. I media americani titolarono che Pechino si era piegata alla «basket-diplomacy», donando il suo eroe della pallacanestro al businnes delle pay-tivù dello sport Usa. L´interpretazione non piacque alle autorità cinesi che, poche settimane dopo, annunciarono il varo «dell´operazione Confucio»: centinaia di istituti per l´insegnamento della lingua e della cultura del riscoperto filosofo imperiale, da aprire in tutti gli Stati del pianeta.
L´investimento nel soft-power è stato coronato con la prima missione di sicurezza internazionale, che vede la Cina protagonista nel pattugliamento marino al largo della Somalia, e con la crescita della presenza e dell´influenza di Pechino nella Banca mondiale. Fino al 2010 choc: guerra dei dazi, minacce di neo - protezionismo, caso Google, scontro delle valute, conflitto con il Giappone, risiko bellico per il controllo del Pacifico, crisi coreana, corsa alle «terre rare», accuse per la corsa al nucleare di Pyongyang. Il Nobel per la pace a Liu Xiaobo ha ridefinito infine il profilo cinese, ricordando al mondo che entro quindici anni non sarà più guidato da una bandiera della democrazia, ma da una potenza fondata sull´autoritarismo.
Il vortice di accuse e minacce, che ha messo a rischio la visita di Hu Jintao a Washington in gennaio, partorisce così oggi l´accademia del ping-pong per stranieri e se un cinese insegna ad un occidentale a batterlo, significa che la situazione lo richiede. Il giornale del partito ha scritto ieri che presto università cinesi del tennis da tavolo saranno aperte anche all´estero «perché dobbiamo dare il nostro contributo allo sviluppo». E´ una visione originale delle «nuove responsabilità». Anche perché nelle stesse ore cento babbi natale venivano sgomberati dalla polizia in piazza Tiananmen, in quanto «poco rispettosi della solennità di un luogo sacro».