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 2010  dicembre 14 Martedì calendario

HU JIA Pechino (Cina) 25 luglio 1973. Dissidente. Il 3 aprile 2008 fu condannato a tre anni e mezzo di carcere per due interviste e sei articoli pubblicati su Internet in cui criticava il regime («istigazione alla sovversione dei poteri dello Stato») • «[

HU JIA Pechino (Cina) 25 luglio 1973. Dissidente. Il 3 aprile 2008 fu condannato a tre anni e mezzo di carcere per due interviste e sei articoli pubblicati su Internet in cui criticava il regime («istigazione alla sovversione dei poteri dello Stato») • «[...] primo firmatario della “lettera dei mille” in favore dello Stato di diritto [...] noto per il suo impegno in favore dei diritti umani, della difesa dell’ambiente e della lotta contro il flagello dell’Aids [...]» (P. Sa., “Corriere della Sera” 30/1/2008) • «[...] laureato in informatica, impegnato coraggiosamente nel sociale [...] il 16 febbraio del 2006 [...] otto agenti della polizia segreta sequestrarono Hu Jia nel quartiere di Pechino che è chiamato la “Città della Libertà”. Si era sposato sei giorni prima e lì era andato ad abitare con la moglie, Zeng Jinyan. Racconterà successivamente a Radio Free Asia: “Mi hanno circondato e infilato un cappuccio nero, poi mi hanno spinto in una macchina”. Lo schiaffarono in una prigione in campagna e, sempre tenendogli addosso il cappuccio nero in modo che non riconoscesse luoghi e persone, conclusero il “trattamento” ricorrendo a una forma subdola di tortura, la “jetliner position”, schiena al muro, braccia larghe, seduto su uno sgabello coi piedi sollevati da terra, fino allo stremo. Ma il lavaggio del cervello non ebbe alcun risultato. Hu Jia è di pasta dura. La storia della sua famiglia, quella da cui viene e quella nuova che ha formato, insegna: i genitori, nel 1957, accusati di essere conniventi con la destra borghese furono duramente perseguitati e non si piegarono, la moglie è la compagna ideale di Hu Jia, quanto a fegato lo eguaglia. Una dissidente che non ha paura di esserlo. [...] Quaranta giorni lo tennero segregato. Parenti e amici lo cercavano dappertutto. Quando ormai si erano messi il cuore in pace se lo ritrovarono in condizioni pietose. Non era finita. Gli agenti lo braccarono ancora e ordinarono gli arresti domiciliari. Poi, il 27 dicembre 2007 se lo ripresero sempre con la stessa tecnica: incappucciamento, auto, cella. Questa è la realtà che vive un uomo, un buddista nel caso di Hu Jia, che chiede al partito comunista di rinnovarsi, che difende i diritti degli ammalati di Aids, che combatte per la protezione dell’ambiente, che denuncia le malefatte dei funzionari corrotti, che difende i migranti e i lavoratori senza protezione, che invita al dialogo con le minoranze etniche. [...]» (Fabio Cavalera, “Corriere della Sera” 4/4/2008).