Corinna De Cesare, Corriere della Sera 14/12/2010, 14 dicembre 2010
IL BANCO DI NAPOLI E IL MISTERO DEL CARAVAGGIO —
Ingialliti dal tempo ma intatti. E originali. Apre per la prima volta al pubblico l’archivio storico dell’Istituto Banco di Napoli -Fondazione. Oltre 450 anni di storia raccontanti da più di 300 milioni di atti tra contratti di affitto, pagamenti di stipendi e concessione di prestiti. Come quello di Menotti, figlio di Giuseppe Garibaldi, che nel 1874 chiese duecentomila lire al Banco di Napoli. Richiesta accompagnata da una lettera di garanzia di suo padre, alla quale l’istituto preferì una garanzia ipotecaria su beni immobili nell’agro romano dello stesso Menotti. Quando il prestito arrivò alla scadenza, poco tempo dopo la morte dell’eroe dei due mondi, il consiglio del Banco decise di non incassare la somma in onore di uno dei padri della patria. Dagli anni del Banco della Pietà (1539) al vero e proprio istituto di emissione (1866) fino ad arrivare agli anni 50 del Novecento, l’archivio napoletano custodisce documenti consultati fino ad oggi per lo più da studiosi e ricercatori. Documenti che da domani invece emergeranno dal buio degli scaffali, per rivivere in un percorso multimediale aperto a tutti i cittadini fino al prossimo 5 gennaio e curato dalla Fondazione Plart. Atti in cui hanno lasciato traccia di sé oltre 17 milioni di persone, gente comune e di chi, all’epoca, era solo, si fa per dire, un «maestro di cappella» . Come Gaetano Donizetti a cui il 7 luglio 1823, Domenico Barbaja girava una fede di credito di 10 ducati, per il pagamento della musica da lui scritta dei drammi «Alfredo il Grande» e «Aristea » . Pochi giorni dopo in cui l’opera sul re d’Inghilterra venne rappresentata per la prima volta al San Carlo di Napoli. «Questo archivio nel suo genere — spiega Adriano Giannola, il presidente dell’Istituto Banco di Nap
oli, Fondazione — è il più importante che ci sia al mondo e anche i non addetti ai lavori rimangono esterefatti. Ci sono faldoni alti un metro e mezzo scritture e ricevute grazie alle quali ad esempio sono state attribuite con certezza alcune opere del Caravaggio» . Come una pala d’altare del 1606 commissionata all’artista dal commerciante slavo Niccolò Radolovich. «Una Madonna col bambino insieme ad alcuni santi che non è mai stata ritrovata e potrebbe essere stata trafugata— spiega Eduardo Nappi, memoria storica e responsabile dell’archivio napoletano—; grazie ad alcuni assegni intestati a Caravaggio e depositati da noi è stato anticipato di tre mesi il suo arrivo a Napoli. Conserviamo gli ordini di pagamento delle "Sette opere della misericordia"o della "Flagellazione di Cristo", ma anche i pagamenti dei calzolai e dei banchieri di tutte le epoche» . Tra i documenti gelosamente custoditi nelle 330 stanze dell’archivio— aperto ai cittadini solo in un precedente, nel 2008, per una conferenza di poche ore— ritroviamo anche la «polizza di 758 ducati e 99 grana, emessa nel giugno 1845 da Vincenzo Palma, a favore del maestro di cappella Giuseppe Verdi per la prima rata di 2.300 ducati a lui spettante per la musica che deve eseguire nel teatro di San Carlo, giusta la scritturazione del 3 agosto 1844» . Era la prima dell’opera «Alzira» . L’inaugurazione dell’evento, con un’installazione interattiva, si terrà a partire da domani fino al prossimo 5 gennaio nelle stanze del cinquecentesco Palazzo Ricca, sede dello storico archivio su quattro piani nel cuore della città di Napoli. Corinna De Cesare