Stefano Montefiori, Corriere della Sera 14/12/2010, 14 dicembre 2010
CLUB MED, COSI’ CAMBIA UN MITO —
Nei 60 anni di storia del Club Méditerranée c’è stato un momento in cui l’identità del marchio era precisa, il successo enorme, il ruolo nella cultura popolare chiaro perché chiare erano le intenzioni dei clienti: «Sea, sex and sun» , cantava Serge Gainsbourg. Mare, sesso e sole, non necessariamente in questo ordine, in luoghi fantastici (erano i primi villaggi vacanze) e con una collana di palline colorate al posto del denaro, in una illusione di socialismo tropicale e temporaneo, 15 giorni l’anno. Quello, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, è stato il Club Méditerranée del mito, parte di un immaginario non solo erotico che abbinava i film di Emmanuelle a voli Air France all’epoca ancora esotici a Playboy (con le interviste a Fidel Castro, Vladimir Nabokov od Orson Welles, naturalmente). Finita quell’epoca, tenere in vita il ribattezzato «Club Med» è stata una fatica per più generazioni di manager. L’attuale amministratore delegato, Henri Giscard d’Estaing (54enne figlio dell’ex presidente Valéry), in carica dal 2002, ha annunciato pochi giorni fa con una certa soddisfazione una perdita di 14 milioni di euro: molto meglio del buco di 53 milioni dell’anno precedente. Un «Club Med» per famiglie, depurato dalle gioie della breve rivoluzione libertaria: all’inizio è sembrata un’eresia, come Las Vegas senza casinò o Ipanema senza le spiagge, ma è a questo che si dedicano da oltre trent’anni i vertici di un impero delle vacanze che conta oggi 80 villaggi, la nave da crociera Club Med 2 e 15 mila «Go» (gentil organisateur) in 40 Paesi del mondo. Ed è anche per questo che è così difficile fare quadrare i conti. I villaggi Club Med oggi devono affrontare una concorrenza internazionale enorme e più agile, priva del fardello della precedente. Un «Club Med» per famiglie, depurato dalle gioie della breve rivoluzione libertaria: all’inizio è sembrata un’eresia, come Las Vegas senza casinò o Ipanema senza le spiagge, ma è a questo che si dedicano da oltre trent’anni i vertici di un impero delle vacanze che conta oggi 80 villaggi, la nave da crociera Club Med 2 e 15 mila «Go» (gentil organisateur) in 40 Paesi del mondo. Ed è anche per questo che è così difficile fare quadrare i conti. I villaggi Club Med oggi devono affrontare una concorrenza internazionale enorme e più agile, priva del fardello della storia. L’epopea del «tridente» è partita presto, negli anni Cinquanta,
quando l’ex pallanuotista belga Gérard Blitz fonda a Maiorca, nelle Baleari, il primo Club comprando 200 tende da campeggio al giornalista comunista Gilbert Trigano, ben presto suo socio. Gli esordi sono a metà tra un comunitarismo spartano alla kibbutz e l’ebbrezza dello sport e della vita all’aria aperta, secondo la formula fino ad allora inedita del «tutto compreso» , poi copiata da migliaia di strutture in tutto il mondo. L’età d’oro è quella dei primi anni della gestione Trigano, durata complessivamente dal 1963 al 1997, che vide anche l’intervento finanziario della famiglia Agnelli nel 1974. Poi, le difficoltà di adattare nel tempo un marchio così connotato si sono fatte sentire sempre di più. Sotto la gestione di Philippe Bourguignon, ex capo di Euro-Disney, il Club Med è diventato anche un centro di servizi urbano con palestre e un grande ristorante «Club Med World» a Parigi e Montréal. Da qualche anno, la scommessa di Henri Giscard d’Estaing è invece concentrare di nuovo le attività sui villaggi vacanze, acquistati negli anni Sessanta per pochi soldi in luoghi incantevoli: il vero vantaggio sulla concorrenza. Soprattutto, Giscard d’Estaing vuole togliere al Club Med la patina di meta del turismo di massa, al quale ha non poco contribuito il film comico Les Bronzés (1978) di Patrice Leconte. Dismessi i villaggi «a due tridenti» , oggi tutte le risorse sono concentrate su quelli a quattro o cinque tridenti, perché il Club Med si è riciclato come destinazione «alto di gamma» . «Il tentativo è catturare soprattutto la clientela dei Paesi emergenti, un bacino di 60 milioni di persone in Brasile, Cina e Russia, che a differenza dei francesi hanno un’idea esclusiva del Club Med» , sostiene il giornalista economico Jean-Jacques Manceau nel libro «Le Club Med, réinventer la machine à rêves» . Il gruppo privato cinese Fosun ha portato la sua partecipazione al 9,3%del capitale, e il 27 novembre Giscard d’Estaing ha inaugurato il primo Club Med in Cina, nella stazione sciistica di Yabuli, nel Nordest del Paese. Dopo essere stato paradiso dei single, territorio di «Baby Dance» e palestra da città, nella sua ennesima reincarnazione il Club Med punta sul lusso e sulla Cina. E i gentil organisateur, un tempo molto espansivi, hanno ricevuto l’ordine tristemente simbolico di passare dal «tu» al «voi» .
Stefano Montefiori