Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 14 Martedì calendario

SUL PETROLIO TORNANO GLI ACQUISTI DEI FONDI

Due mancate decisioni, ai capi opposti del mondo, hanno dato lo scorso week-end un tacito via libera alla risalita dei prezzi del petrolio. A Pechino, nonostante l’inflazione ai massimi da 28 mesi, le autorità monetarie hanno di nuovo soprasseduto alla tentazione di alzare i tassi di interesse. Mentre a Quito, in Ecuador, l’Organizzazione dei paesi esportatori di greggio ha scelto di non ritoccare i tetti di produzione, fermi da dicembre 2008: una decisione attesa, quest’ultima. Ma il fatto che l’Opec abbia stabilito di non riunirsi più fino a giugno 2011 è sembrato ad alcuni una sorta di viatico per nuovi e indisturbati rally. «Un vertice a giugno – afferma ad esempio Barclays Capital – dà luce verde al mercato per un balzo a 100 $ e oltre».

Ciò che per ora gli investitori hanno scelto di ignorare è il ritorno del ministro saudita Ali al Naimi alle "vecchie" preferenze in fatto di quotazioni del barile: «Un buon prezzo è 70-80 dollari», ha detto il leader de facto dell’Opec, rimangiandosi un’opinione espressa poco più di un mese fa, quando aveva fatto riferimento a una fascia di prezzo ottimale tra 70 e 90 $/bbl.

Le affermazioni di Naimi sono «significative», osserva Ed Morse, managing director di Credit Suisse. «Col Venezuela che definisce adeguato un prezzo di 100 $ e l’Iran che sostiene che la domanda è debole anche mentre corre alle stelle, i sauditi se non vogliono arrivare allo scontro dovranno silenziosamente rifornire di più il mercato».

Il rispetto delle quote di produzione è già ora molto scarso: secondo i calcoli di Bloomberg i paesi del Cartello nel 2010 hanno pompato in media 1,934 milioni di barili al giorno più del dovuto. Senza contare l’abbondante produzione di Ngl (liquidi da gas naturale), che è libera da quote e che sta crescendo a ritmi vigorosi. «In teoria – ironizza Adam Sieminski, chief energy economista di Deutsche Bank – potrebbero alzare le quote di un milione e mezzo di barili al giorno e non cambierebbe nulla».

Nonostante questo, sulla spinta della domanda, le scorte petrolifere hanno iniziato a ridursi. E lungo la curva delle quotazioni dei futures per la prima volta in due anni ha cominciato a fare capolino qualche segnale di backwardation: il greggio per dicembre 2011 costa più caro di quello per dicembre 2012.