Emanuele Scarci, Il Sole 24 Ore 14/12/2010, 14 dicembre 2010
ALL’ESTERO FA GOLA IL CIBO ITALIANO
Vola il food italiano sui mercati esteri: i consumatori diventano sempre più ghiotti di parmigiano, prosciutto, pasta, mele, vino, caffè espresso e mille altre prelibatezze della nostra tavola. È impossibile stilare una classifica delle eccellenze italiane che sono sicuramente più numerose dei 200 prodotti con marchi comunitari d’origine (Dop, Igp e Stg). Tant’è che l’alimentare italiano, dopo una breve pausa dovuta alla crisi economica, ha ripreso la sua marcia sui mercati internazionali con un trend a doppia cifra. Ora il massimo dello sforzo si produce nella conquista dei mercati asiatici, in particolare la Cina, e nella "riconquista" della tavola americana, penalizzata dallo shock finanziario e dal super-euro. I cento milioni di cittadini cinesi agiati e sensibili allo stile di vita occidentale, dopo aver valorizzato le griffe del fashion italiano, hanno iniziato ad assaporare i vini, i formaggi, i prodotti dolciari tricolori (spesso imitati: due anni fa la suprema corte di Pechino condannò la cinese Montresor per aver imitato i Ferrerro Rocher).
A fronte di un mercato nazionale debole e in lieve arretramento, secondo i dati di Federalimentare il 2010 dovrebbe concludersi con una crescita della produzione compresa tra il 2 e il 2,5% (superiore quindi a 123 miliardi), trainata da un +9% dell’export. Insomma se i dati fossero confermati, si potrebbero riassorbire in un sol colpo il -2,6% del biennio 2008/9 della produzione e il -4,9% del 2009 dell’export. Un risultato però che costa caro alle imprese in termini di erosione dei margini: il valore unitario dei prodotti alimentari esportati sta registrando cali decisamente superiori al -2,2% medio emerso nel 2009. Forti progressi sui mercati esteri nel lattiero-caseario, nel dolciario, nell’enologico e nel “food and drink” ottenuti, in particolare, in Germania, 1,7 miliardi l’export nel primo semestre, seguita dalla Francia, con 1,22 miliardi e dagli Stati Uniti, con poco più di un miliardo.
Nel 2010 il boccon divino dell’alimentare tricolore potrebbe risultare il parmigiano reggiano con un balzo dell’export del 12%, con punte del 44% per gli Usa e del 35% per l’Asia. A parte la stabilità del mercato italiano, «siamo a una nuova primavera – esordisce Giuseppe Alai, presidente del Consorzio parmigiano reggiano – Dopo lo shock di due anni fa, la domanda sui mercati internazionali si fa sempre più incalzante. Da tempo spingiamo sull’export con iniziative e investimenti specifici, compresa la costituzione della società dedicata I4S, sulle catene della grande distribuzione di molti paesi».
Porte aperte anche all’innovazione: la società emiliana Formaggi d’Italia ha brevettato un nuovo metodo per trasformare in modo naturale i formaggi a grana dura in spalmabili, nello specifico grana padano, pecorino romano e provolone. L’intuizione nasce dalla constatazione che l’80% della produzione mondiale riguarda formaggi a pasta molle o spalmabile, quindi la trasformazione dei formaggi duri italiani in spalmabili aprirebbe l’accesso a un mercato molto più ampio. La società, nel cui azionariato figurano gli imprenditori Roberto e Rita Gasparelli, punta a 70 milioni di fatturato già nel primo anno di esercizio.
Ma anche il prosciutto San Daniele, altro prodotto del made in Italy, ottiene grandi risultati: nei primi 9 mesi del 2010 l’export cresce del 10% in Europa e negli Usa, con punte del 26% in Giappone e del 20% in Australia. Oggi, con 31 aziende, la produzione si è attestata intorno ai 2,6 milioni di prosciutti Dop venduti l’anno e con un fatturato di oltre 330 milioni. L’export di San Daniele rappresenta circa il 14% della produzione. «In Italia – interviene Mario Emilio Cichetti, direttore generale del consorzio San Daniele – cresciamo, nonostante tutto, del 3-4%, ma, in generale, sono dieci anni che aumentiamo, mediamente, del 5% la produzione». Insomma la macchina di questa prelibatezza va quasi in automatico e l’impegno maggiore del consorzio è quello «di educare il consumatore – aggiunge Cichetti – perchè all’estero istintivamente tendono a cuocere il nostro prosciutto; in Francia invece vorrebbero, come d’abitudine, pre-affettarlo alla mattina e consumarlo durante la giornata».
Apparentemente più difficile il compito della Illva Saronno Holding che si appresta a lanciare sul mercato cinese il prezioso vino Duca di Salaparuta, dopo aver esportato il Corvo e il vino liquoroso Grecale delle Cantine Florio. «La diffusione del vino in Cina – osserva Augusto Reina, ad di Illva Saronno – è un fenomeno piuttosto recente ma il vino piace, eccome: nell’ultimo quinquennio la crescita media in volume è stata del 17%». Illva Saronno però non è una new entry in Cina: è il maggiore azionista di Yantai Changyu Group, che controlla varie aziende locali specializzate nella produzione e commercializzazione di vini e liquori, tra cui Yantai Changyu Pioneer Wine, primo produttore di vino cinese con 445,2 milioni di fatturato. «Inzieremo in gennaio – conclude Reina – con dieci container ma abbiamo un budget di almeno 20mila casse e una crescita del 30-35% l’anno». Il vino avrà un prezzo di 10-11 euro a bottiglia e sarà veicolato nel canale Horeca.