Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 14/12/2010, 14 dicembre 2010
IL RITORNO DI CORPORATE USA
Per fortuna del presidente Obama, tra i file di WikiLeaks non c’è traccia delle opinioni dei top manager americani nei confronti della Casa Bianca. A parte alcuni memo in cui il dipartimento di stato chiedeva di spiare i movimenti di qualche multinazionale troppo attiva in Russia o in Medio Oriente, poco o niente è emerso sui rapporti tra Corporate America e Studio Ovale.
Dopo tante fughe di documenti top secret, sorge quasi il dubbio che sia forse proprio questo il segreto meglio custodito nei computer di Washington. In realtà, nel dossier sui rapporti con le imprese c’è ben poco da custodire: per i top manager, da quando è stato eletto presidente degli Stati Uniti, Obama ha trascorso più tempo a occuparsi del G-20 che dell’S&P 500.
È proprio in quest’ottica che va letto il summit a porte chiuse che il presidente americano avrà domani con i vertici delle grandi aziende di Wall Street: non solo l’apertura di un confronto su temi istituzionali come il fisco, il commercio, la regolamentazione e il deficit, ma soprattutto l’avvio di un dialogo costruttivo e di lungo termine - una sorta di patto per lo sviluppo - necessario per concretizzare le riforme, combattere la disoccupazione e accelerare la ripresa economica.
La partita è dunque a carte scoperte: pur di convincere le imprese a tornare a investire e ad assumere, Obama sembra pronto a trattare su tutti i fronti cari ai mercati, dalla tregua fiscale sui redditi d’impresa alla moderazione normativa (e dialettica) nei confronti di banche e imprese. Fornendo certezze ai manager, insomma, Obama conta di spingere le multinazionali a investire almeno una fetta di quei 1.930 miliardi di dollari in contanti custoditi nelle loro tesorerie.
Anche al di là dei risultati immediati, il vertice di domani alla Blair House di Washington segna dunque la prima vera svolta cruciale della politica fin qui seguita da Obama. Una politica volta a rispettare gli impegni sociali con l’elettorato - vedi la riforma sanitaria e quella di Wall Street - tralasciando la politica economica e affidandola sostanzialmente alle misure di sostegno della Federal Reserve e alle ricorrenti (e inutili) minacce alla Cina.
Il vuoto aperto su questo fronte è impressionante: non solo nell’amministrazione Obama, al contrario delle precedenti, non ci sono ex capitani d’industria assoldati in ruoli chiave delle agenzie economiche, ma lo stesso Consiglio economico della Casa Bianca è ridotto all’ombra di se stesso: il direttore Larry Summers è dimissionario già da alcuni mesi, come dimissionari da poche settimane sono anche il vicedirettore del National Economic Committee, Dana Farrell, e Michael Barr, assistant secretary per la finanza al ministero del Tesoro. E prima di loro se ne erano già andate per mancanza di risultati figure di spicco del team economico di Obama come Christina Rohmer, Peter Orszag ed Herb Allison.
Ora si tenta di correre ai ripari, ma il tempo perduto pesa. Tant’è vero che la disoccupazione cresce. E per combatterla - in un’economia di mercato - occorrono o la spesa pubblica (e persino gli Usa non se la possono più permettere come un tempo) o il consenso e la fiducia delle imprese, dell’apparato produttivo. Le quali vanno conquistate prima con una politica di rilancio e mantenute poi. È andata sempre così, in Usa e in Europa, con tutti i presidenti, in ogni occasione dal 1930 in poi. Con Roosevelt, e con i repubblicani, al di là delle diatribe sulle ingerenze dello stato.
Quanto detto sopra è vero per gli Stati Uniti, ma è vero anche per l’Europa. Francia e Germania - le due grandi potenze dell’Unione - già cercano di farlo e proficuamente. L’Italia, purtroppo, ha due grandi limiti: l’immenso debito pubblico, che strozza le possibilità di spesa, e un quadro politico rissoso e incapace di esprimere certezze. Nel passato, con una decina d’anni di ritardo rispetto all’Europa, si era imboccata la strada del patto sociale, ma di cammino se ne è poi fatto ben poco. In Italia, per di più, c’è la certezza - chissà perché è caduta nel dimenticatoio - di una serie di tagli pluriennali alla spesa pubblica onde far rientrare nei parametri europei lo stock di debito. In una situazione in cui non si riesce oltretutto a porre un freno al potere delle rendite e delle corporazioni. Una situazione complessiva che il presidente Napolitano denuncia da tempo con toni accorati. E che la Confindustria affronta proponendo ai sindacati un patto dei produttori per porre governo e sinistra politica davanti a scelte non rinviabili.