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 2010  dicembre 12 Domenica calendario

L’ECCENTRICO CHE SI SPEDÌ

Molti ricorderanno il nome e la storia di Laika, la cagnetta sovietica che fu spedita, nel 1957, nello spazio, a bordo dello Sputnik. Quasi nessuno conoscerà, suppongo, la storia di un suo predecessore. Bob, un terrier irlandese, che fu spedito – nel senso letterale del termine – dal suo padrone, W. Reginald Bray, il 10 febbraio del 1900. Spedizione regolare, stavolta, a tutti gli effetti: il cane fu preso in consegna dal personale del servizio postale britannico, che, verificatane la dovuta affrancatura (3 penny), provvide a consegnarlo all’indirizzo scritto sulla lettera. Il viaggio fu breve, d’accordo, sei minuti, ma l’«esperimento postale» era perfettamente riuscito. Non fu l’unico. Né l’ultimo. E già: perché di questi «esperimenti», Reginald Bray ne fece parecchi. Nel 1898, al l’età di 21 anni, già discreto collezionista di francobolli (a proposito, il «mitico» Penny Black, il primo mai prodotto, nel 1840, è appena andato all’asta ieri da Bolaffi), si procura una copia della «Post Office Guide». E studia quello che può essere spedito: «Dall’ape all’elefante», recita il regolamento. Bray prende la cosa sul serio.

Del resto, se il regolamento prevedeva già tali bizzarrie, in qualche modo l’eccentricità dei cittadini britannici dell’epoca edoardiana doveva pur essere messa in conto, in qualche modo, dalle autorità. Bray inizia a spedire le cose più strane: rape, cipolle, una bombetta, una bicicletta, colletti di camicia usati come cartoline, un fiasco, alghe, un teschio di coniglio... Tutto regolarmente certificato e andato a buon fine. Non solo. Prova l’efficienza della posta inglese indirizzando lettere in maniera generica: a un abitante di..., al conduttore della locomotiva o della nave raffigurata e così via. Fino all’apoteosi: stabilito che si «consegnavano» anche persone, Bray... si spedì. Per ben tre volte. Nel 1900 e nel 1903 e, infine, nel 1932, stavolta procurando di farsi fotografare, con i postini al suo fianco che lo recapitano nella sua casa londinese (il padre firmò – paziente – la ricevuta). La sua carriera di utilizzatore finale dei servizi postali, peraltro, non finì lì. Aveva già iniziato, da anni, una raccolta di firme di celebrità: semplicemente spedendo loro una cartolina, chiedendo un autografo e la cortesia di rispedire indietro la lettera. Ne ottenne centinaia: Gary Cooper, Laurence Olivier, Charlie Chaplin. In una lettera a Hitler spiegava di avere già ricevuto, per quella via, gli autografi di Mussolini, Pio XII, qualche presidente americano. Hitler rispose, ma rifiutando, come aveva fatto, nel 1910, il re Edoardo VII. Churchill, più pragmatico, mandò a dire che avrebbe sì fatto l’autografo, ma solo dopo che Bray avesse pagato una quota a un’associazione di combattenti inglesi. Il libro che riassume la storia di Bray, scritto da John Tingey, è scorrevole e semplice. Ed è un bellissimo oggetto, con decine di foto-reperti della collezione Bray. Ma è soprattutto un omaggio a quella inutile e sublime follia che anima un collezionista, qualunque cosa egli raccolga. Sarebbe bello, prima o poi, leggere una storia degli eccentrici: simpatici mattacchioni che, con la loro sola presenza, testimoniano la natura fallace delle convenzioni sociali.

E quando tutti pensano di esserlo, pur essendo il massimo della banalità... avercene, di veri eccentrici. Avercene.