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 2010  dicembre 13 Lunedì calendario

IL TEMPO RITROVATO IN UNA TAZZA

La famiglia dell’affittacamere assisteva perplessa alla foga con cui il contino Leopardi faceva colazione con la cioccolata «e parte gliene restava per un pezzo sul mento». Drogato di caffè, Balzac temeva di abusare del cioccolato, che considerava una vera droga. Pessimista, Morand proclamava che «si muore di cioccolato come di colera». Ma Brillat-Savarin aveva specificato che «il cioccolato è un alimento sano e piacevole, e inoltre adattissimo alle persone che fanno grandi sforzi intellettuali, ai predicatori, agli avvocati e soprattutto ai viaggiatori».

In effetti al cioccolato, approdato in occidente nell’età moderna, venivano attribuite innumerevoli doti curative. Voltaire cercava di tenere in scacco la vecchiaia con una sfilza di tazze fumanti, ma non pochi, come Casanova, le attribuirono virtù afrodisiache. Il celebre seduttore se ne portava sempre dietro. Il marchese de Sade lo consigliava a chi non volesse sfigurare nelle orge. Sedotto dal cremino di Majani, quattro strati di cacao e pasta di mandorle, D’Annunzio si preparava agli incontri amorosi con quello fondente.

Per Proust era il coronamento dei pranzi di famiglia. «Quando tutto questo era finito, ci veniva offerta, creata appositamente per noi, una crema al cioccolato fuggitiva e lieve come un’opera di circostanza, in cui Françoise aveva profuso tutto il suo talento».

Per Joyce la cioccolata, fatta con la polvere di cacao era la bevanda più adatta a un colloquio tra amici. Camus la preparava quando qualche amico veniva a trovarlo. Mann se la faceva fare dalla moglie dopo una giornata di lavoro. Più esigente, Wilde deplorava che a San Francisco gliela avessero offerta in tazze troppo spesse.

Dopo la guerra Heidegger invocava «una piccola scatola di cioccolato» per reggere il lavoro. Del resto Sartre non temeva nell’ “Essere e il Nulla” di analizzare il sapore di un fragrante biscotto al cioccolato.

A volte l’erotismo cedeva alla golosità. La passione per una donna, ricorda Schnitzler, «svanì completamente in pochissimo tempo; continuai invece ad avere un debole per il dolce che lei era solita ordinarsi ogni giorno, la torta al cioccolato».

Nelle pensioni, deprecava Kafka, «la cioccolata sparisce subito». Céline, in crisi di astinenza, si lamentava perchè «una fedele amica» non gli aveva mandato un grammo di cioccolata. «Prima ch’io mi scordi, quando vi capita occasione, mandate un pacchettino di cioccolata della qualità migliore che ... Ho scommesso che in Italia abbiamo cioccolata migliore del francese che comprano qui», lasciava cadere l’esule Mazzini. Prima di lui, Alfieri, irrequieto viaggiatore, specificava di mandargliene in piccola quantità, per evitare di finirlo subito.

Martire del cioccolato, il giovane Hemingway venne colpito dalle schegge di un mortaio mentre distribuiva cioccolate in prima linea. Virginia Wollf apprezzava la ciocciolata in tazza con i biscotti. Manzoni aveva elaborato complesse ricette per la preparazione della cioccolata.

La cioccolata aiutava gli autori poveri a sopravvivere. Il sedicenne Rimbaud la mangiava al chiaro di luna. L’esordiente Bukowsky campava con una tavoletta al giorno. Per Giono quella golosità divenne un viatico per la madre morente. «Vuoi un bigné di cioccolato?». E lei: «Dammelo».