Giampiero Mughini, Libero 13/12/2010, 13 dicembre 2010
I GIORNALI PAGAVANO PURE L’AMORE
Chi ha lavorato nei giornali lo sa benissimo che le “note spese”possono fungere da secondostipendio, o comunque da notevole incremento del reddito. Interrogata da “Il Fatto Quotidiano”, il giornale che sta suzzicando mica male Augusto Minzolini sull’entità (faraonica) delle sue note spese da SALI direttore del TgUno, l’ex presidente della Rai, Lucia Annunziata, ha confessato che lei per due ann iaveva avuto a disposizione un tettomassimo di 60mila euro per le spese di rappresentanza, e anche se ne ha poi utilizzati molti meno.
60mila euro di “note spese” in due anni, non certo da buttar via. Beninteso, questo valeva nei grandi giornali di un tempo, e semmaie ancor oggi per direttori e vicedirettori, e semmai per i giornalistid i cui direttori e vicedirettori sono professionalmente innamorati. Per tutti gli altri è divenuta una dura quaresima. Lo è stato per me nell’ultimo segmento dei 18 ann iche ho fatto da inviato speciale di “Panorama”, quando ero professionalmente“in disgrazia” e dunque più o meno inviso a giornalisti che dirigevano il mio giornale e a ognuno dei quali non avrei affidat oneppure il mio cane da portarea spasso.
E difatti la mia carriera giornalistica, di uno che lavorava a tempo pieno in un giornale, è finita all’indomani di una nota spese che mi è stata contestata. Migliaia e migliaia di euro spesi mentre ero al sole in vacanza con accanto RubyRubacuori? Niente affatto. Per una cena da 180 euro al Caffè Lavazza di Torino dove avevo invitato il pittore Ugo Nespolo e sua moglie. È stato l’ultimo servizio giornalistico della mia vita. Ero andato a Torino a raccontare la “tana” di Nespolo, quello che è assieme il suo laboratorio professionale,la sua casa-collezione, il luogo dov’è raccolta la summa della sua quarantennale attività professionale .Sono stato a Torino due giorni, il che in termini di “nota spese” comporta la possibilità di allegare il costo di quattro pasti, due al giorno. Di quei quattro pasti due me li aveva offerti Nespolo (uno in un ristorante di Torino, l’altro a casa sua), un terzo pasto lo avevo saltato, il quarto pasto lo avevo controfferto io per la somm ache ho detto. 180 euro di cib oin due giorni. Quand ’ecco che mi arriva un telefonata dell’imbarazzatissimo capo del personale della Mondadori che mi comunica che la mia nota spese di 180 euro non era stata accettata dalla direzione del giornale. Dire che lui era mortificato di una tale canagliata che mi stavano facendo, è dire niente. Mai nella sua vita professionale doveva essergli successo qualcosa di talmente ributtante.
E comunque lui la mia nota spese me l’ha fatta saldare. Io sono rimasto a “Panorama” un altropaio di mesi senza scrivere più un rigo e senza avere più nulla a che fare con gli autori di quella canagliata .A fine agosto del 2005 mi sono dimesso da quello che era stato un tempo un grande giornale.Mi aveva assunto nel novembre 1987 Claudio Rinaldi, il più geniale direttore della mia generazione. Per tornare all’epoca aurea delle note spese, e perché era il tempo delle vacche grasse e perché era completamente diversa l’antropologia e la scenografia delle redazioni, quell’epoca è ormai lontana quanto lo è la civiltà degli etruschi. Al “Corriere della Sera” degli anniTrenta e Quaranta, lì dove a viaggiare e a pubblicare pezzi di gran risalto erano sì e no una decina di giornalisti e mentre tutti gli altrierano incatenati al più umile lavoro redazionale, erano leggendarie le note spese degli inviati più celebri. Vero o verosimile che sia, Paolo Monelli metteva nella sua nota spese la voce «l’uomo non è fatto di legno», ciò di cui non gli si può dar torto. Che inviati della stazza di Indro Montanelli o l’Enzo Bettiza degli anni Sessanta e Settanta mettessero nel conto i sontuos imazzi di fiori inviati a una qualch econtessa parigina che li avevaospitati a cena e forse non soltantoa cena, non era nemmeno dadiscuterne da quanto era ovvio.Nell’ “Europeo” degli anni Ottanta, di cui ero una delle firme dipunta, una volta che feci un servizio culturale a Parigi misi in notaspese 500mila lire di libri acquistati in antiquariato, roba che se un giornalista lo facesse oggi rischierebbedi essere lapidato dall’amministrazione del suo giornale. Nel nostro “Panorama”degli anni Novanta non s’era spenta la leggenda delle regali note spese presentate da Carlo Rossella quando era un (brillante) inviatodegli Esteri. Stiamo parlando di un altro secolo, il lontanissimo Novecento.
Quanto alle note spese, anch’io ho il mio scheletro nell’armadio e ancora ne arrossisco dalla vergogna. Stavo nella redazione romana di “Panorama” da un paiod’anni, redazione che aveva a capo il mio amico Fabrizio Coisson, uno che qualche anno fa ha mandato al diavolo il lavoro giornalistico e s’è messo a occuparsi dic ose serie: i libri antichi.
Ebbene, il mio giornale mi aveva mandato a Venezia per un servizio. A Venezia mi aveva raggiunto (ed era rimasta a dormire in albergo per una notte) una mia bella amica che in quel momento mi sopravvalutava. Il giorno dopo dovevo lasciare l’albergo piuttosto presto, tanto che fin dalla sera prim aavevo prenotato il taxi acquatico che mi avrebbe portato all’aeroporto (la mia amica abitava in zona e perciò restava). Alla mattin ami precipito giù e trovo la fattura dell’albergo già pronta e il taxi che mi sta aspettando. La sera prima m’ero scordato di dire in albergoche la fattura doveva comprender euna camera singola e che io avrei pagato la differenza. Solo che la fattura l’avevano già fatta, una fattura il cui ammontare era detto esplicitamente corrispondere a quello di una camera matrimoniale. Ho chiesto, la differenza tra la singola e la matrimoniale era in tutto e per tutto d i20mila lire. Con quel taxi che mi aspettava ho deciso di non chiedere la correzione della fattura e dunque di pagare con la carta di credito di “Panorama” quelle 20mila lire che invece avrei dovuto metterci di tasca mia.
Che si trattasse di una camera matrimoniale e non di una camera singola non sfuggì all’occhiop rofessionalmente rigoroso della nostra segreteria di redazione, cu ispettava il compito di vivisezionare le nostre note spese. Coissonne fu avvisato e venne nella mia stanza a farmi un cazziatone. Aveva perfettamente ragione. Non c’è dubbio che avessi tentato di addosareal giornale 20mila lire di spese personali. Ne ero rosso di vergogna. Che dovevo fare, dimettermi?