Ester Mieli, Libero 12/12/2010, 12 dicembre 2010
UN CHILO DI CILIEGE: 35 EURO
È ufficiale: fare gli snob nuoce gravemente alla salute. Specie sottole feste. Quando, con gli inviti a cena che vengono programmati con la stessa cura di una cena di Stato, c’è gente disposta a fare di tutto per impressionare gli ospiti, incluso vendere l’anima al diavolo. O al fruttivendolo, che poi è la stessa cosa.
Perché, sotto Natale, il non plus ultra dell’ostentazione arriva dall’orto: primizie tropicali, frutta fuori stagione, rarità dell’emisfero australe. Tutta roba che, in un periodo dove il massimo dell’esotismo sono le banane, impressiona i commensali e fa fare la figura del gran signore all’ospite. Solo che l’operazione presenta diversi svantaggi. Il primo sonoi prezzi, con le primizie suddette messe in vendita a prezzi da Borsa dei diamanti di Amsterdam. E il secondo è che, per fare bella figura, si inquina il Pianeta peggio che con la marea nera del Golfo del Messico. I dati li ha messi insieme la Coldiretti: 35 euro al chilo per le rosse ciliegie e 28 per le albicocche. Frutta che, in parecchi casi, nemmeno sa di niente. Secondo lo studio della Coldiretti negli ultimi dieci anni si è assistito in Italia ad una crescita esponenziale degli sbarchi di fruttas traniera “contro” stagione come le more dal Messico (+6100 per cento), i mirtilli dall’Argentina (+560 percento) o le ciliegie dal Cile (+122 percento) i cui arrivi si concentrano proprio nel periodo di Natale. «Il consumo durante le feste di fine annodi prodotti fuori stagione provenienti di migliaia di chilometri di distanza», specifica l’organizzazione di agricoltori, «è una tendenza in forte ascesa che concorre a far saltare il budget dei cenoni con prezzi superiori ben oltre le dieci volte quelli di mele, pere, kiwi, uva, arancee clementine Made in Italy e appare del tutto ingiustificata perché si tratta spesso di prodotti poco gustosi e saporiti, essendo stati raccoltia un grado di maturazione in completoper poter resistere a viaggi di migliaia di chilometri percorsi su mezzi inquinanti che liberanon ell’aria gas ad effetto serra». A Campo de Fiori, nella Capitale, i banchetti di frutta e verdura attirano molti che non vogliono far mancares ulla tavola cibi “lontani”, mentre gli esercenti riscuotono un successo che riempie le casse in un momento in cui c’è la guerra dei prezzi sulle mele o le clementineche sfiorano, invece, l’euro, il chilo. Così nei maggiori mercati rionali delle città italiane e anche nella grande distribuzione (che non vuole perdere in termini di concorrenza)arriva la frutta del “resto del mondo”che fa più chic le festività nataliziee lascia i portafogli vuoti. Nonmancano i negozi specializzati chesembrano più gioiellerie che frutterie, dove i prodotti arrivano dai Paesi più lontani. Le albicocche dall’Australia,l e ciliegie e le pesche dal Cilee i mirtilli argentini salgono, in quest’ordine, sul podio della top ten dei cibi che sulle tavole nazionali delle feste, sprecano energia e inquinano il Natale e contribuiscono all’emissione di gas serra.
Tra i prodotti più diffusi che rischiano di “inquinare il Natale” ci sono anche le angurie del Brasile, le more dal Messico, gli asparagi dal Perù, i meloni dal Guadalupe e i fagiolin idall’Egitto. Secondo la Coldirettila voglia di cambiamento o il bisogno di stupire gli ospiti nei banchetti natalizi o di fine anno possono essere soddisfatte dalla riscoperta dei frutti meno “diffusi”, ma nazionali come cachi e fico d’India o antiche varietà, dalla mela limoncella alla pera madernassa, che valorizzano le tradizioni del territorio e garantiscono un sicuro successo a prezzi contenuti, rimandando alla giusta stagione il consumo di ciliegie, anguria, asparagi o fagiolini. Portafoglio alla mano per due chili di frutta non bastano 50 euro, quasi quanto spende una famiglia di quattro persone per la cena di Natale.. ORO ROSSO radiomontecarlo.