LUIGI GRASSIA, La Stampa 13/12/2010, pagina 36, 13 dicembre 2010
Opa choc sulla stamperia delle sterline - Non c’è più religione. Va bene che l’Inghilterra ha perso l’Impero, ma del suo antico ruolo globale ha conservato molti orpelli, e adesso c’è chi gliene vuole sfilare uno dei più lucrosi
Opa choc sulla stamperia delle sterline - Non c’è più religione. Va bene che l’Inghilterra ha perso l’Impero, ma del suo antico ruolo globale ha conservato molti orpelli, e adesso c’è chi gliene vuole sfilare uno dei più lucrosi. Un gruppo concorrente francese ha fatto un’offerta per acquistare in blocco la tipografia De La Rue, che a dispetto del nome è britannicissima e stampa le sterline con la faccia della Regina Elisabetta, stampa le rupie indiane e le banconote di 150 altri Paesi (fra ex dominati dagli inglesi e non), stampa assegni e carte elettroniche e francobolli e passaporti e documenti assortiti per numerosi Stati sparsi in tutto il mondo, e insomma è un’istituzione solida come la monarchia britannica, e invece ci sono dei blasfemi che se la vogliono comprare come niente fosse. E la cosa più blasfema di tutte è che all’offerta francese i proprietari attuali non hanno opposto un fermo e sdegnato «no» ma un morbido «ni», solo perché la somma proposta in pagamento è stata giudicata troppo bassa. Come dire: parliamone, nessuna obiezione di principio, rilanciate e potreste anche portarvi via tutto. La De La Rue ha sette stabilimenti sparsi fra Gran Bretagna e Irlanda e nei suoi circa 200 anni di vita ha fatto un sacco di profitti, ma nel luglio scorso è andata incontro a un grave infortunio che ne ha compromesso i bilanci: ha dovuto ammettere che una grossa partita di carta per banconote destinata a stampare rupie indiane era fallata e, peggio ancora, i certificati erano stati falsificati per nascondere l’errore. L’India ha reagito con furore, annunciando che non si sarebbe più servita di De La Rue, e pare che altri Paesi si siano accodati (non si sa per certo quali e quanti). Fra le conseguenze c’è stato un crollo del fatturato aziendale e una caduta parallela delle azioni De La Rue alla Borsa di Londra. Così alla società francese Oberthur, che di mestiere fa le stesse cose di De La Rue, è venuto in mente che l’occasione fosse ottima per mangiarsi una concorrente storica. Detto e fatto: i francesi hanno proposto alla De La Rue un acquisto in blocco delle azioni valutandole il 43% in più dei corsi del momento, peraltro molto ribassati dalle recenti vicissitudini. Questo è avvenuto circa un mese fa, senza che se ne sapesse alcunché all’esterno. I vertici aziendali ci hanno pensato su per conto loro e nella settimana appena conclusa hanno garbatamente declinato l’offerta di compravendita: «La consideriamo solo come una prima proposta, da migliorare». Sono seguite reazioni sdegnate da varie parti. Molti azionisti si sono infuriati perché i vertici aziendali hanno aspettato 4 settimane per comunicare l’offerta al mercato e poi non l’hanno accettata; per molti soci valorizzare l’investimento a 905 pence per azione, contro i 632,86 di prima che la notizia circolasse, sarebbe stata un’idea mica male. Ma lo sdegno degli azionisti è stato roba da poco rispetto a quello della nazione britannica. E non tanto perché l’offerta francese è sembrata sciacallesca, date le difficoltà attuali di De La Rue, quanto perché perdere questa tipografia è sembrato un attentato alla sovranità nazionale. Mettiamo pure che questo attacco della Oberthur venga respinto, ma se poi si presenta un altro compratore con più soldi, uno sceicco arabo, o un miliardario russo, che si fa, gli si vende la De La Rue? E gli si dà il controllo sulla stampa delle banconote e dei passaporti in Gran Bretagna e in altri 150 Paesi? Senza contare il mero rischio che l’acquirente sposti le fabbriche all’estero, o la sede sociale in un paradiso fiscale. È uno di quei casi in cui la fede nei mercati aperti va in crisi.