Claudio Magris, Corriere della Sera 13/12/2010, 13 dicembre 2010
SEDUZIONE E MISTERO. IL VIAGGIO ALLA RICERCA DEL COLORE PERFETTO
La profondità la troviamo nel blu. (...) La vocazione del blu alla profondità è così forte, che proprio nelle gradazioni più profonde diviene più intensa e intima. Più il blu è profondo e più richiama l’idea d’infinito, suscitando la nostalgia della purezza e del soprannaturale. È il colore del cielo
Wassily Kandinsky, «Lo spirituale nell’arte».
Un colore può uccidere? Nel Maestro del Giudizio Universale — geniale romanzo poliziesco del tedesco praghese Leo Perutz — un rosso insostenibile, frutto dell’allucinazione della droga e immagine della fine di tutte le cose, schianta chi lo vede. Nel trascinante romanzo di Gérard Roero di Cortanze, Il colore della paura, la ricerca di un indaco assoluto diventa la strada del male, del delitto e dell’orrore. Ma «che cos’è il colore?», si chiede Luisa Bertolini nel suo libro Il colore delle cose, aggiungendo peraltro che non è questa la domanda, quanto la difficoltà di dare un nome ai colori, di scoprirne la grammatica e, prima ancora, di indicare il colore puro, assoluto, il rosso o il verde in sé, che nessuno ha mai visto. I colori non sono soltanto una seduzione della vita e della poesia, ma sono prima ancora un’affascinante problema per la filosofia, che si è tante volte posta il problema della loro esistenza o non esistenza, del loro rapporto e del loro significato, dagli aristotelici a Kant, da Husserl a Wittgenstein. Quale è il colore di una foglia, il verde che mostra a mezzogiorno o il nero che vedi amo di notte? Quando diciamo «blu» indichiamo qualcosa di reale, come quando indichiamo il peso o la massa di quello stesso oggetto che ci appare blu, oppure quella parola è solo una metafora, una traduzione che il nostro cervello fa di determinate lunghezze d’onda con cui la luce arriva alla nostra corteccia cerebrale? Traduzione sofisticatissima, visto che il grande Atlante dei colori Dumont elenca 999 sfumature cromatiche diverse che l’occhio umano riesce a distinguere.
Il colore è un protagonista non solo di tanta poesia e letteratura, ma anche di aspre contese filosofiche. Goethe riteneva che il suo capolavoro fosse la sua Teoria dei colori, la quale contestava la spiegazione di Newton. Aveva — a metà — torto, perché la luce arriva al nostro cervello come dice Newton, ma aveva — a metà — ragione, perché noi vediamo blu, rosso o verde, e non cifre che indicano le rispettive lunghezze d’onda della luce. Nessuno come Paolo Bozzi — grande psicologo della percezione, musicista e musicologo e assai notevole ancorché appartato scrittore — ha dimostrato che Goethe analizza una realtà oggettiva: noi vediamo giallo o viola e non numeri, e questo vedere — e dunque il giallo e il viola che vediamo — sono una realtà oggettiva, un’esperienza del reale e del mondo, un incontro dei nostri sensi e della nostra mente con la vita.
Parecchi anni fa, Paolo Bozzi — senza il quale non avrei forse scritto il mio Danubio, perché mi ha insegnato a vedere e a percepire concretamente le cose, temi cui sono dedicati alcuni suoi memorabili saggi — ha ripetuto all’Università di Trieste, per integrare un mio corso su Goethe, gli esperimenti di quest’ultimo, i giochi fra luci e ombre, gli effetti di rifrazione, l’accostamento di colori diversi che si modificano reciprocamente, il fenomeno per cui gli oggetti scuri appaiono più piccoli di quelli chiari della stessa dimensione. Bozzi aiuta a capire che il mondo è reale, oggettivo anche nelle cosiddette qualità terziarie; che l’azzurro significa in sé lontananza, privazione e nostalgia, anche se certo non solo questo. Fra tutti i colori, scrive William Gass nel suo trattato filosofico On Being Blue, quest’ultimo ha, insieme al verde, il più intenso impatto emozionale.
Il simbolismo del colore è un grande capitolo nella storia della cultura e talora varia da una cultura all’altra, come nelle frasi idiomatiche (in italiano, rileva Anna Maria Ferrari, si diventa verdi di rabbia, in tedesco anche blu). Forse nessun colore ha tanti e tanto contraddittori significati come il blu. Elencarli significherebbe compilare una vasta antologia della poesia e della letteratura mondiale, come emerge dal libro di Amelia Valtolina, Blu e poesia. Il romantico fiore azzurro di Novalis, immagine della poesia stessa e dell’essenza della vita, rivelazione mistico-religiosa per un altro romantico come Runge, sublimità peraltro dissacrata da Baudelaire; malinconia e infinito, astrazione delle idee e nostalgia; colore celeste e marino ma anche infero (il giacinto azzurro di Persefone); colore dell’anima ma anche colore «sacrilego» e «morente» nella poesia di Benn; colore di tante avanguardie artistiche, dal Cavaliere Blu di Kandinsky ai cavalli azzurri di Marc, da Picasso a Matisse. Colore dell’infinito e della banale ubriachezza — sono blu, in tedesco, significa essere sbronzo. Colore della tristezza ( to feel blue, in inglese essere tristi; i Blues dei neri d’America. C’è infatti un cromatismo musicale, un colore dei suoni). In Cina gli ebrei venivano chiamati «musulmani blu» — visto che i mediorientali in generale erano considerati musulmani — per distinguerli, in base alla tinta del loro copricapo, dagli altri, ossia dai veri islamici. Alcuni psicologi chiamano «indigo children», bambini indaco, alcuni bambini particolarmente creativi e originali in misura perfino inquietante.
Nel romanzo di Gérard Roero di Cortanze — vitale, trascinante e sanguineo come il suo autore, prolifico e avventuroso scrittore che unisce un profondo senso dell’inquietudine contemporanea a un piglio epico da Alexandre Dumas — il protagonista, Jean Antoine Giobert, è alla ricerca del Blu assoluto. Lo cerca nelle terre che circondano il suo castello, in cui fiorisce una pianta da cui si estrae un incredibile azzurro-indaco; lo cerca in strani e occulti concorsi banditi per ottenere vari tipi di quel colore: blu sera, blu luna, blu notte, blu cielo, blu mare e così via. Questi concorsi generano misteriosamente orribili delitti, descritti con granguignolesca potenza. La cronaca e l’indagine del crimine s’intrecciano a macabre fantasie che emergono dal profondo del passato e dell’inconscio,
al ricordo rimosso di un massacro della famiglia del protagonista bambino. L’infera ricerca dell’indaco perfetto si mescola alla vocazione di fenomeni occulti (sonnambulismo, ipnosi) e viene vissuta con tale ossessione da diventare il colore della pelle del protagonista e di suo figlio, simile al livido della morte.
La ricerca del Blu, dell’Indaco assoluto — la ricerca dell’assoluto tout-court — è un’ossessione mortale (come indica la pagina che qui si riporta, in cui il colore perfetto nasce dalla morte delle farfalle) quasi i colori nascessero veramente dall’ombra, come riteneva il bizzarro gesuita barocco padre Kircher, anziché dalla luce, come sapeva Newton. Ma la forza epica dell’autore riesce ad attraversare quel mare oscuro, a trovare la vita passando per le forche caudine della morte. La seduzione dell’azzurro può essere quella di un abbandono alla beatitudine dell’abisso, come nel Grand bleu di Luc Besson, oppure, come nel Film Blu di Kieslowski, quella della libertà della vita.
Claudio Magris