Guido Olimpio, Corriere della Sera 13/12/2010, 13 dicembre 2010
NOMADI E LUPI SOLITARI: COSI’ LA SCANDINAVIA DIVENTA L’AVAMPOSTO DELLA JIHAD IN EUROPA
Per i «nomadi» della jihad le vignette blasfeme pubblicate dal quotidiano danese Jyllands-Posten sono diventate un’ossessione. Una causa giusta per morire come per uccidere. E hanno provato in tutti modi a vendicare l’offesa arrecata al Profeta. L’attacco in Svezia è solo l’ultimo tentativo messo in atto da terroristi solitari e gruppi organizzati. La serie è impressionante e ci limitiamo a citare i casi individuati nell’arco dell’ultimo anno.
Ottobre 2009 — Incriminato negli Usa David Headley, pachistano-americano, legato a Ilyas Kashmiri, capo della Brigata 313, basata in Pakistan: progettava un’azione nella capitale danese. Ottobre — Incriminazione per Colleen LaRose, convertita americana detta «Jihad Jane», voleva uccidere il vignettista svedese Lars Vilks insieme ad un commando che risiedeva in Irlanda. Gennaio 2010 — Tentativo di assassinio del disegnatore danese Kurt Westergaard: arrestato un giovane somalo residente da anni nel Paese e legato al movimento Shabab. Luglio — Catturata una cellula in Danimarca che progettava un attentato contro il Jyllands. Ne facevano parte un curdo, un ceceno e un membro della minoranza musulmana cinese (gli uighuri). Settembre — Un ex pugile ceceno residente in Belgio cerca di inviare una lettera bomba al quotidiano Jyllands: resta ferito in modo lieve.
Il dato che emerge è il carattere transnazionale dei terroristi. Sono elementi di varia provenienza, vivono in Occidente, dimostrano una grande mobilità, non hanno radici oppure le hanno recise. Ecco perché li definiscono i «nomadi». Il presunto kamikaze di Stoccolma rientra in questo profilo: iracheno, si era trasferito nel Paese e aveva poi studiato in Gran Bretagna, si guadagnava la vita facendo l’uomo sandwich. Alcuni di loro hanno un vincolo con organizzazioni ben strutturate, altri si auto-indottrinano grazie anche a Internet. Poi passano all’azione con i mezzi a disposizione. L’esplosivo — magari la famosa «madre di Satana» costruita in cucina —, l’auto piena di bombole o un semplice pugnale. La distanza che separa la loro preparazione dalla possibilità di successo non è un ostacolo. Con i qaedisti tradizionali concentrati in Asia, il peso degli attacchi ricade su queste micro-realtà. Due o tre militanti, a volte persino un singolo individuo. La propaganda via web — con i martellanti riferimenti alle vignette o alla partecipazione della Svezia alla guerra in Afghanistan — alimenta la spinta. Così come il risentimento di chi è stato accolto in Scandinavia e ha poi avuto una crisi di rigetto. La sua rabbia è diventata odio verso l’Occidente.
Due i pericoli. Una moltiplicazione di attentati portati dai lupi solitari. La saldatura tra i terroristi nati in casa e i professionisti. Soprattutto in Europa. Secondo nostre fonti Ilyas Kashmiri, insieme al Movimento Islamico Uzbeko, sta «coltivando» giovani reclute provenienti da Gran Bretagna e Germania. Altri mujahedin, invece, sarebbero già presenti nel Vecchio Continente per sferrare un attacco spettacolare. Alla fine di novembre in Belgio è stato neutralizzato un nucleo formato da nord-africani e ceceni. Volevano attaccare obiettivi della Nato. Gli 007 sono convinti che ci riproveranno.
Guido Olimpio