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 2010  dicembre 12 Domenica calendario

IL FIGLIO DI MADOFF S’IMPICCA A NEW YORK

Il peso della più grande truffa della storia. Forse il rimorso di aver provocato, con la sua denuncia di due anni fa, l’ incarcerazione a vita del padre Bernard. Le liti con la moglie, la depressione, le cause civili per danni, forse qualche altro guaio penale in arrivo. E i riflettori che non si spengono mai. Mark Madoff, il 46enne primogenito del finanziere che con la sua truffa da 65 miliardi si è guadagnato il titolo di recordman mondiale della bancarotta, non ce l’ ha fatta più. Solo, nella sua casa di Mercer Street, nel quartiere di Soho, col figlioletto di meno di due anni che dormiva nella stanza accanto, ha appeso il guinzaglio nero del cane a un tubo del riscaldamento che attraversa il soffitto e si è impiccato. Senza trovare pace nemmeno da morto: «Ha scelto il modo più semplice per non affrontare i problemi che ha creato», hanno scritto subito alcuni «blog» che da due anni si occupano della maxitruffa. Il caso Madoff ha suscitato talmente tanta indignazione e l’ aspetto inizialmente farsesco di questi crimini che si sono protratti senza alcun disturbo per decenni strada facendo si è così impregnato delle tinte del dramma migliaia di persone ridotte sul lastrico in tutto il mondo, Bernard processato e condannato a 150 anni di detenzione, le percosse in carcere che un esito tragico era stato messo in conto da molti. Il crac che ha travolto Wall Street alla fine del 2008 ha bruciato le vite di vari «broker» che hanno scelto di gettarsi nel vuoto, stremati dal rimorso o incapaci di affrontare le loro responsabilità. Mark ha resistito due anni: come il fratello, lo zio e la madre ha passato tutta la sua vita professionale lavorando per l’ azienda paterna. Come poteva non sapere? È la domanda che si sono sempre fatti tutti e che ha continuato a rimbombare nella sua testa fino all’ ultimo. I magistrati hanno creduto alla sua denuncia e non hanno mai incriminato né lui né gli altri membri della famiglia. Ma le cause civili fioccavano. Forse era in arrivo anche un procedimento penale del Fisco Usa. E la marea del disprezzo della società non accennava a calare. La moglie Stephanie l’ aveva combattuta cambiando, per sé e i due figli, il cognome Madoff in Morgan. Ma Mark non poteva cancellare il suo passato. E non riusciva a trovare un lavoro. Passava la giornata - più un passatempo che un impegno professionale - a sviluppare applicazioni per l’ iPad. Molto tempo libero per rimuginare su questi due anni: la scoperta della truffa, le ammissioni del padre, le consultazioni con l’ avvocato, la decisione di denunciare Bernard. Poi il frastuono delle accuse - sei complice, sapevi tutto, dove hai nascosto i soldi? - e il silenzio dei rapporti domestici: settecento giorni senza parlare col padre né con la madre Ruth, anche lei mai incriminata nonostante avesse materialmente collaborato col marito, scrivendo anche molti assegni di suo pugno. Mark ha scelto il giorno del secondo anniversario dell’ arresto del padre per farla finita. «Era una ricorrenza che lo angosciava particolarmente», dicono ora i pochi amici rimasti. Altri, più maliziosamente, fanno notare, che quello di ieri era anche l’ ultimo giorno a disposizione di Irving Picard - il procuratore nominato dal tribunale per recuperare almeno parte del patrimonio truffato agli investitori - per depositare le sue denunce per danni. E infatti Picard aveva chiesto tre settimane fa ai membri della famiglia di restituire alcune decine di milioni di dollari. Negli ultimi giorni - dopo aver denunciato a raffica chiedendo quasi 20 miliardi di dollari di danni molte banche considerate complici di Madoff e Sonja Kohn, celebre donna di finanza, fondatrice di una banca austriaca poi finita nell’ orbita Unicredit - il procuratore era tornato alla carica prendendo di mira anche i figli di Mark: nonno Bernard aveva, infatti, intestato alcuni beni anche ai bimbetti. Ma Mark viveva da tempo in uno stato di esasperazione. Un anno fa la moglie Stephanie aveva chiamato la polizia quando, dopo una violenta lite, lui se n’ era andato senza lasciare tracce. In realtà aveva inforcato la sua Vespa e si era rifugiato in un albergo, sotto falso nome. Tornato a casa si era scusato con la polizia e aveva promesso si sottoporsi a cure psichiatriche. Che non sono servite a molto. Nonostante le liti e il cambio di cognome, Stephanie non aveva divorziato. In questi giorni, però, era in Florida con la figlia di 4 anni. Venerdì notte dialogava col marito via email. L’ ultimo messaggio di Mark, alle 4 del mattino, le ha fatto gelare il sangue: «Qualcuno dovrà occuparsi di nostro figlio». Stephanie ha chiamato subito il patrigno, Martin London, celebre avvocato di New York. Che nella casa di Mercer Street, poco dopo le 7, ha trovato un corpo appeso al soffitto e un bimbo ancora addormentato.
Massimo Gaggi