ANDREA GRECO, la Repubblica 11/12/2010, 11 dicembre 2010
L´ENI NELLA PALUDE DI SOUTH STREAM LENTA RITIRATA DAL GASDOTTO DI GAZPROM - ROMA
Il gasdotto South Stream fa ancora discutere. Non nel governo italiano, che continua ad alimentare le mire della geopolitica russa, ma nelle file di Eni, imbarcata nel progetto con Gazprom anche per le pressioni di Silvio Berlusconi. E che risulta stia preparando un molto felpato e graduale dietrofront, per disinnescare un affare in cui credono molto i russi e sempre meno i tecnici italiani. «Non credo - ha detto Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo Economico con delega all´energia - che Eni abbia aderito a South Stream per questioni ideologiche. Credo abbia trovato una convenienza economica». Sull´Italia ha aggiunto: «Un Paese che nella strategia energetica punta a nucleare e rinnovabili difficilmente può essere considerato gemello siamese di un produttore. L´Italia non è Russia-dipendente, cerca di costruire un sistema energetico equilibrato e corretto». Purtroppo l´ultima Bp Statistical Review riporta dati divergenti: l´Italia sfama il fabbisogno di 163 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti in larga parte con greggio (75 milioni) e gas (64 milioni). Di questo un terzo viene dai gasdotti russi. Dopo la crisi mondiale, l´approvvigionamento di gas mediante navi e rigassificatori (in alternativa ai gasdotti) costa fino al 30% in meno, e spiega lo scetticismo crescente su un´idea fortemente voluta solo da Putin e da Berlusconi, che tempo fa corse di persona a vincere la ritrosia del premier bulgaro sul tracciato. L´infrastruttura, 1.250 chilometri sotto il Mar Nero in longitudine poi Bulgaria, Macedonia, Albania e altro mare fino alla Puglia, fu pensata nel 2007 per dare al Cremlino un´alternativa ai tubi che valicano l´Ucraina. Ma dopola normalizzazione politica degli "arancioni" ucraini e la riduzione dei consumi di gas, è difficile trovare un senso a South Stream.Un altro argomento contrario, tecnologico, riguarda la nuova tecnica di estrazione di gas dagli scisti rocciosi, finora costosa per ragioni ambientali ma con interessanti prospettive: giusto ieri Eni ha acquisito Minsk Energy e debuttato come operatore nel gas non convenzionale, in Polonia.
Sempre ieri il presidente Eni, Roberto Poli, ha dichiarato: «Non ho mai detto di voler far marcia indietro su South Stream». Ma i giornalisti da lui invitati a cena mercoledì a New York l´hanno sentito dire, off records, che la decisione finale sul progetto sarà presa solo se i costi saranno compatibili con l´interesse aziendale. Le ricostruzioni che danno gli italiani in strategica ritirata sono articolate. Nel 2009il cda Eni espresse forti riserve all´ad Paolo Scaroni, chiedendogli di prendere tempo.A fine novembre il managerha detto: «Serviranno 6-7 mesi per definire gli aspetti tecnici di South Stream»; più altri mesi per il piano industriale concreto. Ma già da qualche mese Gazprom ha girato la clessidra, e attende con crescente nervosismo che Eni si decida. Perché anche se la competenza della controllata Saipem è insuperata e fondamentale nella posa dei tubi sottomarini, Mosca non si fermerà: «South Stream si farà, con o senza l´apporto di Eni», dice una fonte ufficiosa russa. Non è un caso che nel frattempo l´azionariato a due del consorzio si sia allargato ai francesi di Edf (10%) e presto ai tedeschi di Basf (10%). Tutte quote che potrebbero ridurre il 50% italiano, e altre vendite verranno, si dice. C´è un altro dettaglio che affiora, e induce sotto il Cremlino a definire «tattica temporeggiatrice» quella di Scaroni sul dossier. Gli italiani hanno preferito appaltare l´analisi preparatoria di South Stream all´esterno, a un´oscura società progettatrice di San Pietroburgo. Un modo, si mugugna a Mosca, per guadagnare altro tempo nelle revisioni successive. «South Stream come iniziativa industriale non ha più nessun senso - dice un manager del settore - nei panni di Scaroni cercherei di sfilarmi senza far troppi danni». Eni non può certo confermare, ne va dei rapporti Italia-Russia, ma forse è proprio quel sta accadendo. Un po´ di "melina" per aspettare il rinnovo dei vertice (primavera 2011). Per quella data sarà più chiaro anche ildestino del governo Berlusconi.