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 2010  dicembre 13 Lunedì calendario

Domani il Parlamento vota la fiducia a Berlusconi. Il Cavaliere andrà prima al Senato, pronuncerà un discorso, poi si sposterà alla Camera e ripeterà lo stesso discorso

Domani il Parlamento vota la fiducia a Berlusconi. Il Cavaliere andrà prima al Senato, pronuncerà un discorso, poi si sposterà alla Camera e ripeterà lo stesso discorso. Seguiranno, contemporaneamente a Palazzo Madama e a Montecitorio, dibattito e voto. Una procedura del tutto nuova, voluta da Napolitano per evitare un conflitto tra le due assemblee. Berlusconi avrebbe voluto infatti far votare prima i senatori – dove è sicuro di passare – e poi affrontare i deputati, dove la sua maggioranza è incerta. Lo scrutinio pressoché simultaneo preteso dal presidente della Repubblica ha sgombrato il campo da ulteriori elementi di conflittualità. Il Senato si esprimerà su una mozione di fiducia, presentata dal Pdl. La Camera invece voterà sulla mozione di sfiducia sottoscritta dai finiani, dall’Udc (Casini), dall’Api (Rutelli), dal Movimento per le Autonomie (Lombardo), dai Libdem di Italo Tanoni, da Paolo Guzzanti (unico deputato del Partito Liberale) e da Giorgio La Malfa, che è stato per questo sospeso dal Partito Repubblicano che fu già di suo padre. Guzzanti Ci si scervella per capire come andrà il voto di Montecitorio. Gli ultimi calcoli davano il governo vincente per un voto, 314 a 313, supponendo che gli onorevoli Guzzanti, Calearo, Scilipoti e Catone appoggiassero Berlusconi. Ma il voto di Guzzanti – che ha oltre tutto firmato la mozione di sfiducia – dovrebbe restare all’opposizione: il deputato-giornalista ha chiesto infatti molte cose al presidente del Consiglio per votare “no” alla sfiducia, e tra queste l’impegno ad abrogare l’attuale legge elettorale e a ripristinare il vecchio Mattarellum (quello con cui si votò nel 2001). Si sa che Berlusconi, nel suo discorso (che promette di alto profilo istituzionale), accennerà alla possibilità di modificare la legge elettorale, senza però che sia intaccato il principio del bipolarismo, dunque mantenendo il premio di maggioranza. Troppo poco, si direbbe, per recuperare Guzzanti, e infatti domenica pomeriggio lo stesso segretario del Pli, Stefano De Luca, ha confermato che Guzzanti voterà la sfiducia. In questo caso il governo andrebbe sotto 313 a 314. Incognite Le incognite sono tuttavia ancora parecchie. C’è intanto il caso delle tre deputate incinte. Si tratta di Giulia Bongiorno e Giulia Cosenza, finiane; e di Federica Mogherini, democratica. Le loro assenze – su cui non sono mancate insinuazioni – oltre a modificare la conta, abbasserebbero il quorum richiesto. I sei radicali voteranno contro il governo. Pannella lo ha chiarito domenica pomeriggio: «sfiduciare il governo per sfiduciare il regime». Il Pd gli ha garantito un intervento in aula di cinque minuti invece che di uno. Gli onorevoli Calearo (un ex veltroniano, passato poi a Rutelli, quindi al gruppo misto), Scilipoti (ex Idv) e Cesario (ex Udc) hanno dato vita una nuova formazione, detta Movimento di Responsabilità, annunciando contemporaneamente tre posizioni diverse sulla fiducia: astensione, voto contro, voto a favore. Oggi dovrebbero concordare una posizione comune e la previsione è di tre “sì” al governo. Calearo ha anche raccontato di aver ricevuto molte telefonate dai suoi ex colleghi del Pd: «Almeno tu che ne hai la possibilità, vota a favore del governo». Se infatti Berlusconi cadesse, e le Camere fossero sciolte, 345 parlamentari resterebbero senza pensione (per maturare il diritto ci vuole adesso una legislatura completa) e perderebbo un paio d’anni di stipendio, cioè circa 380 mila euro. Esiste dunque un forte partito trasversale che, indipendentemente dalle posizioni delle sigle di appartenenza, non vuole la fine della legislatura. Grazie a questo sentimento, s’è svolta per tutta la settimana un’intensa opera di persuasione, da parte dello stesso Berlusconi e di suoi adepti fidati (tra cui spicca l’ex giornalista tv Pionati, già Udc e adesso unico rappresentante di un partito che si chiama Alleanza di Centro per la Libertà). Secondo Massimo Calearo, Berlusconi ricompensa il passaggio di campo con 350-500 mila euro. Il deputato Antonio Razzi, già dell’Idv e ora in Noi Sud, eletto in una circoscrizione estera, ha raccontato a Radio 24: ««Sono stato avvicinato da cinque, tre del Pdl. Le offerte più concrete che mi hanno fatto sono state la ricandidatura e la rielezione sicura, ma questa volta in un collegio italiano. Ho comprato casa a Pescara, devo pagare ancora un mutuo da 150mila euro. Io gli ho detto che avevo questo mutuo e loro: “Ma che problema c’è? Lo estinguiamo...”». Magistratura Tutto questo mercato ha indotto l’onorevore Di Pietro a presentare un esposto alla magistratura. S’è saputo così che già da un mese la procura di Roma, basandosi su notizie di stampa, ha aperto d’ufficio un fascicolo sulla compravendita dei deputati, senza però accennare né a indagati né a ipotesi di reato. Il dossier messo insieme da Di Pietro (altri ritagli di stampa) ha indotto il procuratore capo, Giovanni Ferrara, ad aprire un secondo fascicolo, analogo al primo. Il Pdl ha risposto con espressioni di sdegno e annunciando, attraverso Bondi e Verdini, la presentazione di un contro-esposto per calunnie. Non pare però che il cambiar casacca per soldi – a parte le considerazioni morali - possa essere considerato un reato. Bersani, alla manifestazione indetta dal Pd sabato scorso, ha gridato dal palco: «Vergogna! Vergogna!». Parecchi commentatori hanno però criticato il sistema adottato da Di Pietro per la selezione dei suoi parlamentari, non nuovi a repentini cambi di campo. Finiani Si segnala una forte fibrillazione in campo finiano. Sei esponenti di questo gruppo hanno fatto causa comune con dieci pidielli per scrivere a Berlusconi e a Fini una lettera in cui si chiede di evitare il voto di fiducia e organizzare tre tavoli in cui il centro-destra discuta di riforma costituzionale ed elettorale, economia e fisco, nuova articolazione dell’alleanza. Berlusconi (consultato prima) ha molto gradito, Bocchino, per conto di Fini, ha risposto che si tratta di un’iniziativa tardiva e che il gruppo, domani, voterà compatto contro il governo. Fini, intervistato domenica in tv da Lucia Annunziata, ha concesso che l’iniziativa dei suoi è stata fatta in buona fede, ma ha negato qualunque spaccatura nel Fli. «Se Berlusconi ottenesse la fiducia alla Camera con una maggioranza di dieci voti, mi dimetterei». Il paese non ha bisogno di elezioni, ma di un nuovo governo di centro-destra, magari guidato da Tremonti. Da mercoledì in ogni caso – dice – il suo partito sarà all’opposizione. Queste dichiarazioni hanno generato amarezza nel primo firmatario della lettera, Silvano Moffa, che viene adesso collocato tra i possibili astenuti. Scenari Dato per certa la fiducia al Senato, sono possibili a questo punto vari scenari: • Ottenuta la fiducia al Senato, Berlusconi chiede alla Camera di sospendere la seduta e sale al Quirinale senza farsi sfiduciare. È la strada più sicura per ottenere un reincarico. • Berlusconi, passato l’esame al Senato, ottiene la fiducia anche alla Camera per uno o due voti. Governa quindi, reggendosi su un vantaggio fragile, fino all’approvazione del disegno di legge sull’università e degli ultimi decreti relativi al federalismo, per i quali il governo ha la delega fino a maggio. Tutti provvedimenti che non corrono rischi perché sono al Senato. Sale poi al Quirinale e chiede lo scioglimento delle Camere e le elezioni. È la via che vorrebbe seguire Bossi, il quale è certo di uscire da una prossima consultazione elettorale molto più forte. Al momento questo percorso non è però gradito dal Cavaliere: dopo il voto (27 marzo?), il centro-destra rischia infatti di non avere la maggioranza al Senato. La Lega allora potrebbe impallinare Berlusconi e, alleandosi con altre forze politiche, consegnare Palazzo Chigi a Tremonti. • Ottenuta la fiducia alla Camera, Berlusconi tenterebbe un’apertura all’Udc, che ha di molto raffreddato, negli ultimi giorni, il rapporto con il Fli. Spinge su questa strada anche il Vaticano, che non gradisce una maggioranza in cui sia presente il presunto laico Fini (Berlusconi, nelle ultime dichiarazioni, ha dato ampie assicurazioni ai cattolici sui temi bioetici, che stanno loro particolarmente a cuore). C’è però il problema di Bossi, che non vuole aperture ai “democristianoni”, oltre tutto contrari al federalismo. • Berlusconi non ottiene la fiducia a Montecitorio. In questo caso, le soluzioni possibili sono tre: 1. Scioglimento immediato delle Camere, ad onta che a voler le elezioni sia solo la Lega. Contro questa ipotesi sta la delicatezza della crisi internazionale, la possibilità cioè che un’ondata di vendite colpisca i nostri titoli. L’Italia deve chiedere ai mercati, entro la fine di marzo, 120 miliardi di euro. 2. Formazione di un governo di centro-destra, guidato ancora da Berlusconi. Sarebbe possibile solo se la Lega accettasse di far entrare nella maggioranza e nel governo l’Udc. 3. Formazione di un governo di centro-destra, non guidato da Berlusconi. A questo punto rientrerebbero in gioco sia Fini che Casini. Ma il Pdl? Il nome più probabile per un esecutivo simile sarebbe quello di Maroni, dato che la Lega – per ingoiare il roso di un ritorno del Fli e dell’Udc, dovrebbe avere una ricompensa grossa. Questo esecutivo tenterebbe il cambio della legge elettorale, abolendo come minimo il premio di maggioranza e facendoci tornare a un sistema proporzionale temperato dagli sbarramenti. È probabile che si andrebbe comunque al voto entro il 2011. 4. Formazione di un governo di larghe intese, aperto cioè anche all’opposizione. Difficile che il Fli vi partecipi, perché confermerebbe la tesi che Berlusconi va sostenendo in queste ore e cioè che Fini ha operato «per riportare i comunisti al governo». Anche in questo caso, cambio della legge elettorale e varo di qualche provvedimento economico. Il presidente del Consiglio potrebbe essere Draghi o Mario Monti o forse un Pisanu che abbandonasse un Pdl a quel punto probabilmente in pezzi. Legittimo impedimento La Corte costituzionale ha sgombrato il quadro da un elemento di tensione, cioè la pronuncia sulla legittimità della legge cosiddetta del “legittimo impedimento”. La discussione, messa in calendario per domani, è stata spostata a gennaio per rispetto alla delicatezza del momento. Molte polemiche, benché il nuovo presidente Ugo De Siervo – eletto lo scorso 10 dicembre con un solo voto di scarto – sia considerato un prodiano.