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 2010  dicembre 11 Sabato calendario

I COSTI DELL’OPERA, PER VOCE ARANCIO


«Che cosa c’è di più bello di un’opera che si chiude con un rogo? Il finale della Valchiria fa scender qualche lagrima anche al centesimo ascolto» (Paolo Isotta, critico musicale del Corriere della Sera).

Il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, Die Walküre di Richard Wagner, direttore Daniel Barenboim, apre la stagione del Teatro alla Scala di Milano. Regista è il belga Guy Cassiers. Sul palco le migliori voci wagneriane del momento: Nina Stemme (Brünnhilde), Waltraud Meier (Sieglinde), Vitalij Kowaljow (Wotan), Ekaterina Gubanova (Fricka). La Stemme è al debutto scaligero, così come Simon O’Neill (Siegmund) e John Tomlinson (Hunding). «Cast perfetto», ha detto Barenboim.

Qualche giorno prima, il 2 dicembre, Riccardo Muti apre con Moïse et Pharaon di Rossini la stagione del Teatro dell’Opera di Roma. Muti è stato per 19 anni direttore musicale della Scala (dal 1986 al 2005).

Die Walküre – cioè La Valchiria, seconda giornata della tetralogia wagneriana dell’Anello del Nibelungo – sarà trasmessa in diretta su Rai 5 e sarà proiettata nei cinema di mezzo mondo. A Milano la si potrà guardare anche nel grande schermo piazzato nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele.

Tra gli illustri presenti abituali per la prima della Scala: il presidente della Repubblica (Napolitano ci va spesso) e/o il presidente del Consiglio (Berlusconi ci andò solo una volta, da premier), il sindaco di Milano (sempre presente). Poi tutto il resto della crème cittadina e nazionale. Molti presenzialisti. Ci sarà anche Valeria Marini, un’habitué negli ultimi anni. Sicura anche la presenza dei tradizionali contestatori.

Per tre secoli il teatro d’opera era il centro della vita sociale delle città italiane. In teatro si faceva il debutto in società, in teatro si conosceva la gente che conta, in teatro ci si sceglieva la moglie. Ogni classe sociale aveva il suo posto: la nobiltà nei palchi, la borghesia in platea e il popolo in loggione. La tradizione sociale della prima ha resistito alla fine del ruolo sociale del teatro d’opera.

La prima è una tradizione molto italiana, anche perché all’estero i teatri praticamente non chiudono mai. Un tempo le prime avevano come data tradizionale il 26 dicembre, inaugurazione della stagione «di Carnevale» per tutti i teatri italiani. L’uso di inaugurare la stagione della Scala il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio patrono di Milano, risale al 1951, per volontà di Victor De Sabata, che in quel giorno diresse I Vespri siciliani con Maria Callas.

I calcoli dicono che Die Walküre incasserà 2,3 milioni di euro nella prima serata. Con le repliche si arriverà quasi a 4 milioni. Ma la prima dovrebbe fare del bene anche a Milano. Nel 2008 la Camera di commercio ha calcolato che porta un giro d’affari di 750 mila euro. Fra trucco e parrucco, gioielli e gemelli, scarpe e cappelli, accessori e pochette: l’impatto economico è oltre il doppio rispetto a una rappresentazione normale. Le imprese legate all’“effetto Scala” sono, solo in centro, circa 500: a queste, l’intera stagione porta 13 milioni di euro.

Per la prima della Scala il biglietto più economico costa 120 euro ed è per un posticino nelle terze file del loggione. Per andare nelle file più avanti, sempre in piccionaia, servono dai 240 ai 420 euro. Per entrare in un palco bisogna comprare un biglietto da almeno 600 euro, sempre se ci si accontenta di un posto in seconda fila in un palco molto laterale. Per i palchi migliori il prezzo schizza sopra i 1.500 euro, fino a un massimo di 2.400. E con 3.000 euro si può anche scendere in platea. Comunque i posti liberi sono già quasi esauriti.

Chi va alla prima paga tutta la mondanità dell’evento. Per godersi l’opera non bisogna sempre pagare tanto. Die Walküre, ad esempio, sarà ripetuto altre cinque volte (fino al 2 gennaio) a prezzi più ragionevoli. Per un posto in galleria si spendono dai 26 ai 92 euro, per i palchi si va da 72 a 224. Duecentoventiquattro euro è anche il prezzo di un biglietto in platea. Il 4 dicembre, poi, ci sarà la prima per gli “under 30”: i biglietti per la Valchiria di Barenboim destinati ai giovani costavano (sono già esauriti) solo 10 euro.

In altri teatri, che non saranno la Scala ma hanno comunque il loro prestigio, i biglietti non sono a prezzi popolari, ma quasi. Al San Carlo di Napoli un posto in platea si paga dai 30 ai 50 euro, la balconata va dai 25 ai 40; al Regio di Torino il biglietto più costoso per la prima si fermava a 300 euro, mentre per il resto dalla stagione si spendono dai 28 ai 146 euro; al Massimo di Palermo si va dai 10 ai 100 euro. I migliori posti alle prime si pagano 125 euro.

Secondo i calcoli dell’Ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza il valore del marchio “La Scala” è stimato in più di 27 miliardi di euro. Più di Nokia (23 miliardi) e McDonald’s (21,3 miliardi) ma meno di Coca Cola (45 miliardi) o Ibm (40 miliardi).

Con la prima la Scala rientrerà sicuramente dai costi dell’organizzazione. Il manager di un grande teatro italiano, che preferisce rimanere anonimo, ci spiega che un’opera, con 5 o 6 rappresentazioni, costa in media un milione mezzo di euro. Un terzo serve a pagare l’orchestra, composta di un numero di elementi che può variare dalle 50 alle 100 unità; altri 500 mila euro vanno nei compensi al cast: cantanti, direttore, regista, scenografo; l’ultimo terzo serve per le spese tecniche dell’allestimento e amministrative.

L’economista Giuseppe Pennisi: «In media mettere in scena uno spettacolo nelle fondazioni italiane costa il 50% in più rispetto a un altro paese Ue. Una volta Zubin Mehta mi ha raccontato che a Vienna o New York gli davano 5 mila euro, poi veniva a Firenze e gliene offrivano 15 mila». Perché? «Qui c’è un sistema di agenti molto bravi e molto potenti. Bisognerebbe fare qualcosa per ridimensionarli».

Pennisi spiega anche che ci sarebbe un modo di ridurre le spese rapidamente. Per prima cosa bisognerebbe fare un «cartellone nazionale» per evitare sovrapposizioni tra un teatro e l’altro, con la stessa opera che a volte è allestita in simultanea in due posti diversi. E poi servirebbero drastici tagli sui corpi di ballo, «che costano tantissimo e fanno solo due spettacoli all’anno. Dovrebbero lasciarne solo due: uno a Roma e uno a Milano».

Il manager anonimo conferma. Ma nell’Italia dei 100 campanili, per i teatri e per il pubblico «il cartellone nazionale è una blasfemia». Sugli stipendi non si sbilancia, ma «i direttori più importanti prendono attorno ai 20 mila euro. Certo, ci sono anche le superstar che vanno a prendere di più». Ci sono margini di risparmio? «Dipende. Intanto ogni città vuole il suo teatro con il suo programma. Se si vuole questa soluzione tutto ciò ha un prezzo. Poi dobbiamo chiarire una cosa: l’opera è una produzione artistica che nasce nel Settecento e che prevede molto lavoro manuale. Senza quel lavoro non puoi fare l’opera. Per questo i margini di risparmio sono comunque limitati».

Certo, su alcune cose si potrebbe tagliare. «I dipendenti vivono in un sistema completamente garantito dallo Stato, e molti, storicamente, ne hanno approfittato. Ci sono integrativi che sono retaggi borbonici. Un esempio: in un teatro fino a qualche anno fa era prevista l’indennità ginocchio, perché c’erano opera che prevedevano che il coro, in alcune scene, dovesse rimanere in ginocchio».

La lirica in Italia vive soprattutto di soldi pubblici. Quasi la metà del Fondo unico per lo spettacolo va a finire nelle 14 Fondazioni lirico-sinfoniche. Nel 2009 hanno incassato, tutte assieme, 240,3 milioni di euro dallo Stato. La Scala, la più finanziata, ne ha avuti 33 milioni, Cagliari, il teatro che ha preso di meno, 10. Ai soldi pubblici si sommano gli incassi al botteghino che valgono, in media, il 20% delle entrate di un teatro d’opera. Con le dovute eccezioni: la Scala incassa con i biglietti il 34% delle sue entrate, Palermo non arriva al 7%.

La vendita dei biglietti dei teatri d’opera ha generato un incasso complessivo di 114 milioni di euro nel 2009.

Gli spettatori, in calo costante, sono stati nel 2008 circa 1,5 milioni nella stagione invernale, cui si aggiungono circa 800.000 ingressi alle manifestazioni estive (Arena di Verona e Terme di Caracalla).

I soldi dello Stato, più quelli dei biglietti, spesso non bastano comunque a coprire le spese dei teatri, che solo per il personale spendono tutti assieme 340 milioni di euro l’anno. In totale le 14 fondazioni hanno 5.700 dipendenti. Sempre la Scala, che fa lavorare 802 persone, nel 2008 ha pagato 63 milioni di euro di stipendi. In quanto fondazioni, i teatri possono essere finanziati anche dai privati, che dànno soldi al comparto per un 5-10 per cento del totale dei finanziamenti. L’unica eccezione è rappresentata ancora dalla Scala (nel 2008, più di 15 milioni ricevuti dai privati).

Comunque il risultato è che spesso le fondazioni chiudono i bilanci in rosso. Nel 2005 erano in perdita 8 fondazioni su 14. Nel 2010 dovrebbero finire l’anno in passivo 3 teatri, 6 dovrebbero raggiungere il pareggio, 5 l’attivo. E non si sa cosa succederà l’anno prossimo, quando gli stanziamenti del Fus saranno dimezzati.

C’è chi accusa le fondazioni italiane per la loro produttività «non frenetica». Pennisi: «Nel 2007 la Scala ha fatto 107 recite d’opera, Napoli 51, Genova, 56, Bologna 59... Alla Staatsoper di Vienna invece si canta praticamente ogni sera, 356 volte l’anno, all’Opera di Parigi 360. Là fanno teatro di repertorio, cioè si tiene lo stesso cast per tutte le opere in cartellone. Da noi si fa produzione a stagione: ogni opera in cartellone ha il suo cast. E questa soluzione è molto più costosa anche se offre generalmente migliore qualità artistica».

Antonio Congnata, professore di Economia all’Università di Palermo e sovrintendente al Teatro Massimo. L’11 parile 2009 lo aspettava sotto casa un energumeno con il casco in testa che lo ha preso a pugni e calci. La sua colpa è stata quella di risistemare i conti del teatro licenziando chi non lavorava e fermando gli scioperi selvaggi. Alcuni dipendenti avevano mentito sul numero di parenti a carico per intascare migliori assegni famigliari. Tra il 2000 e il 2006 avevano provocato un danno al teatro per 1,2 milioni di euro.