Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 9/12/2010, 9 dicembre 2010
ORA IL DEBITO PUBBLICO COSTA PIÙ CARO PER TUTTI
La valutazione del "rischio sovrano" è oramai un vero e proprio rompicapo. Spread e gap si intrecciano in equazioni labirintiche, dai rendimenti dei bond all’Euribor, dagli swap al tasso overnight. Un trend però sta emergendo: il peggioramento del rischio di credito dei titoli di Stato è sempre più generalizzato. Dopo una crisi che ha trasferito le perdite dei privati sui conti pubblici e che tende a ripartire le perdite di uno stato dell’eurozona su tutti gli altri membri dell’unione monetaria, il costo del debito pubblico sta divenendo più caro per tutti, in termini relativi: in termini assoluti il contesto resta quello di uno scenario di tassi di mercato ai minimi storici, ma chissà per quanto.
Misurare l’affidabilità di un paese rispetto a un altro, contrapponendo i rendimenti dei titoli di stato, non funziona alla perfezione perché il concetto di "risk free" è sempre più labile e sempre meno legato ai membri del G7. Lo spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi ha continuato a stringersi anche ieri, chiudendo a 155 centesimi contro i 160 del giorno precedente e rispetto al picco dei 190 toccato nel pieno della crisi irlandese. La percezione del rischio-Italia è migliorata, per lo meno rispetto alla Germania. Ma proprio in questi giorni, i rendimenti dei titoli tedeschi sono saliti, per via di prezzi trascinati all’ingiù dall’ondata di vendite che ha investito i Treasuries americani. Non è escluso che le rinnovate incertezze sulla stabilità dell’eurozona e sulla tenuta dell’euro stiano rendendo meno appetibili i rendimenti, estremamente bassi, dei bond governativi tedeschi: prova ne è l’ultima asta debole degli Schatz. I Bund tedeschi ieri hanno sfondato all’insù la soglia del 3% (tornando ai livelli di sette mesi fa) e intanto i rendimenti dei Treasuries riportavano le lancette dell’orologio ai tassi del settembre 2008, come i titoli quinquennali giapponesi. Per le motivazioni più disparate: dall’andamento dell’economia a quello dei conti pubblici, deficit-Pil e debito-Pil.
Misurare il rischio sovrano tramite i crediti default swap, seguitissimi per le sorti degli stati periferici europei compresa l’Italia, è poco efficace: i cds sono derivati illiquidi, poco trasparenti, iper-reattivi e quindi scarsamente affidabili. Il costo dell’assicurazione su Germania e Stati Uniti è salito ultimamente. Assicurarsi contro la bancarotta degli Usa costa, per una posizione da 10 milioni di dollari, qualcosa come 40 centesimi di punto percentuale ovvero 40mila dollari all’anno per cinque anni. Gli addetti ai lavori guardano allora al differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato e i tassi interbancari Euribor o Libor, contro asset swap: ma anche in questo caso bisogna scorporare il rischio-banca. Il parametro di riferimento più puro, stando agli esperti, è il tasso overnight medio dell’eurozona, l’Eonia, molto seguito dai trader nelle aste dei titoli di Stato a brevissimo termine. Lo spread tra BoT ed Eonia è salito enormemente, con questa crisi (si veda grafico): questo termometro segnala l’aumento dell’onere degli interessi sul debito pubblico, soprattutto se la Bce dovesse ricominciare ad alzare i tassi. Ma la misurazione del rischio di insolvenza, sulle scadenze a tre o sei mesi, è un controsenso per un paese industrializzato.
La volatilità dei prezzi e dei rendimenti dei titoli di Stato è surriscaldata in prima battuta dall’incertezza delle previsioni sull’andamento dell’economia e dunque dalle politiche monetarie delle banche centrali. Ma la variabile del "rischio sovrano" ha un peso in crescita: tutti i rendimenti devono incorporate il calcolo del premio richiesto agli stati per compensare il rischio di default. «I Treasuries stanno pagando un credit risk premium - ha sostenuto convinto un trader - ma misurare questo premio è impossibile perché non esistono parametri risk-free».