NATALIA ASPESI, la Repubblica 8/12/2010, 8 dicembre 2010
L´APPELLO DEL MAESTRO SCUOTE LA PLATEA E IL PUBBLICO GRIDA: "VIVA IL PRESIDENTE"
Dalla Scala è partita l´offensiva più autorevole e generosa contro gli attacchi a un bene irrinunciabile, la cultura, che a tanti incolti appare non commestibile e pericolosa. Con la stessa passione e slancio con cui poi ha reso sublime persino il nostro inno nazionale e ha creato meraviglie sonore da "Die Walküre", Daniel Barenboim si è rivolto deciso «al Presidente della Repubblica, alle autorità», al pubblico di lusso della prima scaligera, appellandosi all´articolo 9 della Costituzione italiana (forse di quelli che il governo cancellerebbe volentieri), «che promuove lo sviluppo della cultura, la ricerca scientifica e tecnica e la tutela del patrimonio artistico e del paesaggio». E dichiarandosi, come maestro scaligero ma anche a nome dei colleghi di tutti i teatri, «profondamente preoccupato per la cultura di questo paese e dell´Europa».
Dal palco presidenziale Giorgio Napolitano lo ha sonoramente applaudito, (a sua volta molto applaudito dal pubblico tra cui qualcuno aveva gridato «viva il Presidente!») e così hanno fatto tutti, il sindaco Moratti, il vice sindaco, i banchieri, i melomani, le divette, le show girl, i leghisti, gli industriali, gli smoking, i frac, le ingioiellate, le impellicciate, quelle con lo strascico e quelle con le poppe. Anche un ministro, Romani, ma non una ministra, Brambilla, appositamente arrivata in ritardo, e soprattutto non il famoso Bondi, che ieri aveva abdicato all´antipatico ruolo di ministro degli aborriti beni culturali, per scegliere quello meno esposto a pernacchie di senatore impegnato a votare la finanziaria. Poi si sa, al dunque, dopo il virtuale consenso alla difesa della cultura, interrogati individualmente, il banchiere e l´industriale inneggiavano agli aiuti di Stato, le personalità istituzionali a quelli privati e nessuno teneva conto dell´abilità scaligera di aver ottenuto dagli sponsor l´intera copertura finanziaria della preziosa serata, spettacolo e cena compresa.
Fuori dal teatro, ingiustificato stato d´assedio con esercito antisommossa, roba da irripetibile ‘68, per tenere vuota la piazza da sparuti gruppetti di studenti, sindacalisti e immigrati fradici di pioggia. Tafferuglietti, contusioncine. Anche immedesimato dal ruolo di difensore momentaneo della cultura, il pubblico della prima, loggione compreso, ha applaudito freneticamente più e più volte ad ogni uscita tutti i cantanti e anche, con qualche flebile dissenso subito troncato, per Guy Cassiers, il regista scenografo con tutti i suoi assistenti. Per il maestro Barenboim è stato un grande meritato trionfo: solo sul palcoscenico gli applausi e le grida parevano non finire mai.
Nell´ultimo atto, prima degli applausi finali, i wagneriani si erano lasciati incantare dal tedesco arcaico tutto consonanti inventato dal loro idolo, con cui Wotan maledice chi ha smesso di ubbidirgli: per niente intenzionato a dimettersi da dio, pur di non lasciare la sua poltrona di eletto che gli è costata tutto l´oro del Reno, ha permesso che il figlio semidio Siegmund fosse ucciso e adesso condanna l´amatissima figlia Brünnhilde a una "straziante sventura", cioè a perdere il posto accanto a lui nel Wahlalla, paradiso del potere e, "onta atroce", a privarsi pure della verginità con lo sconosciuto che la sveglierà dal sonno punitivo. Attorno galoppano terrorizzate le Walchirie in lussuose e sbrindellate crinoline o panier, che si lasciano svillaneggiare da Wotan, abbandonando servili ogni ribellione e mozione di sfiducia.
È destino che l´opera scelta ogni anno per inaugurare la Scala il 7 dicembre, in qualche modo si adatti agli umori dell´Italia del momento, e questa splendente edizione di "Die Walküre", diretta da Barenboim con regia e scene di Guy Cassiers, pare sottolineare le incertezze del prossimo fatale 14, e non siamo ancora al "Crepuscolo degli dei"! Per il resto, la confusione dei miti nordici rimaneggiati da Wagner, esaltati dalla musica meravigliosa che Barenboim lancia con massima destrezza gestuale e devoto sperdimento: non solo incesto tra semidei (Sieglinde col ritrovato fratello Siegmund) che si rotolano avvinti per terra, non solo la regina degli dei Fricka che fa tremende scenate al marito dio Wotan e il dio Wotan che fa tremende scenate alla disubbidiente Brünnhilde. Ma anche: installazioni luminose, sovrapposizioni di video, performance filmate, giochi di ombre alla Nosferatu, riproduzioni scultoree di cavalli (da Jeff Lambreaux, ottocentesco artista, belga come il regista) e ballerini che si contorcono per aria confusi tra imitazioni di Lucien Freud, e immagini verdastre di guerra provocate dai raggi infrarossi di notte.
Del resto lo stesso Wagner, che nella vita privata rischiava sempre la prigione indebitandosi per ricoprire le pareti di casa e se stesso di orribili damaschi e velluti, forse avrebbe usufruito volentieri dell´attuale tecnologia, dovendo invece adattare la sua immensa cosmogonia a tempi in cui ancora non c´era neppure l´elettricità. Nel libro di Nicola Montenz "Parsifal l´incantatore" (Archinto) si ricorda come il venerato compositore mai sazio di venerazione, intervenisse sulla prima rappresentazione dell´"Oro del Reno" nel 1869 a Monaco di Baviera, dove non poteva mettere piede perché ormai in rotta col suo giovane mecenate Ludwig II, cui aveva spremuto montagne di denaro: pretendendo «di mettere in scena la profondità del Reno, la metamorfosi di Alberich in drago e in rospo, e infine un arcobaleno su cui gli dei potessero camminare per entrare nel Walhalla! Nessun teatro dell´epoca sarebbe riuscito nell´impresa…». La Scala e Cassiers, oggi, certamente sì. Pura fantasy i meravigliosi costumi tutti neri e grigi del giovane fiammingo Tim van Steenbergen, stella degli stilisti di moda belgi che sfilano a Parigi, adorato dalle fashion victim appassionate di sontuosità delabrè.