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 2010  dicembre 07 Martedì calendario

DA FASSINO A NAPOLI, TUTTI I GUAI DEL PD —

Torino è l’esempio più significativo, ma è un po’ tutta la mappa del Pd italiano che rimanda all’immagine della ex Jugoslavia. Dovunque, o quasi, lotte intestine; dovunque, senza eccezioni, il partito locale non si piega alle richieste del partito nazionale.
Torino, dunque. A Roma è stata lanciata la candidatura di Piero Fassino. Il sindaco Sergio Chiamparino non ha dubbi: «Se c’è Piero, vince sicuramente». Insomma, il Pd manda in pista un pezzo grosso, l’ex segretario dei Ds, ma nel capoluogo piemontese i competitor di Fassino non arretrano. Anzi, nell’attesa delle primarie, si moltiplicano. E lui li ha dovuti vedere a uno a uno in una tre giorni torinese in cui è stato costretto a dare conto ai giovani, ai circoli, ai potentati del Pd locale. «Voglio verificare come sia recepita la mia candidatura».
In altri tempi non vi sarebbero stati dubbi, il partito manda un ex segretario che, tra l’altro, ha molte chance di vincere, e a livello locale magari si soffre ma non ci si ribella. Oggi non è più così. Tanto che l’altro giorno Fassino ha avuto uno scatto: «La mia candidatura ha senso se il partito vi si riconosce, altrimenti mi faccio da parte senza drammi: se ci sono cinque, sei candidati non c’è bisogno di me». Comunque l’ex leader dei Ds si è preso qualche giorno per decidere il da farsi. Sarebbe veramente incredibile se si ritirasse, come teme Diego Novelli, ex sindaco comunista di Torino.
Dal Piemonte alla Sicilia: lì sono fioccate le autocandidature a sindaco, visto che il Pd non si muove. Di nuovo al Nord, a Bologna: il partito è diviso a metà, il candidato caldeggiato da Roma, Virginio Merola, è il favorito, ma per ottenere qualche consenso in più deve dire che lui non è l’uomo scelto ufficialmente dal Pd. Salendo più su, Venezia: il sindaco Orsoni e il Partito democratico sono ai ferri corti. Il Pd accusa il primo cittadino di decidere tutto per conto suo. Di nuovo giù. In Puglia, questa volta. Il segretario regionale Sergio Blasi e il sindaco di Bari Michele Emiliano sono in lite continua. Roma non ci può far niente anche perché Emiliano ha dichiarato «urbi et orbi» che lui a Bersani preferisce i rottamatori di Matteo Renzi.
Ancora giù. In Campania questa volta. Il candidato sindaco sostenuto da Roma è Umberto Ranieri. Antonio Bassolino non è convinto, gli altri ras locali non lo vogliono. Insomma, la situazione è tale che i vertici del partito stanno pensando di non fare le primarie. Restando in Campania. A Roma il Pd dice che tutti devono accollarsi i rifiuti di Napoli. A Salerno il sindaco Enzo De Luca (una potenza: ha indotto Bersani ad andare a palazzo Chigi quando si discuteva il provvedimento ad hoc) ha detto papale papale: «Se fossi un governatore del Nord non prenderei i rifiuti di Napoli». E ora nell’Umbria, regione rossa: la presidente Catiuscia Marini è stata contestata e bocciata dagli ex margheritini del Pd perché era disposta a prendersi l’immondizia partenopea.
In questo Partito democratico versione ex Jugoslavia anche i maggiorenti che hanno un peso a livello nazionale litigano e si stuzzicano l’uno con l’altro. Massimo Cacciari profetizza con fare sicuro: dopo le elezioni Enrico Letta e Beppe Fioroni usciranno dal Pd. Fioroni replica: «Non è vero, abbiamo creato i "Modem" (l’area che fa capo a Walter Veltroni, ndr) proprio perché non vogliamo andar via ma puntiamo a recuperare lo spirito originario del Pd». Senz’altro vero. Com’è vero, però, che sia il responsabile welfare del partito che il vice segretario, stretti tra Nichi Vendola e Antonio Di Pietro, si sentono sempre più a disagio.
Nella periferia del Pd, comunque, c’è un elemento in controtendenza: il presidente della regione toscana Rossi e il sindaco di Firenze Matteo Renzi hanno siglato una sorta di armistizio. A Roma qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo. Sbagliando. Perché Renzi non è addivenuto a più miti consigli. Semmai ha capito che è meglio non inimicarsi tutto il Pd se vuole diventare il nuovo leader del centrosinistra.
Già, perché gli scenari del prossimo futuro sono favorevoli al sindaco di Firenze. Se elezioni saranno, il Partito democratico difficilmente riuscirà a raggranellare la stessa percentuale del 2008. Il che significa che si aprirà una guerra intestina con conseguente cambio segreteria. Se invece resterà Berlusconi o nascerà un nuovo governo di centrodestra si profilerà lo stesso identico scenario: guerra intestina con conseguente cambio di segreteria. E Renzi aspetta solo che sia la sua ora, nell’uno o nell’altro caso. Nel frattempo, con una regolarità più svizzera che fiorentina, il sindaco del capoluogo toscano va una volta alla settimana a Roma. E fa tanti incontri. Un giorno i suoi interlocutori sono alla segreteria di Stato del Vaticano, un giorno a Bankitalia. Il sindaco di Firenze ha capito che l’ex Jugoslavia è una terra da conquistare. E che per farlo basta aspettare l’esplosione del Partito democratico.
Maria Teresa Meli