Stefano Vastano, L’espresso 9/12/2010, 9 dicembre 2010
«IO TIFO PER LA MERKEL»
(Intervista a Bini Smaghi) -
Germania come un elefante tra la cristalleria dell’euro. Germania che condanna i paesi della periferia del continente a soffrire sotto i colpi della speculazione, mentre Berlino riduce i suoi disoccupati nel pieno della crisi e lancia a tutta velocità la sua macchina dell’export sui mercati cinese e indiano. Germania che spinge i gasatissimi industriali tedeschi a evocare un euro a due velocità... Nel pieno della nuova crisi che ha investito la valuta comune, è la Germania, che pure traina con la sua economia tutto il continente, a essere accusata di fare solo i suoi interessi. E di mettere in pericolo la tenuta dell’intesa monetaria. Germania architrave o Germania silenziosa talpa che scava sotto il pavimento europeo? Chi ha ragione? "L’espresso" ha chiesto a Lorenzo Bini Smaghi, membro del board della Bce di Francoforte, di fare un quadro della Germania di fine 2010 e del suo rapporto con il resto del continente.
Partiamo dalla fiducia nella valuta europea: è ancora stabile o siamo sull’orlo d’una spaccatura nella Zona Euro?
"L’euro è una moneta stabile. Le voci di spaccatura non hanno alcun senso e la volontà politica mostrata in questi giorni conferma che non ci saranno spaccature. L’euro è la moneta di 16 paesi e la Bce la banca centrale di ciascuno di loro".
La cancelleria Merkel ed il ministro delle Finanze Schäuble non stanno mostrando, dalla crisi in Grecia, un atteggiamento troppo inflessibile?
"Stiamo ai fatti. Abbiamo un importante sforzo di sostegno finanziario a favore della Grecia e dell’Irlanda, due paesi che per anni avevano seguito politiche di finanza pubblica e di vigilanza squilibrate. La Germania è il maggior finanziatore di questo sostegno. Ed è giusto che il sostegno sia in cambio di un drastico mutamento di politiche in questi due paesi che, se fosse stato più tempestivo, avrebbe procurato meno tensioni sui mercati finanziari e un minor contagio agli altri".
A proposito di contagio: se, dopo Grecia e Irlanda, un altro paese entrasse in crisi, bisognerà incrementare o no il Fondo d’intervento?
"I soldi ci sono. Se sarà necessario si vedrà. La creazione di un fondo anti-crisi permanente, simile al Fondo monetario internazionale, deciso lo scorso fine settimana conferma che i soldi comunque ci saranno".
Ma i contribuenti di mezza Europa si chiedono quale responsabilità abbia il settore bancario: bastano gli stress-test alle banche per prevenirne la prossima crisi?
"La responsabilità primaria è dei comportamenti fuori linea con la moneta unica che per molti anni operatori pubblici e privati hanno avuto in vari paesi. Le banche hanno prestato troppo, ma ci sono anche molti operatori, ad esempio in Irlanda, che si sono troppo indebitati. E le autorità di vigilanza hanno tollerato questi comportamenti. Le proposte di rafforzamento del governo dell’economia europea mirano proprio a creare maggior disciplina nei comportamenti".
Tutti guardano alla Germania come modello economico. Qual è il segreto dell’Azienda Germania?
"Un aspetto essenziale è il funzionamento del mercato del lavoro in Germania. Tramite accordi sia a livello di settore che di azienda qui in Germania c’è un meccanismo che consente di remunerare di più i lavoratori delle aziende che hanno incrementi di produttività".
Questa flessibilità sui salari dà ora lo sprone alla ripresa?
"Sì, perché legare i salari alla produttività incentiva sia il management che i dipendenti ad aumentare la produttività e quindi a far guadagnare l’azienda. In Germania non ci sono più contratti a livello nazionale, ma chi lavora meglio, guadagna di più".
Eppure c’è chi, come il presidente Obama, vede la Germania sbilanciata sul settore delle esportazioni: condivide queste critiche?
"Sbilanciato non è la parola esatta per il modello tedesco. È un sistema molto efficiente per l’export, e meno efficiente per il settore meno esposto alla concorrenza internazionale. Ma è nel settore dei servizi che in Germania si registra ora un aumento dell’occupazione. La ripresa tedesca non è solo trainata dalle esportazioni, ma vi agisce anche la domanda interna".
La politica della Merkel ha agevolato la ripresa dei servizi e dei consumi?
"Per capire la ripresa del sistema tedesco bisogna ricordare le riforme, a partire da quelle al welfare del governo Schröder, che hanno flessibilizzato il lavoro nel settore dei servizi e quindi il mercato interno".
L’anno scorso il Pil era sceso in Germania a meno 4,5 per cento. Come hanno fatto le aziende a superare in un anno un crollo del genere?
"Oltre alla flessibilità e alle riforme, altro fattore decisivo è che, durante la crisi, le aziende hanno fatto ricorso allo strumento del "kurze Arbeit": senza licenziare, le imprese hanno ridotto gli orari, e lo Stato pagava la differenza di salario. Questo strumento ha consentito, evitando tempi e costi di licenziamento, la ripresa così veloce del made in Germany che constatiamo ora".
Ma cosa rende così forte il made in Germany: in fondo, dalle quattro ruote alla chimica, sono gli stessi prodotti da 60 anni...
"All’industria automobilistica e alla chimica aggiungerei gli altri due settori in cui la Germania è ai primi posti mondiali: l’industria meccanica e la farmaceutica. Se poi con questi prodotti il made in Germany penetra oggi sui mercati più dinamici è perché le aziende tedesche vantano gli investimenti più alti al mondo in ricerca e sviluppo. Ed anche in questo settore il governo di Berlino sostiene le imprese".
In che modo?
"Nel bilancio pubblico si nota la scelta esplicita del governo di consolidare ovunque tranne che nella ricerca e nella politica dell’istruzione. È la particolare attenzione a quello che oggi si chiama il capitale umano il terzo fattore della ripresa: la Germania ha consolidato le sue finanze prima della crisi, ed ora può investire nei settori di punta di ricerca e cultura".
Incremento delle esportazioni, più flessibilità e ricerca. Ma i salari tedeschi, ha criticato il ministro francese delle Finanze, Christine Lagarde, sono al chiodo da dieci anni. Ha ragione il ministro di Sarkozy?
"A me risulta che il livello dei salari in Germania sia più elevato che in tanti altri paesi; questo paese infatti è già entrato nell’area dell’euro con un livello salariale molto alto. Per questo sindacati ed imprese sono passati negli ultimi anni per una fase di moderazione salariale. Ma, a livello nominale, quelli tedeschi restano, nell’area dell’euro, salari alti".
Sono pensabili i successi del modello tedesco senza la cogestione, il fatto cioè che i sindacati siedano con i manager nel consiglio delle imprese?
"Non esagererei l’importanza della cogestione. I sindacati sono nel consiglio d’amministrazione, ma non incidono sulle scelte fondamentali. Conoscono però i dati dell’azienda e sanno quando l’impresa è in difficoltà e quando chiedere più partecipazione agli utili. La cogestione è questione di più trasparenza dell’azienda nei confronti dei lavoratori".
Ma è un sistema più razionale del conflitto fra impresa e sindacato, non le pare?
"Certo, quello tedesco è un sistema che specie nei momenti di crisi ha il pregio di attutire sia le difficoltà di un’azienda che i conflitti sociali. Sì, il modello più partecipativo del lavoro e del mercato tedesco s’è dimostrato molto più efficace degli altri nel periodo di crisi".
Un modello del genere è esportabile e funzionerebbe in Italia?
"È un modello assolutamente imitabileed esportabilissimo anche da noi in Italia. È un sistema che richiede trasparenza da parte degli imprenditori. E responsabile accettazione dei destini dell’azienda da parte di sindacati e lavoratori. Il senso dell’Unione europea è anche questo: prendere dai paesi che stanno meglio quel che hanno di buono".
Oltre a cogestione e flessibilità cosa potremmo ancora apprendere dal modello Germania?
"Ad esempio a dimenticare quella retorica post-keynesiana che vuole che crescita si dia solo via deficit. La Germania ci dimostra che il rigore di bilancio è compatibile con la crescita, con più export e con più fiducia alle imprese e alle famiglie".