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 2010  dicembre 02 Giovedì calendario

PETROLIO, FORTUNA O MALEDIZIONE? IL GHANA CI PROVA


Il Ghana festeggia. Fra pochi giorni il Paese a­fricano entrerà ufficialmente nel club esclu­sivo dei fornitori di petrolio. Il prossimo 17 di­cembre avrà inizio la produzione nel progetto Ju­bilee, l’attesa fase del ’first oil’. Il giacimento ma­rino, scoperto nel 2007, contiene riserve stimate in 1,8 miliardi di barili. L’estrazione sarà inizial­mente di 120.000 barili giornalieri, per salire a 250.000 nel 2013, quando il nome del Ghana cam­peggerà nella classifica dei 50 maggiori produttori globali.
Le ricadute economiche di questo colpo di fortu­na dovrebbero proiettare il Paese verso la fascia mondiale di medio reddito, al pari di Egitto e I­ran, dallo status di basso reddito in cui si trova at­tualmente come l’Afghanistan e Haiti. Il traguar­do, secondo il Fondo monetario internazionale, sarà tagliato in un decennio. Già nel 2011 però la crescita del Pil dovrebbe raddoppiare al 9,9%. An­che se è meno di quanto ci si aspettasse inizial­mente (+20%), si tratta comunque di un discreto balzo in avanti.
Ma il Ghana è appunto un debuttante. E come è accaduto per altri Stati petroliferi, soprattutto nel­l’Africa subsahariana, una attraente opportunità può trasformarsi in una maledizione. La nuova industria non dovrà sostituirsi agli altri settori trai­nanti dell’economia, nel caso del Ghana le im­portanti produzioni di oro e cacao. Inoltre, il go­verno dovrà tenere alta la guardia contro possi­bili episodi di corruzione, organizzare la gestio­ne dei proventi del petrolio e trasferire alla popo­lazione la maggiore ricchezza possibile. Non da ultimo dovrà coltivare buoni rapporti con le com­pagnie incaricate dell’estrazione. Ed è proprio questo il maggiore ostacolo per le autorità gha­nesi.
Il greggio che giace nelle profondità del Golfo di Guinea è ancora conteso dagli Stati Uniti, che già controllano una parte del progetto, e dalla Cina, che non vede l’ora di entrarci. La stessa compa­gnia statale ghanese sgomita per allargare la pro­pria partecipazione. La battaglia cominciata un anno fa per rilevare una quota del 23,5% non si è ancora conclusa. A metterla in vendita è stata nel 2009 una società texana, Kosmos Energy. Le altre quote appartengono alla britannica Tullow Oil, che gestisce il progetto, all’americana Anadarko e in misura minore alla azienda locale Gnpc.
Kosmos è in parte controllata dai gruppi di private equity Blackstone e Warburg Pincus. Il colosso a­mericano Exxon Mobil, che aveva messo sul piat­to 4 miliardi di dollari, si è ritirato l’estate scorsa, pare anche in seguito alle pressioni del governo ghanese. A fine ottobre è arrivata finalmente una controfferta, frutto dell’alleanza tra la compagnia statale ghanese e la cinese Cnooc, un colosso del­le esplorazioni in mare aperto. Le due imprese hanno messo sul piatto 5 miliardi. Ma a quel pun­to Kosmos ha fatto sapere che non era più inte­ressata a vendere. Le ragioni del cambiamento di programma non sono state rivelate. Benchè Ko­smos sia una società privata relativamente pic­cola, il sospetto è che siano intervenuti interessi nazionali. Gli americani insomma non vorrebbe­ro mollare la presa, in quella che è ormai una ga­ra con Pechino per il controllo delle risorse afri­cane. Per il momento però, perché i cinesi non sono sprovveduti.
Nei mesi scorsi due banche di Pechino hanno pre­stato al Ghana oltre 13 miliardi di dollari, cemen­tando così ulteriormente le relazioni con il Paese africano. La China Export Import Bank ha offer­to 10,4 miliardi per la realizzazione di infrastrut­ture, mentre la China Development Bank ha con­cesso un prestito separato di 3 miliardi proprio per sviluppare l’industria petrolifera. Si prevede che Accra eserciterà pressioni affinché l’azienda americana torni sui suoi passi. Non si esclude u­na nuova offerta al rialzo. La Kosmos, spiegano gli analisti, è specializzata nelle esplorazioni econo­micamente rischiose e, quando compie una sco­perta, intende ricavarne il massimo profitto. Alla fine potrebbe dunque cedere. Secondo Rolake Akinola, un esperto di rischio politico, la nuova of­ferta «non arriverà a breve, ma le discussioni con­tinueranno. Questa storia non finisce qui».


PROVENTI A POCHI, GUERRE PER TUTTI: È IL GREGGIO-VELENO -

E vitare la maledizione del­le risorse. La vera sco­messa per il Ghana è pro­prio questa: smentire la teoria secondo cui i Paesi che si ritro­vano una fortuna sotto i piedi finiscono con l’impoverirsi an­ziché trarne ricchezza e svilup­po, o comunque per avere guai. Vale soprattutto per l’oro nero. I petrodollari arrivano, ma van­no nelle tasche di pochi. Gli al­tri restano a bocca asciutta o so­no spinti a farsi la guerra per a­verne una piccola fetta. Una leg­ge non scritta che trova la sua applicazione soprattutto in A­frica. Il petrolio in Nigeria era una promessa di benessere diffuso negli anni Sessanta, in partico­lare modo per i residenti nel Delta del Niger, che avrebbero potuto beneficiare delle ecce­zionali scoperte. Invece ha sca­tenato conflitti e moltiplicato la corruzione, mentre milioni di abitanti hanno visto ridursi dra­sticamente il loro tenore di vi­ta. Nel frattempo il miraggio dei soldi facili ha svuotato le cam­pagne, compromettendo la produzione agricola. Il risulta­to è che l’economia nigeriana dipende oggi in gran parte dal prezzo del barile. Anche il Congo e l’ Angola sono stati martoriati da conflit­ti alimentati dal pe­trolio. In Ciad , secon­do la denuncia degli osservato­ri internazionali, i proventi del greggio sono stati utilizzati per comprare armi anziché allevia­re la povertà diffusa. Nel picco­lo Gabon e nella Guinea equa­toriale il petrolio sarebbe servi­to a finanziare case di lusso e auto sportive per una nomenk­­latura corrotta, mentre la po­polazione non è stata altrettan­to baciata dalla fortuna.
Accra dunque ha molti esempi da non imitare. Il giacimento Ju­bilee contiene almeno 800 mi­lioni di barili di greggio di alta qualità e potenzialmente un al­tro miliardo, che faranno del Ghana il quinto Stato petrolife­ro della regione subsahariana, dopo Nigeria, Angola, Sudan e Gabon. Solo se saprà gestirli con saggezza, ha ammonito il Fon­do monetario internazionale, potrà passare allo status di me­dio reddito nell’arco di un de­cennio. Sarebbe un sal­to di qualità non indiffe­rente per un Paese dove un terzo dei 25 milioni di abitanti vive in po­vertà.
Il Ghana parte comun­que favorito. Nella clas­sifica della lotta alla corruzione compilata da Transparency In­ternational, il Paese si colloca ai primi posti nella regione. Il go­verno del presidente Atta Mills, eletto nel dicembre 2008, è sta­bile. A pochi giorni dall’avvio della produzione il parlamento sta ancora discutendo la legge sulla gestione dei proventi del petrolio, ma si ritiene che sarà trovato un accordo. Tuttavia, u­no studio del governo stima che se anche i profitti fossero di­stribuiti direttamente alla po­polazione, questi si tradurreb­bero in 800 milioni l’anno fino al 2029. Sarebbero 75 dollari a testa. L’arricchimento sarà len­to e graduale. I ghanesi dovran­no avere pazienza.


«ADESSO ATTENZIONE ALL’INFLAZIONE. E SERVE TRASPARENZA» (INTERVISTA ALL’AMBASCIATORE D’ITALIA IN GHANA) -

Chiediamo a Tullio Goma, ambasciatore d’Italia in Ghana, come affronterà il Paese la sfida del petrolio.
Il Ghana, unanimemente considerato una nazione virtuosa, vive oggi un momento economico, politico e sociale molto favorevole ed attraente. Certo, pure in un quadro macroeconomico sostanzialmente positivo, le spinte inflazionistiche future rappresentano una grande sfida per il Paese, che dovrà evitare che la forte esportazione delle nuove risorse naturali, rafforzando la moneta a danno del resto dell’export e con un aumento delle importazioni in beni di consumo, determini l’aumento dei prezzi e la sofferenza del settore manifatturiero.

Sarà dunque essenziale che il governo adotti tutte le misure necessarie affinché le scoperte delle nuove risorse petrolifere siano gestite attraverso pratiche trasparenti e responsabili. In questo senso, va detto che tutti gli attori del dibattito politico pubblico, sin dalla prima individuazione di giacimenti nel 2007, hanno molto insistito sull’importanza della trasparenza nella gestione del settore.

Il governo ghanese sembra avere accolto con favore l’interesse della Cina.Come sono i rapporti di Accra con Pechino?

Tra Cina e Ghana ci sono buoni rapporti bilaterali, sia per la quantità di investimenti diretti cinesi nel Paese, sia per le generose misure di cooperazione a favore del Ghana finanziate dal governo di Pechino. Va infatti sottolineato che le iniziative industriali cinesi sono spesso rese possibili, oltre che da prezzi particolarmente competitivi, anche da una significativa componente a dono del finanziamento accordato. Nella terminologia ufficiale cinese, si parla di ’mutually beneficial cooperation’.

Più in generale, qual è l’attuale clima degli investimenti?

L’impianto costituzionale del 1992 e la stabilità politica che ne è derivata hanno permesso al Ghana di registrare una crescita economica stabile e sostenuta e di farlo diventare un punto di riferimento per tutti gli investimenti nella regione dell’Africa occidentale. Ora potrebbe passare da Paese povero a Paese a medio reddito già entro i prossimi due anni. È già molto ben integrata una comunità di imprenditori italiani che, giunti in Ghana fin dai primi decenni del secolo scorso, si sono affermati soprattutto nell’edilizia e nell’ingegneria civile e detengono quote di mercato consolidate. Ma ora più aziende italiane possono trovare in Ghana spazi per crescere i loro affari in molteplici settori, dall’edilizia all’agricoltura, dalla bioenergetica al turismo. In linea con l’aumento della capacità di spesa del Paese, crescono anche le aspettative per opportunità nel commercio.