Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 02 Giovedì calendario

GLI AFFARI DELLA CRIMINALITÀ VALGONO IL 2,6% DEL PIL

Lo ha detto il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello a proposito di Catania: la mafia si è fatta imprenditoria ed è entrata nel circuito delle imprese. Lo hanno ribadito ieri gli studiosi che hanno partecipato ieri alla presentazione del rapporto annuale della Fondazione Res dal titolo "Alleanze nell’ombra. Mafie e economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno". Un rapporto, quello della fondazione presieduta da Carlo Trigilia, che ha voluto dare un quadro dell’attività dell’area grigia, intesa come luogo di incontro tra l’economia pulita e quella criminale. E ha messo in luce che negli ultimi 15 anni mentre i fenomeni delittuosi sono diminuiti – soprattutto in Sicilia ma meno in Campania e Calabria – l’area grigia, la collusione tra imprenditoria e mafie, appare sempre più strutturata. È emerso come la presenza delle mafie nell’economia sana aumenti con l’aumentare delle operazioni di polizia: «I successi dell’azione di magistratura e forze dell’ordine – si legge – possono spingere i gruppi mafiosi verso strategie di investimento in settori leciti che, grazie alla compiacenza di imprenditori insospettabili e dal volto pulito, sono più difficili da svelare e contrastare».

Alla base di tutto l’abbassamento del «costo morale», come lo ha definito Trigilia, ovvero la certa disponibilità di vari soggetti ad accettare l’alleanza nell’ombra: «Non sono solo le mafie ad andare verso le imprese ma molto spesso sono le imprese a cercare la mafia ritenendola un valore competitivo, addirittura un valore aggiunto». Trigilia chiede «agli ordini professionali e altre categorie economiche di seguire la strada di Confindustria Sicilia» per alzare quel costo morale oggi così basso.

Il gruppo di lavoro che ha curato il rapporto, coordinato dal sociologo Rocco Sciarrone, ha trovato i riscontri nelle carte della magistratura, nella lunga pubblicistica dedicata al tema. «È un lavoro - ha detto Lo Bello - che mette da parte i luoghi comuni tra mafia e economia, e segnala come la mafia si sta spostando sempre più verso la dimensione economica. Per quanto riguarda la zona grigia la mafia ha bisogno di spazi sempre maggiori per costruire mercati protetti, e ha bisogno di complicità, anche politiche». Già, la politica. Di cui si è occupato Giovanni Fiandaca, professore di diritto penale a Palermo: «Bisogna andare oltre l’attuale configurazione del concorso esterno in associazione mafiosa – ha detto –. Quando è un politico a chiedere i favori alla mafia bisogna trovare il modo di sanzionare questo comportamento». Mentre il direttore generale di Unicredit Roberto Nicastro ha sottolineato quali e quante siano le difficoltà delle banche sul fronte del riciclaggio: «Bisogna puntare di più sulla moneta elettronica – ha detto – per scoraggiare l’economia illegale».

La ricerca dedica un capitolo, curato da Adam Asmundo, ai costi per la collettività: nelle regioni del Sud il costo diretto e indiretto per i soli reati di mafia è del 2,6% del Pil anche se in Campania si arriva al 2,9% del Pil. In Italia il costo è di 20,2 miliardi, l’1,3% del Pil. Un costo per abitante che va dai 445 euro della Sicilia ai 496 euro della Campania e 458 euro della Calabria a fronte di una media nazionale di 344,6 euro per ogni cittadino. Altro dato: al Nord la criminalità gestisce le attività tradizionali ma vi è una bassa penetrazione nell’economia locale che è invece molto alta nel Sud. E Florindo Rubbettino, imprenditore calabrese, ha sottolineato: «Dove c’è il malaffare a volte la ’ndrangheta proprio non c’è».