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 2010  dicembre 02 Giovedì calendario

Scrivi contro il potere? Da noi finisci in tv - Gli scrittori combat­tono il potere? In teoria sì, poi a tempo perso po­trebbero anche scrivere opere, ma prendiamo per buono l’im­perativo categorico dello scritto­re impegnato contro il potere

Scrivi contro il potere? Da noi finisci in tv - Gli scrittori combat­tono il potere? In teoria sì, poi a tempo perso po­trebbero anche scrivere opere, ma prendiamo per buono l’im­perativo categorico dello scritto­re impegnato contro il potere. Per rispondere alla domanda bi­sog­nerebbe verificare cosa signi­fica il potere per uno scrittore. Combattere il potere, ammesso che questa debba essere la preoc­cu­pazione principale di uno scrit­tore, e ammesso che questa mis­s­ione debba essere intesa in sen­so politico, significa rischiare qualcosa. Non in astratto, nel mondo delle idee, ma in concre­to, sulla propria pelle. Chi com­batte la mafia in Sicilia o la camor­ra in Campania rischia di essere ucciso. Chi dissente dal regime di Ahmadinejad in Iran rischia di essere incarcerato e condannato a morte. In ogni caso contrastare il potere dovrebbe costare qual­cosa. Tuttavia c’è un solo minimo co­mu­ne denominatore tra tutti i let­terati italiani, nessuno escluso: se interpellati, gli scrittori si op­pongono a Berlusconi. Vale per tutti, vecchi e giovani, uomini e donne, esordienti e non, da Sa­viano a Melissa P, da Nicola La­gioia a Umberto Eco, da Scurati a Cordelli, da Camilleri alla Mur­gia fino all’ultimo romanzino di Brizzi, supportati dall’intera ca­sta dei critici, che li citano, li coc­colano, li interpellano. Se dun­que Berlusconi è il simbolo del potere, quali pericoli corre oggi chi attacca Berlusconi? Non ri­schia alla Mondadori o all’Einau­di, si sa, basta chiederlo agli osses­sionati antiberlusconiani che pubblicano con le case editrici di proprietà di Berlusconi, ossia gran parte degli autori in classifi­ca, e non ci pensano proprio a cambiare editore. Non rischia sui quotidiani nazionali, dove timbrare il cartellino dell’antiber­lusconismo è un obbligo, e sfido chiunque a provarmi il contra­rio, a trovarmi un pensiero di scrittore incompatibile con gli al­­tri, irregolare, non omologato, non allineato, politicamente in­classificabile. Se invece scrivete su un quoti­diano di destra, come il sottoscrit­to, sarete invisi e disprezzati co­me collaborazionisti e servi, a prescindere da quello che scrive­te, perfino quando scrivete con­tro la legge 40, contro la religione, o a favore dell’eutanasia e delle unioni civili tra omosessuali, e al­la meno peggio ricevete l’invito di un tristissimo circolo culturale di destra in qualche provincia ita­liana di destra, peggio ancora da qualche associazione cattolica che, per riflesso condizionato, vi inviterà per equivoco, come sa bene chi è venuto a una mia pre­sentazione a Bergamo finita con sussurri e grida e rissa finale. Per­fino la Newton Compton, edito­re indipendente di un mio libro contro la casta intellettuale di si­nistra, mi ha avvertito che è me­glio non essere troppo appoggia­ti dal Giornale , pena l’emargina­zione culturale (mentre per pre­mio di consolazione ho ricevuto una lettera di solidarietà di Silvio Berlusconi più simile al messag­gio di un partigiano da una mon­tagna). Intorno, a parte i numero­si lettori che mi scrivono, il deser­to. In altre parole uno scrittore che non sia antiberlusconiano, che non si dichiari antiberlusco­niano n­on appena viene interpel­lato su qualsiasi argomento, uno scrittore libero, non dico di de­stra, ma che per esempio non stia né di qua né di là e non sia ossessionato da Berlusconi, è let­teralmente tagliato fuori dal­l’ establishment culturale. Emar­ginato dai salotti che contano, dai dibattiti pubblici che conta­no, dagli incontri letterari che contano, dalle trasmissioni che contano. Quindi torno a chiedermi: op­porsi al potere non dovrebbe comportare un rischio? Vale per la cultura, vale per il giornalismo, vale per la televisione. Se a essere antiberlusconiani per partito pre­so non soltanto no­n si rischia nul­la ma se ne traggono solo dei van­taggi, anche economici, qualco­sa non quadra. Basti pensare ai regimi totalitari: chi scriveva con­tro il fascismo durante il fasci­smo rischiava, chi scriveva con­tro il nazismo durante il nazismo rischiava, chi scriveva contro il comunismo in un Paese comuni­sta rischiava, e il coraggio è sem­pre proporzionale al rischio. Vi­ceversa oggi rischia chi non si professa antiberlusconiano, per­fino­se parlare di Berlusconi ti an­noia perché vorresti parlare di al­tro, di cultura per esempio, in quanto anche lì ci hanno convin­­to che attaccare Berlusconi sia la massima espressione culturale. Se uno scrittore, a qualsiasi do­manda gli si ponga, sulla vita,sul­l’odio, sull’amore, sugli uomini, sulle donne,non esprime un’opi­nione contro Berlusconi, in gene­re sempre la stessa opinione, vie­ne messo al confino. I politici di sinistra lo sanno be­ne: il poeta politico Nichi Vendo­la ha schiere di scrittori, attori e intellettuali al suo seguito, come ieri ne aveva lo scrittore politico Veltroni. Nessuno scrittore, inol­tre, deve osare inimicarsi il poten­te clan di Repubblica , altrimenti potrebbe scrivere i capolavori che vuole ma non entrerebbe mai neppure con una riga su una Garzantina, è matematico. Perfi­no l’apolitica e lunare Isabella Santacroce, che si vide censura­to proprio da Repubblica un in­tervento sulla critica italiana, alla mia proposta di pubblicarlo sul Giornale non se la sentì, preferì tacere e metterlo sulla sua pagi­na di Facebook, lei che non ha pa­ura di us­cire indossando comple­tini ornati di svastiche. Stessa co­sa mi accadde con un grande scrittore come Antonio More­sco: censurato da Repubblica , ri­fiutò di pubblicare il proprio te­sto su un quotidiano di destra e senza mai denunciare la censura subìta dal quotidiano di sinistra. Idem il Leopardi Centre, il quale ricevette da Berlusconi centomi­la euro per tradurre lo Zibaldone in inglese, e a tutt’oggi, dopo tre anni, sul sito non compare il no­me del mecenate, se ne vergo­gnano e solo per aver accettato la donazione sono stati messi all’in­dice dagli atenei italiani. Gli esempi sarebbero infiniti, ma per farla breve: sarà per que­sto senso di colpa che ogni scritto­re «scomodo» o intellettuale «scomodo» sente il dovere di an­nunciare, prima di ogni discorso su Berlusconi e sul potere, la cen­sura del potere, tanto annuncia­ta quanto mai avvenuta? Più che un’ossessione, non sarà solo il modo più chiassoso e paraculo per nascondere l’evidente, in­contrastata e imbarazzante co­modità del proprio potere totali­tario, quello contro cui uno scrit­tore rischia sul serio?