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 2010  dicembre 02 Giovedì calendario

FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "GARZANTI

LIVIO"

2010
In Garzanti, dove rimase poi per vent’anni, la giovanissima lessicografa [Teresa Cremisi] fece uno a uno gli scalini che conducevano alla direzione editoriale. Era la Garzanti di Livio, e di Piero Gelli.
Fonte: GABRIELLA BOSCO, Tuttolibri - La Stampa 15/5/2010, pagina XI.

[È lo stesso Ambrogio Borsani che narra]. Qualche tempo dopo fui testimone di un episodio sgradevole. Testori mi aveva invitato a pranzo al Ciovassino. Avevamo appena iniziato, quando nella sala entrò Livio Garzanti accompagnato da una giovane signora milanese. Andarono a collocarsi a un tavolo alle nostre spalle. Poco dopo la signora, che era amica di Testori, voltandosi si accorse della sua presenza. Venne al nostro tavolo a salutarlo.«Sono qui con Livio Garzanti», disse. «Naturalmente vi conoscete». «No», disse Testori «non abbiamo avuto occasione». Ero sconcertato. Era passato ormai da un anno alla sua casa editrice e ancora non si conoscevano. La Garzanti aveva già pubblicato l’edizione tascabile del Ponte della Ghisolfa, non ancora le novità. «Oh, ma allora venga che glielo presento» disse la signora. Testori andò al tavolo di Garzanti, che si alzò con aria padronale. «Ah Testori, ho saputo che da noi c’è gente che punta molto su di lei». Ero allibito, sembrava stesse parlando a un ragazzino della provincia che era riuscito a farsi accettare il primo manoscritto. Testori incassò da gran signore fingendo di non aver colto la pesantezza della frase. «Eh, puntano su un cavallo stanco», disse con grande eleganza. «No, no, c’è gente che crede molto in lei, da noi, davvero», insistette Garzanti. Testori tornò al tavolo, riprendemmo la conversazione. Vidi nel suo sguardo l’ombra dell’umiliazione, ma non ritenne opportuno commentare il fatto, io evitai di esprimere la mia indignazione per non dar peso alla scena. Ma qualche anno dopo, mi disse che passava da Garzanti a Longanesi. «Come mai?», gli chiesi. «Per vari motivi, uno dei quali forse te lo ricordi... Sei stato testimone anche tu».
Fonte: Ambrogio Borsani, Libero 11/2/2010.

2009
[…] il leggendario Pietrino Bianchi, influentissimo critico cinematografico e letterario sul «Giorno», autorevole consigliere dell´editore Garzanti (insieme al collega parmigiano Attilio Bertolucci, fine poeta, padre del regista Bernardo, e fautore dei successi editoriali di Gadda e Pasolini).
Fonte: Alberto Arbasino, la Repubblica 1/5/2009.

[…] il germanista Giorgio Cusatelli, collaboratore stretto di Livio Garzanti si ricorda di quel giovane fiorentino [Piero Gelli, editor di Garzanti] specialista di Gadda e lo convoca a Milano: ”Dopo quattro giorni di lavoro, tra molte carte già note, trovai il manoscritto di un romanzo inedito che era La meccanica”. Gelli ne parla con il direttore di produzione pensando di avere di fronte l’editore: ”Mentre siamo lì, entra un tipo con una giacca blu e un velo di forfora sulle spalle e comincia a dire: ma non è possibile che sia inedito, chi gliela dà questa certezza! Reagii con una certa irruenza: ma stia zitto, per favore, lei che ne può sapere? Mi dissero dopo che era Garzanti”. […] [Ricorda] il litigio tra Paolo Volponi e Garzanti, finito in tribunale […].Il rapporto con Garzanti? ”Mah, rispetto reciproco, niente di più. Il vero amico di Garzanti è stato Parise, che aveva quel lato di sberleffo e di insolenza che mancava a Pasolini” [Piero Gelli]. […] Per Livio Garzanti era un rompiscatole perché parlava spesso di questioni finanziarie. Una volta mi porta un manoscritto, Avventura in Valtellina, e mi dice che gli era stato commissionato da una banca di Sondrio, ma che per soli cinque milioni l’avrebbe ceduto volentieri alla Garzanti”. Gelli risponde che lo prende a scatola chiusa. ”La mattina dopo vedo arrivare il figlio Michele con un contratto bell’e pronto di 105 milioni: eh sì, bisogna pagare anche 100 milioni alla banca per la liberatoria. Quando lo seppe, Garzanti mi disse: eh, Soldati non si smentisce mai”. Chiedere a Gelli di descrivere il leggendario caratteraccio dell’editore è come aprire un libro già scritto: ”Garzanti non ha mai avuto l’aria di supponenza alto-borghese e lo snobismo di Einaudi. Non sapeva vivere in società, ma era di un’intelligenza e di una cultura superiore. Con Garzanti c’era un rapporto più diretto, per quanto pieno di tranelli e di inganni, però almeno conoscevi il nemico. Se volevo prendere un autore non potevo fargli capire che ne ero entusiasta, dovevo mostrarmi un po’ tiepido. Erano trattative estenuanti ma anche divertenti”. Come si svolgevano gli incontri con Calvino? ”Gli sottoponevo una proposta di contratto, lui controllava tutto con attenzione, faceva le sue correzioni, non diceva una parola, era timidissimo e alla fine chiamava subito sua moglie Chichita per il terrore di dover intrattenere una chiacchierata con me che non avesse nulla a che fare con il contratto”. Allora, che succedeva? ”Tornavo da Garzanti per l’approvazione. Era un contratto molto oneroso, per cinque anni, in attesa di vedere come si sarebbe risolta la situazione Einaudi”. E le reazioni di Garzanti? ”Era sempre contrariato. Mi diceva: bisogna chiedergli anche Marcovaldo, per la scolastica. Ogni tanto urlava: non me ne frega niente, non è neanche un mio autore, e poi non l’ho mai sentito al telefono! Quello che lo disturbava davvero era che Calvino non lo avesse chiamato. A Italo non gliene importava niente di conoscerlo. Alla fine grazie a Chichita riuscimmo a organizzare una cena al Toulà di Roma, a cui partecipò anche Paolo Spriano: fu una serata piacevole”. Per la cronaca, la trattativa andò a buon fine, ma nell’89 il più importante agente americano, Andrew Wylie, avrebbe pensato bene di vendere tutti i libri di Calvino alla Mondadori per cifre stratosferiche. A proposito di Wylie: ”In Garzanti avevamo pubblicato due romanzi di Rushdie, con un successo enorme, persino maggiore che all’estero. A Francoforte, quando venne fuori la notizia dei Versi satanici che subito ottenne un favore straordinario ovunque, invitammo a cena Rushdie. C’era anche Chichita. Lui diceva: non dubitare, non dubitare, il libro sarà vostro. Invece aveva già firmato con la Mondadori perché si era affidato a Wylie, il quale gli aveva imposto di cambiare tutti gli editori. Garzanti me lo rimproverò spesso, ma quando seppe della fatwa fu felicissimo di non averlo pubblicato lui. Temeva per la sua persona”. Un ritrattino di Rushdie? Bastano due aggettivi: ”Supponente e antipatico, oltre che ingrato”. Anzi, tre» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 7/7/2008).
Fonte: frammento 158396.

Livio Garzanti – editore genialoide e imprevedibile per quel suo modo, che descrive lo stesso Principe [Quirino, musicologo e storico della musica], di alimentare nei suoi dipendenti ”rapporti instabili e nevrotici, aleatori e sempre periclitanti, umorali e varianti da una predilezione ostentata a un freddo odio umiliante, con alti e bassi sovente ripetuti a ciclo nell’arco di una sola giornata” – ebbe una battuta infelice: ”Dottor Principe, secondo me sono stati i suoi amici, i terroristi altoatesini” [la bomba di piazza Fontana].
Fonte: frammento 157830.

[…] [Il poeta Attilio Bertolucci] fu a lungo consulente di Livio Garzanti, restando, non si sa come, l´unica persona che Garzanti non abbia mai odiato.
Fonte: La Repubblica 22 maggio 2008, PIETRO CITATI.

2008
[1968]. «Una cultura del cavolo, volevano fare gli eroi senza i fucili dei partigiani» (Livio Garzanti).
Fonte: Giorgio Dell’Arti, Donna Moderna 12/1/2008.

2007
[…] In questo Stato un mio instant book sulle vivaci ricezioni romane e italiane ai telegiornali e ai gossip nei lunghi tempi del sequestro di Moro. Messo in un cassetto dai dirigenti della Feltrinelli d´allora, fu passato dal grande agente Erich Linder a Livio Garzanti, che subito lo pubblicò.
Fonte: Alberto Arbasino, la Repubblica 29/12/2007.

Babbo Natale [soprannome di Alberto Merlati] è stato sposato con la figlia della scrittrice Gina Lagorio, quindi ha avuto per genero Livio Garzanti, l’editore di Jorge Amado, Pier Paolo Pasolini, Goffredo Parise e soprattutto di Truman Capote, che si faceva trovare dal suo stampatore italiano in albergo intento a sferruzzare all’uncinetto ("era talmente femminile, una bella donnina, in fondo", si consolava Garzanti). "Ho lavorato sei o sette anni con Livio, ma sono scappato a gambe levate". Per quale motivo? "Nel 1980 m’ero incontrato a Barcellona con Carmen Balcells, l’agente letteraria dei più famosi scrittori latino-americani. Gabriel García Márquez aveva appena lasciato Feltrinelli. La Balcells mi propose d’ingaggiarlo, insieme con Mario Vargas Llosa. Tornai a casa felicissimo: 200.000 dollari per il primo e 30.000 per il secondo. Un affarone. Ma Garzanti disse che Llosa non lo conosceva e che García Márquez non valeva granché. Così se lo prese Leonardo Mondadori. E nei due anni successivi pubblicò i bestseller Cronaca d’una morte annunciata e L’amore ai tempi del colera". Immagino la sua felicità... "Ero furibondo. È vero che avevamo idee diverse su tutto, a cominciare dal futuro delle Garzantine. Ma quella è stata la fine del nostro rapporto".
Fonte: Il Giornale 23/12/2007, Stefano Lorenzetto.

Egli [Gadda] accenna alle esortazioni al lavoro che gli rivolgono Livio Garzanti - il «dottor Livio» […]. Proprio nel ´63, d´estate, egli scriverà Il padrone, protagonista Livio Garzanti: uscirà da Feltrinelli nel ´65.
Fonte: Nello Ajello, la Repubblica 14/3/2007.

2006
[Pubblicazione di “Ragazzi di vita” di Pasolini]. Qual è l’incubo di cui Pier Paolo Pasolini parla il 9 maggio 1955 a Vittorio Sereni? «Garzanti all’ultimo momento – scrive Pasolini – è stato preso da scrupoli moralistici e si è smontato. Così mi trovo con delle bozze morte fra le mani, da correggere e da castrare. Una vera disperazione, credo di non essermi trovato mai in un più brutto frangente letterario...». […] Garzanti si rese conto che il romanzo, così com’era, avrebbe finito per sconvolgere il buonsenso comune. In realtà, già alla fine del ’54, l’editore aveva espresso qualche dubbio di carattere stilistico, se Pasolini il 28 novembre precisava: «I suoi consigli mi paiono molto giusti e sensati, specie per quel che riguarda la lingua: (...), ma ne terrò conto nel correggere il libro quando sarà completo». Il dattiloscritto, disperso, verrà inviato a Garzanti il 13 aprile 1955. Quel che rimane è una copia carbone (conservata alla Biblioteca Nazionale di Roma e individuata dalla De Laude) con le stesse correzioni autografe inserite nel testo inviato all’editore: dunque una sorta di «copia originale». […] La lettera in cui Garzanti chiede allo scrittore di intervenire non è reperibile. Quel che si intuisce però è che si tratta di una revisione radicale che Pasolini è costretto a compiere nel giro di un mese. Tant’è vero che l’11 maggio 1955 scriverà a Garzanti di aver sostituito con puntini tutte le brutte parole «con rigorosa omologazione». E inoltre: «Ho attenuato gli episodi più spinti (Nadia a Ostia, ecc.: ma non quello del "frocio", per consiglio di tutti gli amici, oltre che per intima convinzione), ho sfrondato notevolmente (...), ho tolto "Il Dio C..." (...). E’ un errore credere che il romanzo vada molto ridotto (oltre le ragionevoli riduzioni che vi ho apportato), perché importa in modo determinante proprio la sua complessione massiccia e ossessiva». Insomma, Pasolini non vorrebbe che ne venisse fuori un prodotto «neorealistico», «alleggerito» o, peggio, «denicotinizzato», secondo le parole di Gadda. Qualche giorno dopo, agli amici di Officina confesserà di essere «precipitato in una serie di giorni atroci, con Garzanti». Aggiungendo che «a un certo punto pareva che il romanzo non si dovesse pubblicare più (per lo scandalo dei librai): ho dovuto fare correzioni, tagli: sono dimagrito cinque chili. E’ stato uno dei periodi più brutti della mia vita». E a Silvana Ottieri parlerà di un editore che «si è dimostrato vergognosamente ingeneroso».
Fonte: Corriere della Sera 22/01/2006, pag.33 Paolo Di Stefano.

2004
Brano di una lettera inedita di Gadda a Goffredo Parise: […]. «[…] sii cauto: se Livio (Garzanti, ndr) ti chiedesse qualche modifica, decurtazione, o riduzione non mandar tutto a ramèngo solo per questo […]».
Fonte: la Repubblica 12/5/2004, pag. 45.

2003
[…] sosteneva anche il savio Livio Garzanti: un buon editore dev’essere come un buon bottegaio, tabaccaio, épicier […].
Fonte: Alberto Arbasino, la Repubblica, 30/07/2003.

[La scrittriche Gina Lagorio] Nel 1974 si trasferisce a Milano, dove si risposa con l’editore Livio Garzanti. […] lungo sodalizio editoriale e umano con Livio Garzanti […]. «[…] Garzanti l’ho conosciuto a Milano nel 1973, dopo che nel ’64, alla morte di Emilio, avevo cominciato a lavorare furiosamente per l’editoria per integrare i guadagni di insegnate. Livio non era solo l’uomo dalla straordinaria intelleigenza che tutti gli riconoscevano: era un uomo bellissimo. Estroso, matto come un cavallo, fascinosissimo. È l’incontro con lui è stato come un furioso ritorno alla vita dopo gli anni durissimi della vedovanza. È stata una storia tormentosa [...]» (Elisabetta Rasy, ”Sette” n. 42/2005).
Fonte: frammento 104323.

[Pietro Citati:] «[…] facevo recensioni di narrativa, Pasolini di poesia. Più o meno in quel periodo, Livio Garzanti mi offrì una consulenza. Garzanti era un essere insopportabile [...] eppure era un grande editore. Anzi, il più grande editore italiano. Con molto più talento anche di Giulio Einaudi. La passione con cui ha pubblicato il Pasticciaccio di Gadda e con cui l’ha saputo imporre è una cosa straordinaria” […]».
Fonte: frammento 14458.

[Nando Dalla Chiesa]. Sempre più convinto che sul tema della legalità occorreva costruire uno spazio autonomo dai partiti, nella città governata da giunte di centro-sinistra, era Bettino Craxi, il sociologo ideò un circolo. Era il 1985, lo chiamò ”Società civile”: per statuto si potevano iscrivere tutti i cittadini salvo chi aveva un incarico politico. [Tra gli altri] Livio Garzanti.
Fonte: frammento 13992.