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 2009  marzo 30 Lunedì calendario

«Nel 1693 nella Sicilia del malgoverno e delle prepotenze spagnole, un terremoto distrusse una cinquantina di comuni, tra cui Catania, Avola, Lentini, e colpì Noto

«Nel 1693 nella Sicilia del malgoverno e delle prepotenze spagnole, un terremoto distrusse una cinquantina di comuni, tra cui Catania, Avola, Lentini, e colpì Noto. Sul luogo del distastro fu inviato il duca di Camastra, vicario del viceré, con pieni poteri e con la benedizione della chiesa. Il signorotto, la chiesa, i fondi da gestire: ecco il triangolo del malaffare meridionale, diranno gli illuminati. Il duca passava a cavallo tra le macerie e segnava le strade e le piazze che dovevano sorgere. Lo faceva da dilettante, ma in pochi mesi quel brusco e altero signore ricostruì al meglio quei paesi. Il duca, ha scritto Sciascia, temperava il rigore cattolico con il culto della bellezza; non si dirà lo stesso dei democritsiani che gestirono i terremoti più recenti. Il potere democratico è riuscito a far rimpiangere la dominazione spagnola e la dittatura fascista. Eppure oggi ci sono più mezzi tecnologici, più risorse, e c’è il volontariato: ma il potere ha perso l’onore e ha guadagnato il malaffare» (Marcello Veneziani) Rousseau. "Dopotutto non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case di sei-sette piani" (Jean-Jacques Rousseau a proposito del terremoto di Lisbona del 1755). Sempre peggio. Infatti, dal 1960 ad oggi il numero di persone colpite da calamità naturali è andato aumentando del 6 per cento l’anno. E si capisce: un terremoto nel deserto, per quanto squassante, non farà nessuna vittima e non provocherà alcun crollo. Un sisma modesto in un centro abitato avrà invece effetti devastanti. Dunque, le conseguenze dei terremoti sono proporzionate al numero di persone che abitano in città. E da questo punto di vista i numeri parlano chiaro: nel 1950 poco più del 70 per cento dell’umanità viveva in campagna. Oggi è il 40 per cento scarso. "Nelle regioni più ricche la popolazione urbana è raddoppiata (da 447 a 838 milioni), mentre nelle aree meno sviluppate essa è quadruplicata: da 286 milioni a 1,14 miliardi di persone. Entro l’anno 2000, circa il 77% dei latino-americani, il 41% degli africani e il 35% degli asiatici vivranno nelle città. La crescita demografica urbana dei paesi in via di sviluppo è pari al 3,6% all’anno. Nei paesi industrializzati, di converso, la popolazione urbana aumenta solo dello 0,8% annuo. In soli sessant’anni la popolazione urbana dei paesi in via di sviluppo è aumentata di 10 volte: da circa 100 milioni nel 1920 a più di un miliardo nel 1980". Così un rapporto della World Commission for Environment & Development. Lisbona. "1° novembre 1755, un sabato, verso le 9.40 del mattino. Le chiese andavano riempiendosi per la festività di Tutti i Santi, quando la terra proruppe in un terrificante boato seguito da tre scosse in rapida successione, mentre cavalloni giganteschi si abbattevano sull’estuario del Tago, travolgendo il Terreiro do Paço. In pochi attimi il centro urbano fu ridotto a un cumulo di rovine (l’intera sequenza si svolse in meno di nove minuti), ma il peggio doveva ancora venire perché nei quartieri settentrionali divamparono diversi incendi che un rinforzo di vento propagò al resto della città, facendola ardere ininterrotamente per sei giorni. Nel frattempo erano avvenuti nuovi scotimenti. Uno violento aveva avuto luogo la mattina stessa del 1° novembre, alle 11, seguito da un incessante moto vibratorio durato ventiquattro ore. Quattro repliche si susseguirono in novembre, e molte di più in dicembre, raggiungendo un totale di 500 fino al settembre dell’anno dopo" (Solbiati-Marcellini, Terremoto e società, Garzanti, 1983). I morti furono 60 mila solo perché le scosse cominciarono di mattina troppo presto: altrimenti sarebbero stati 90.000. Ma sono interessanti le conseguenze di quella catastrofe: fuggiti la corte e il nuovo re Giuseppe I, che per lo spavento visse vent’anni in baracca, il marchese di Pombal si impadronì del potere e, facendosi forte della ricostruzione, mise in piedi un paese completamente diverso: nuovi piani regolatori, trasformazione dell’artigianato in industria (l’edilizia, per far prima e risparmiare, imparò a lavorare a moduli), emarginazione della nobiltà imbelle e trionfo dell’abbinata impresa-lavoro. Si dice che il Portogallo moderno è ancora oggi quello che Pombal ha voluto. Stessa cosa in Calabria nel 1783: sisma spaventoso (trentamila morti) e palla colta al volo dal principe Pignatelli, inviato del re di Napoli Ferdinando IV, per sbarazzarsi del clero, incamerare rendite e beni ecclesiastici, creare una cassa sacra e con quella finanziare uno sviluppo che, fatte le debite proporzioni, resta memorabile ancora oggi. Era successo qualcosa di analogo anche a Catania novant’anni prima. Friuli. Parliamo del Friuli col rettore dell’Università di Udine, Marzio Strassoldo, economista, e con suo fratello Raimondo, docente universitario, sociologo e già titolare della cattedra di Sociologia dei disastri. E’ vero che il cosiddetto fenomeno del Nord-Est comincia col terremoto del ’76? "Questo è esagerato, dato che il terremoto ha riguardato un quarto del Veneto e segni di sviluppo erano senz’altro presenti già negli anni Sessanta. Però è vero che il sisma è stato un formidabile propellente". Qualche cifra. "La disoccupazione, da una quota del 7-8 per cento, scese al livello fisiologico del 3-4 (la disoccupazione zero non esiste). Cominciò un flusso migratorio all’inverso: non solo i friulani non andavano più a lavorare all’estero (questo accadeva già dal ’71) ma molti stranieri vennero a lavorare qui". L’immigrazione dal Terzo mondo cominciò allora? "Sì, allora". Come si spiega questo boom? "Ma intanto tenga conto di questo: se su cento lire di danni, lo Stato ne metteva sessanta, il privato ne metteva altre sessanta. Una fabbrica che prima valeva cento, dopo valeva centoventi. Ci metta il rinnovo completo delle tecnologie. E aggiunga che le provvidenze furono destinate prima all’industria - cioè al tessuto economico - e poi alla ricostruzione delle abitazioni. I terremotati passarono l’inverno nelle case della costa, costruite per le vacanze e perciò vuote. Infine, fu straordinaria l’autoimprenditorialità: i friulani si fecero muratori, carpentieri e quant’altro e si ricostruirono tutto da sè. Le grandi imprese son venute, ma in definitiva hanno ricoperto un ruolo modesto". La criminalità? "Niente, insignificante". Futuro. L’ideale sarebbe considerare i terremoti inevitabili e anticipare, governandole, le occasioni di sviluppo legate alla catastrofe. Se la distruzione da terremoto fa ricostruire, e dunque aiuta l’edilizia, il consolidamento degli edifici può essere visto come uno "sviluppo da terremoto a priori": aiuta l’edilizia lo stesso e può evitare qualche morto. E’ vero che la cifra da sborsare per questo oscilla intorno ai centoventimila miliardi. Però dal ’45 al ’90 lo Stato ha speso per catastrofi naturali 142 mila miliardi, cioè 273 miliardi al mese, nove miliardi al giorno. E molto di più ultimamente: 22 miliardi al giorno nel periodo 1980-1989. Sono dati del Servizio Geologico Nazionale. Conclusione. La conclusione è questa: poiché Africa ed Europa tendono ad avvicinarsi, il bacino del Mediterraneo tende a chiudersi. Nello stesso tempo l’Atlantico e il Tirreno tendono ad allargarsi. Il Tirreno si muove a una velocità pari a un centimetro l’anno. Ergo: i terremoti da noi sono davvero inevitabili. Consoliamoci con questo pensiero dell’abate Galiani: "Molte volte le calamità distruggono le nazioni senza risorgimento, ma talvolta sono principio di risorgimento e di riordinamento di esse. Tutto dipende da come si ristorano"