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 2010  novembre 15 Lunedì calendario

Spot aspetta il padrone che non tornerà più - Prima ha commosso il Texas, poi l’America, ora sta commuovendo il mondo in­tero

Spot aspetta il padrone che non tornerà più - Prima ha commosso il Texas, poi l’America, ora sta commuovendo il mondo in­tero. E’ la storia di Spot, l’en­nesimo cane che fa riflettere su un fenomeno che si presta molto bene all’antropomor­fizzazione, ovvero a introdur­re negli animali sentimenti che parrebbero essere di esclusiva competenza uma­na. Ma qui i condizionali so­no d’obbligo ed è giusto far­ne largo uso, perché ormai sappiamo che anche gli ani­mali provano sentimenti. D’altronde basta vedere i po­chi minuti di questo video, per rendersi conto, attraver­so lo sguardo di questo cane, che nella sua mente c’è qual­cosa di più che il semplice istinto, la semplice risposta di relais neuronali, come vor­rebbero i moderni seguaci di un positivismo cartesiano che ha perso la sua battaglia con la storia. Andate a vedere il video (basta battere ’Spot il cane’ su qualunque motore di ricer­ca) e capirete cosa intendo di­re. L’espressione triste e ma­linconica (i Pointer ce l’han­no già di per sé) di questa fem­mina di cane da caccia che at­tende sulla statale di Loan Oak (Texas) il suo padrone, deve convincere chiunque che il ricordo dei defunti e la mancata rassegnazione per la loro dipartita non sono pre­rogative umane. Da cinque mesi, da quel maledetto giu­gno in cui un autista sbronzo ha investito Wayne Giroux, Spot si reca ogni giorno su quella strada e si mette sedu­ta, le orecchie ritte e attende. Quando sente in lontananza il rumore di una macchina si­mile a quella di Wayne, le orecchie si alzano, gli occhi scrutano avanti, il corpo si tende e trema, nell’attesa che da quell’auto si apra una por­tier­a e che Wayne superi il fra­stuono del motore con il suo ’Come on up, Spot!’ (Sali su, Spot!). Ma l’auto non si ferma e, mentre corre veloce, verso l’orizzonte, le orecchie recli­nano, gli occhi si velano di malinconia e Spot torna a se­dersi, nell’attesa della prossi­ma. E’ così da cinque mesi, tutti i santi giorni. ’Non ho al­cun dubbio su chi stia aspet­tando’ dice davanti ai micro­foni Paul, il figlio di Wayne’ e credetemi, mi si spezza il cuo­re quando percorro quella strada e la vedo là seduta, al solito posto’. Ho visto il vi­deo diverse volte e in diversi siti e devo dire che, nel sottoti­tolo di uno di questi, c’era scritto: ’tenete a portata di mano un fazzoletto di carta’. Non era una trovata pubblici­taria. La storia di questo cane ovviamente non può che ri­cordare quella di un suo fa­moso simile, l’Akita Inu di no­me Hachi, reso celebre dal re­cente film con Richard Gere, che attese alla stazione di Shi­buya per 10 lunghi anni il suo padrone Ueno, docente di agraria morto per infarto du­rante il viaggio verso l’univer­sità dove insegnava. D’altronde nessuna visi­ta alla città di Edimburgo può dirsi completa se manca l’omaggio, in Candlemaker Row, alla statua del piccolo Skye Terrier di nome Bobby, che attese per 14 anni il suo padrone, John Gray morto nel 1858. E’ del giugno di quest’an­no la storia di Ambra, la fem­mina di Husky, rimasta per giorni a 3000 metri in mezzo a gelo e valanghe ad attende­re Francesco Zavattiero, l’al­pinista con il quale viveva in simbiosi, purtroppo morto tra i ghiacci eterni. Trovo solo due termini per spiegare questi atteggiamen­ti: fedeltà e lealtà e li pronun­cio con grande cautela, quasi chiedendo scusa. Ai cani.