ANTONELLA RAMPINO, La Stampa 15/11/2010, pagina 3, 15 novembre 2010
Costituzionalisti contrari “Possibilità contemplata ma certo non automatica” - E che si fa, si butta a mare la Camera viva e si resta con quella moritura? Una trovata assurda, via
Costituzionalisti contrari “Possibilità contemplata ma certo non automatica” - E che si fa, si butta a mare la Camera viva e si resta con quella moritura? Una trovata assurda, via...». Con fulminante esprit fiorentino Giovanni Sartori, classe 1924, rigira il coltello nella piaga che si aprirebbe se davvero, come diceva Silvio Berlusconi ieri, in caso di sfiducia a Montecitorio si sciogliesse una Camera sola, e proprio quella, mantenendo in vita il Senato. Che, osserva Sartori, «è morituro, perché sta per diventare Senato federale: è una logica tutta italiana, quella di tenere in piedi la sola Camera che deve morire, è un’idea che descrive bene lo stato del Paese, e credo proprio che Napolitano ce la risparmierà». Napolitano, ecco: «La Costituzione non si può leggere a pezzettini, e il caso della crisi di governo è proprio quello in cui entra in scena, direi come dominus, il Presidente della Repubblica», ricorda la costituzionalista Anna Chimenti. La «trovata assurda», per stare alla definizione di Sartori, infatti un appiglio formale ce l’avrebbe, ed è l’articolo 88 della Costituzione secondo il quale «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Però sciogliere una Camera sola e non tutt’e due non s’è mai fatto se non nel 1953, nel 1958 e nel 1963, e solo perché allora il Senato aveva una diversa durata rispetto alla Camera, 6 anni contro 5. E l’assemblea di Palazzo Madama fu sciolta «per equiparare la durata del mandato, poi uniformata con la riforma costituzionale del 1963» ricorda Valerio Onida, che della Consulta è stato presidente, e che giudica il ricorso all’articolo 88 oggi «un assurdo, se si scioglie la Camera è perché non c’è più la maggioranza di governo, sono cambiate le condizioni politiche: se si andasse alle elezioni solo per uno dei due rami del Parlamento si potrebbe avere come risultato una maggioranza confliggente». Ovvero, il risultato per Berlusconi potrebbe anche essere di perdere alla Camera, il che significherebbe dover fare ulteriori, nuove elezioni. Insomma, ed è una decisa controindicazione formale, «in caso di scioglimento anticipato non si è mai andati a elezioni per una Camera sola, e questo perché politicamente si verificherebbe una Camera che rema contro l’altra», aggiunge il professor Paolo Armaroli, che è stato in passato anche parlamentare per An. In questa situazione, spiega, «ho la sensazione che ricordare l’articolo 88 serva solo a rassicurare i senatori: votate per il governo senza paura, Palazzo Madama resta in piedi...». Anche un costituzionalista di area di centrodestra come Antonio Baldassarre riconosce che «pur non essendo tecnicamente impossibile, sciogliere solo un ramo del Parlamento non è automatico: è nel potere del Capo dello Stato, che dovrebbe però almeno essere confortato da un ampio consenso di tutte le forze politiche». Un’ipotesi puramente di scuola anche per il professor Rebuffa, fulminato dalla notizia del desiderata berlusconiano nel bel mezzo di una lezione a Boston: «Sarebbe possibile, forse, solo se il governo fosse forte e con largo consenso nel Paese, com’era quello di Alcide De Gasperi nel 1953, che pure sul Senato aveva un problema meramente tecnico. In quel caso, il presidente del Consiglio potrebbe provare a proporlo al Capo dello Stato, in nome della stabilità». Ma, aggiunge Rebuffa, «nella situazione in cui è l’Italia oggi ricorrere all’articolo 88 è solo un’idea da gruppi di analisi allo sbaraglio». Il paradosso, aggiunge Anna Chimenti, «è che Berlusconi sa che alla Camera non ha i voti, e al Senato sì: se si sciogliesse solo il Senato, per via dell’attuale legge elettorale potrebbe uscirne un Berlusconi perdente al Senato e forte alla Camera». Insensato. Anche perché in agguato c’è un altro punto della Costituzione: quello per il quale, ottenuta la sfiducia in uno solo dei due rami del Parlamento, il governo cade immediatamente. Anche per questo, aggiunge Onida, «non è secondaria le tempistica di presentazione delle mozioni: quella alla Camera è di sfiducia e ha effetti immediati sulla sorte del governo, quella del Senato no, è solo un atto politico». Perché nella Costituzione il pronunciamento «di fiducia», al di fuori dell’insediamento del governo, non esiste. E il voto simbolico al Senato, chiosa Onida, potrebbe essere un viatico a un governo affidato ad un’altra personalità della stessa maggioranza politica, piuttosto che fare da scivolo a nuove elezioni.