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 2010  novembre 15 Lunedì calendario

SOSTENIBILITA’. IL CIBO SANO? FA BENE AL PIANETA

Il «think tank di Barilla» ha scoperto i meriti ecologici della nostra alimentazione tradizionale La dieta mediterranea è salutare anche per l’ambiente: richiede meno consumo di terra ed energia Ma il deficit nutrizionale vale anche per l’Italia: ognuno d
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Una tazza di latte, cinque fette biscottate e un frutto: 3 metri quadrati. Un piatto di spaghetti, una porzione di coniglio alle olive e un’insalata: 21 metri quadri. Un vasetto di yogurt: 2 metri quadri. Gli ingredienti sono quelli tipici della cucina mediterranea ma il loro equivalente non è espresso in calorie come in tutte le diete bensì in spazio verde consumato. Boschi, prati, fiumi, pascoli, che servono per produrre ciascuno dei pasti proposti nell’originale menù ecologista.
A prima vista potrebbe sembrare una dieta nuova, alternativa a quelle tipicamente salutiste incubo dei golosi, ma approfondendo l’argomento si scopre che non è così: quello che fa bene al pianeta fa bene anche alla salute. Lo studio è del Barilla Center for Food and Nutrition, il laboratorio sulla nutrizione del gruppo emiliano primo produttore mondiale di pasta, che lo ha elaborato a partire dalle conoscenze scientifiche sulla dieta mediterranea. Il risultato è sintetizzato nell’immagine della doppia piramide: una a testa in su, l’altra a testa in giù. Da una parte la classica piramide alimentare, quella che ha cominciato a circolare vent’anni fa a partire dagli studi del dietologo americano Ancel Keys, per far capire in modo semplice e chiaro le funzioni nutritive dei vari alimenti e le quantità in cui è consigliabile consumarli. In sostanza quel triangolo a strisce colorate con i disegnini della frutta e della verdura in basso e la carne e i dolci al vertice che siamo abituati a vedere nelle farmacie, negli ambulatori o nelle mense. Gli alcolici non sono previsti nella dieta mediterranea perché non hanno valore nutritivo.
Ma la novità e il contributo del Barilla Center è nell’altro disegno, la priamide rovesciata a testa in giù che mette in fila gli alimenti secondo la scala delle loro tracce ambientali ed evidenzia la relazione diretta con i benefici per l’organismo. Per arrivare ad elaborare questo disegno-bussola gli esperti del think tank di Parma si sono ispirati da un lato ad una serie di studi e pubblicazioni scientifiche, dall’altro al contributo dell’austriaco Mathias Wackernagel, presidente del Global Footprint Network, la rete di istituti di ricerca, scienziati e associazioni ambientaliste che ha elaborato il concetto di impronta ( footprint ) ambientale e che ogni anno misura la salute del pianeta. «Ogni allevatore sa quanto pascolo è necessario per sostenere i capi del suo bestiame — spiega Wackernagel —. Come l’allevatore anche noi dobbiamo chiederci quanta bio-capacità abbiamo, cioè quanto terreno biologicamente produttivo è disponibile per sostenere le nostre economie. La maggior parte dei paesi consuma risorse più rapidamente di quanto il proprio ecosistema riesca a ricostruirne».
Anche l’Italia, secondo il docente, rientra in pieno in questo contesto di paesi consumatori: la penisola ha un impronta ecologica pro capite di 4,2 ettari globali, ma ha una bio capacità che è solo di un ettaro pro capite. «Il che significa — prosegue Wackernagel — che siccome ciascun italiano consuma più di 40 mila metri di terreno per produrre fibre e cibo e per assorbire i propri rifiuti si porta dietro un deficit energetico di 30 mila ettari quadrati».
La sostenibilità, secondo il leader del Footprint Network, «sta diventando la sfida principale per assicurare le vite produttive su questo pianeta, anche se ancora non ha un ruolo centrale nelle decisioni collettive». A raccomandare per prima che la scelta dei cibi tenga conto della sostenibilità è stata, nel 2009, la presidenza svedese di turno dell’Unione Europea.
Sfida
E il think tank Barilla ha dato il suo contributo a questa tendenza elaborando la sua piramide rovesciata, dove ogni livello corrisponde ad un impatto ambientale, cioè ad una impronta ecologica, misurata scientificamente. Vicini al vertice gli alimenti più naturali come la frutta che lascia un impronta di soli 3 metri quadri al chilo, gli ortaggi, il pane le patate, e poi sopra l’olio la pasta le uova, fino alla base rovesciata che fa da cima dove invece c’è la carne rossa bovina che consuma, prima di arrivare sui nostri piatti, fino a 105 metri quadri di ambiente tra terreno dal coltivare, pascoli, energia, fertilizzanti etc.
Le due piramidi, una a fianco all’altra, mostrano che gli alimenti tipici della dieta mediterranea sono anche quelli meno invasivi per l’ambiente. E, con buona pace dei golosi, il menu settimanale proposto dal Barilla center, che prevede un impronta ambientale giornaliera di un massimo di una quarantina di metri, non abbonda in grassi e zuccheri e non supera le 2.300 calorie al giorno.
Roberta Scagliarini