Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 14/11/2010, 14 novembre 2010
La pubblica amministrazione dovrà saldare i fornitori a 30 giorni ed eccezionalmente a 60. Lo prescrive il Parlamento europeo
La pubblica amministrazione dovrà saldare i fornitori a 30 giorni ed eccezionalmente a 60. Lo prescrive il Parlamento europeo. Per i governi che devono attuare la direttiva Ue del 20 ottobre, i problemi sono due: accelerare i pagamenti da oggi in avanti; liquidare il pregresso, 35 miliardi secondo il ministero dell’Economia, 60 per la Confindustria. Sarebbe un forte impulso all’economia. Ma non è facile darlo. Da noi, i tempi medi contrattuali tra imprese e pubbliche amministrazioni sono di 95 giorni, quelli effettivi di 135. In Germania, i tempi medi contrattuali sono di 25 giorni, gli effettivi di 40. Per risparmiare, il Tesoro ha sempre più ridotto i trasferimenti agli enti locali. E questi ritardano i pagamenti. Il Tesoro lascia correre, perché il Trattato di Maastricht considera nel debito pubblico solo le obbligazioni finanziarie e non i debiti commerciali. Molte imprese hanno tollerato, perché riuscivano a inglobare nel prezzo i maggiori oneri finanziari e anche perché maturare interessi di mora del 7% in aggiunta a quelli correnti offriva l’opportunità di ottimi arbitraggi rispetto al costo del denaro. Il problema esplode con la crisi. Contraendosi il giro d’affari e la disponibilità di prestiti comodi, le imprese hanno bisogno di essere pagate per tempo. E le banche, temendo eccessivi ritardi e contestazioni, scontano malvolentieri questi crediti. Al massimo, pronube le associazioni, stringono accordi pro solvendo e non pro soluto. Nella ricca Brescia, Ubi Banca anticipa il dovuto da Comuni e Provincia ma, se entro 18 mesi non si chiude bene, la patata bollente torna alle imprese. Soluzioni? Sul futuro sta lavorando la Sace. E un intermediario unico, pubblico ma professionale, renderà più difficili le collusioni tra creditore privato e debitore pubblico che in parte avevano gonfiato il pregresso. Sul passato è nebbia fitta. L’idea più fantasiosa è la seguente. Un soggetto da costituire ad hoc, e non riferibile giuridicamente al settore pubblico, potrebbe emettere covered bond sottoscritti dalle banche e con il ricavato rilevare i crediti «pubblici» dalle imprese. E poiché la Bce ora accetta anche queste speciali obbligazioni dando liquidità pronti contro termine, anche le banche, apparentemente, andrebbero in pari. Ma a chi resterebbe il rischio di credito? Se resta alle banche, siamo daccapo. Per caricarlo sulle spalle della Bce allungando all’infinito le scadenze, ci vorrebbe un accordo politico analogo a quello che l’ha costretta a prendersi i titoli del debito pubblico greco. Ma siamo noi come la Grecia? Negli Stati Uniti l’hanno già fatto mettendo in capo alla Federal Reserve obbligazioni basate su carte di credito e subprime. Ma l’Europa, per fortuna, è diversa. E in Italia? Qui la Cassa depositi e prestiti studia gli accordi tra Intesa Sanpaolo, imprese, Regione Veneto, Venezia e altri 27 Comuni e Province, alcuni pro soluto e altri pro solvendo con certificazione del credito su un periodo lungo. Se reggeranno, diventeranno esperienze pilota alla cui estensione la stessa Cassa potrebbe forse contribuire purché possa farlo senza aumentare il debito pubblico.