Guido Rampoldi, la Repubblica 14/11/2010, 14 novembre 2010
Famiglia magica, si potrebbe dire. Incantata, ammaliante, ma anche un po´ maledetta. Tutti più o meno geniali, con personalità straordinarie, con radici profonde nel meglio e nel più sublime della cultura europea
Famiglia magica, si potrebbe dire. Incantata, ammaliante, ma anche un po´ maledetta. Tutti più o meno geniali, con personalità straordinarie, con radici profonde nel meglio e nel più sublime della cultura europea. E, al tempo stesso, tutti più o meno sradicati, spostati, alienati, profughi dall´identità lacerata. Thomas Mann, il gigante, il premio Nobel, l´"impolitico" che avrebbe potuto benissimo diventare il primo presidente di quegli "Stati uniti d´Europa" che non ci sono ancora, e suo fratello Heinrich, in fin dei conti se la sono cavata scrivendo. Ma entrambe le loro sorelle, così come la seconda moglie di Heinrich, e ben due dei sei figli di Thomas si sono suicidati. un bel libro, curato da Uwe Naumann e Astrid Roffmann, ora tradotto da Excelsior 1881 col titolo La famiglia Mann, una storia lunga un secolo, rievoca le vicende degli "altri Mann", quelle dei figli di Thomas. Lo fa grazie a una ricca documentazione fotografica, e grazie alla mole di cose scritte dai figli di Thomas e di Katia. Tutti e sei si cimentarono ad un certo punto della loro vita con la scrittura. Finendo però schiacciati dalla figura paterna, ad eccezione forse del solo Golo, che riuscì ad affermarsi come storico anziché romanziere. «Ho sempre desiderato che almeno uno abbracciasse una professione da bravo borghese, dottore, ingegnere; ma nessuno l´ha fatto. Scrittori! Storico, può ancora andare», lo sfogo di mamma Katia. La storia dei Mann è un romanzo sulla schizofrenia del manicomio in cui l´Europa si era trasformata tra le due guerre mondiali. Erika, la maggiore, era stata la prima a dover abbandonare la Germania e poi a essere privata della cittadinanza. Gli spettacoli del suo cabaret vengono interrotti dalle camicie brune che l´apostrofano come «criminale», «traditrice ebrea». Il Völkischer Beobarcher, il "giornale di famiglia" di Hitler, la definisce «iena pacifista», «priva di fisionomia umana». Lei gli fa causa e la vince pure, ma non serve a nulla. Il decreto di proscrizione parlerà di «spettacoli indegni», miranti alla «diffamazione della Germania». L´industria del fango funzionò a pieno regime. Tirarono in ballo storie di amori omosessuali, fecero le pulci al loro livello di vita da «privilegiati». Curioso: le stesse porcherie sarebbero tornate, anni dopo, all´epoca del maccartismo, nei dossier a loro carico dell´Fbi. L´organo del partito nazista li aveva avvertiti: «Il capitolo "famiglia Mann" si allunga fino a diventare lo scandalo di Monaco, che a tempo debito dovrà essere liquidato». Molti su queste cose minimizzavano, scrollavano le spalle, come fossero ipnotizzati dal serpente. Golo Mann racconta del primo comizio di Hitler cui gli era capitato di assistere: «Mi dovetti opporre all´energia e al potere persuasivo dell´oratore, cosa che non riuscì a un amico di origini ebraiche che avevo portato con me. "Ha ragione", mi sussurrò». Per rompere coi nazisti Thomas, a differenza del fratello Heinrich, aspettò finché il suo editore ebreo fu costretto a chiudere nel 1936. Poi se ne sarebbe pentito: «Per molto tempo - per essere precisi fino al 1933 - ho creduto che la politica si risolvesse con la mano sinistra, come "un compito da risolvere diligentemente"». Ma ormai era tardi. La "fuga senza fine" portò i Mann prima in Svizzera, poi in Cecoslovacchia, dove tutta la famiglia ottenne la cittadinanza nel 1937 grazie all´intervento dell´industriale della canapa Rudolf Fleischmann. Passarono successivamente in Francia, poi in America. Monika Mann, la figlia di mezzo, perse il marito, il critico d´arte Jenö Lànyi che aveva conosciuto in Italia, nelle gelide acque dell´Atlantico, quando la nave su cui viaggiavano fu silurata da un sottomarino tedesco. Avrebbe acquisito solo nel 1952 la cittadinanza americana, la quarta dopo quella tedesca, ceca, ungherese. Ad altri membri della famiglia fu negata. Erika sarebbe diventata cittadina britannica solo grazie al matrimonio di convenienza, in seconde nozze, con il poeta W. H. Auden, notoriamente omosessuale. Klaus, durante l´esilio, avrebbe pubblicato Mephisto, un romanzo in cui la figura del protagonista è chiaramente riconoscibile nell´attore Gustaf Gründgens, il primo marito della sorella Erika, che aveva fatto una strepitosa carriera ammanicandosi i nazisti e poi, con pari ingegno, i liberatori. Il libro rimase a lungo proibito in Germania anche dopo la guerra perché lo «diffamava», mentre Klaus ed Erika venivano additati sulla stampa della Germania occidentale come comunisti, anzi agenti di Stalin. Klaus non riuscì mai ad avere una residenza fissa. Visse a Parigi, Amsterdam, New York, Roma, fino al suicidio per overdose di sonniferi a Cannes nel 1949. Elizabeth, la quinta figlia, a quattordici anni si era innamorata di un esule antifascista, Giuseppe Antonio Borgese, perché aveva letto un suo libro. Incontratolo in America l´aveva poi sposato, benché lui fosse di trentasei anni più anziano di lei. Pare che Thomas non gradisse. Non tanto per la differenza di età, ma perché il brillante italiano gli rubava la scena. «Una volta eravamo dai miei genitori a Pacific Palisades (la loro residenza presso Los Angeles, ndr.). Mio padre apprezzava che si parlasse un po´ di lui, il padrone di casa. Invece le donne sedettero ai piedi di Borgese, che conversava ininterrottamente. Questo faceva inviperire mio padre», racconta Elizabeth. Michael, il più piccolino, aveva di fronte una grande carriera da violinista. Ma a un certo punto si mise in testa anche lui di scrivere. Voleva curare la pubblicazione dei diari del padre. Scoprì però, in un´annotazione del 1918, che i genitori avevano considerato l´ipotesi di non farlo nascere. «I diari del padre l´hanno reso pazzo, l´hanno ucciso. Avrei preferito che li avesse bruciati», il parere di un suo amico e collega. Michael si tolse la vita con cocktail di alcol e barbiturici la notte di capodanno del 1977, lo stesso anno in cui iniziava la pubblicazione integrale dei Diari. Katia, o la "Signora Thomas Mann" come dicevano i suoi biglietti da visita, sopravvisse invece non solo al marito ma a tre dei loro figli. La sua figura sovrasta tutte le altre, compresa quella del consorte. Cresciuta in una grande famiglia di borghesia ebraica di Monaco, i Pringsheim, avrebbe potuto avere il mondo ai suoi piedi. Magari diventare una grande scienziata. «Avrebbe dovuto sposare Immanuel Kant», scrive di lei la figlia Monika. Invece aveva abbandonato gli studi universitari e si era sposata con Thomas, parole sue, «solo perché volevo avere dei figli». «Nella mia vita non ho mai potuto fare ciò che avrei voluto», le capitò di dire in seguito. Era lei «il punto centrale dell´ordine morale e di valori» della famiglia. Di difficoltà in difficoltà, di esilio in esilio, di trasloco in trasloco. «A novantasei anni è ancora molto bella. Quando ti riceve con i suoi capelli bianchi e i lunghi vestiti ha un aspetto formidabile. Poi si rannicchia, civetta con gli uomini giovani», questo il ricordo che conservavano di lei i figli. *** già dalla generazione successiva a quella di Heinrich e Thomas Mann, risulta evidente che i Mann sono una famiglia estremamente internazionale. I figli e i nipoti dei Mann si sono distribuiti in modo sempre più ampio nei paesi e nei continenti più disparati. Internazionalità, multiculturalità e cittadinanza globale, così come la migrazione dei popoli a livello mondiale e il meticciato sono, nell´era della decadenza dello stato-nazione, il rovescio della medaglia della lontananza dalla patria, dell´esilio e della mancanza di appartenenza, identità e integrazione. Il destino della famiglia Mann ha anticipato un moderno fenomeno di massa.l´espulsione dei Mann dalla Germania nazista non ne ha assolutamente fatto dei cittadini globali contro la loro volontà. La madre di Heinrich e di Thomas Mann era brasiliana e quando era solo una ragazzina fu strappata dal tropicale idillio paradisiaco della sua infanzia e trapiantata in Germania. Non tornò mai più in Brasile e fino alla sua morte, dopo la Prima guerra mondiale, si sentì dilaniata fra i suoi due paesi e le sue due culture. Più tardi, questi suoi sentimenti influenzarono sensibilmente anche i figli. Senza Julia Mann, il maggiore dei figli, Heinrich, non sarebbe divenuto così presto uno scrittore francofilo, antiprussiano e antimonarchico, che prese moglie a Praga; e anche l´evoluzione di Thomas Mann, dal suo limitato mondo nazionale tedesco a homo politicus cittadino del mondo, nella sua opposizione sempre più forte al nazionalsocialismo, sarebbe stata certamente più lenta e tormentosa. Lo stesso vale anche per i figli dei Mann [...]. Questi particolari effetti del destino, indotti dalla guerra, lasciarono ferite profonde. Soprattutto durante la mia prima infanzia in California, vidi sempre mia zia Monika segnata interiormente dalla catastrofe del siluramento della nave sulla quale stava fuggendo [...]. Finita la guerra, Erika diede tutt´altra immagine dell´album di famiglia dall´esilio: sembrava un´amazzone, temprata dalla vittoria sulla barbarie nazista; ho ancora perfettamente in mente la sua figura nell´uniforme inglese e non ne avevo mai abbastanza dei suoi racconti avventurosi sulla guerra lampo, sulle azioni militari nella Francia ancora parzialmente occupata e sui suoi incontri apocalittici con i criminali di guerra nazisti processati a Norimberga. [...] I Mann sono un esempio evidente e al contempo anche i precursori di una sorta di cittadinanza globale, che scavalca i confini e che oggi è sempre più diffusa. Non lo sono, però, solamente in modo passivo, attraverso la loro esistenza e il loro essere così presi dal proprio destino; sono invece attivi, scrivono, riflettono, comunicano con chi è disponibile ad ascoltare e lottano contro ogni ostacolo per una comunità mondiale sempre più unita e intimamente orientata verso valori etici e umani. Il ponte globale che si estende dal Brasile alla California fino al Baltico è il messaggio che ci hanno lasciato e che la terza generazione dei Mann ritiene oggi d´importanza centrale. Traduzione Ludovica Notarbartolo