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 2010  ottobre 24 Domenica calendario

“Cavaliere, 20 mila lire o ti facciamo a pezzi” - E’ un fossile che arriva dalla preistoria della mafia a raccontarci le storie di oggi, a dirci che tutto è cambiato perché tutto rimanesse com’era

“Cavaliere, 20 mila lire o ti facciamo a pezzi” - E’ un fossile che arriva dalla preistoria della mafia a raccontarci le storie di oggi, a dirci che tutto è cambiato perché tutto rimanesse com’era. È una «lettera di scrocco» datata 1897, antesignana delle migliaia di richieste estorsive che nel secolo successivo sarebbero piovute sulle teste di imprenditori e commercianti fino a diventare la maggiore voce di approvvigionamento dei «piccioli» di Cosa Nostra: il racket. Non c’erano i ragazzi di Addiopizzo, non c’erano rivolte delle associazioni degli industriali quando nell’aprile di quell’anno il barone Salvatore D’Onufrio ricevette nel suo Palazzo Castrone di Santa Ninfa una busta intestata al «Distintissimo Cavalieri» e mal affrancata, tanto da costringerlo alla beffa di dovere pagare la soprattassa di 20 centesimi. «Se sabato non mandati 20000 vi tagliamu appezzi a voi e tutta la vuostra famiglia. Stati attentu a non chiamari aiutu di sbirri», c’è scritto. Sotto, la firma con tre croci e una sigla: «Ecco la morte di sicari». Segreti e sussurri Una lettera rintracciata dal giornalista siciliano Vincenzo Prestigiacomo che la pubblica nel suo volume, appena dato alle stampe per Nuova Ipsa Editore, dedicato alla «Vita mondana e Mano nera nella Palermo della Belle Époque». «La più antica lettera estorsiva mai conosciuta - dice - testimonianza di un fenomeno molto difficile da documentare. Le lettere, infatti, di solito venivano bruciate». Di sangue blu anche lui, Prestigiacomo, tanto da avere accesso ad archivi, segreti, sussurri di solito custoditi con gelosia dagli eredi dell’aristocrazia di allora. Nei bauli della famiglia D’Onufrio è riemersa anche la missiva recapitata al barone una settimana dopo (sempre ostinatamente avara di francobolli) e inviata dallo stesso mittente: «Ci deve scusare e perdonare, lei e queste persone che a causa nostra si sono tanto incomodate», si legge. Segno che il nobiluomo - per salvare insieme sia vita che denari - aveva trovato i suoi agganci per scoraggiare i malavitosi, e che la «Morte di sicari» doveva essere una banda di semi-dilettanti. Certo subordinata alla «Mano nera», l’organizzazione venuta dagli Usa che nel 1909 - sotto la guida del boss Vito Cascio Ferro - avrebbe fatto fuori il detective Joe Petrosino. E già. Perché dietro lo scintillio delle argenterie, le frequentazioni internazionali, l’allure modaiola, l’aristocrazia siciliana paga il pizzo e tace. Il 22 dicembre 1897 una «lettera di scrocco» della Mano nera arriva al principe Gaetano Starrabba di Giardinelli, che sgancia senza fiatare 10 mila lire. Il 12 ottobre 1901 ne piomba un’altra sui principi Gioeni d’Angiò di Petrulla, che ne devono scucire 30 mila. Il cavaliere Sabatino Tramontana subisce la devastazione del suo feudo prima di cedere al ricatto e consegnarlo in affitto ai suoi aguzzini. Mentre alla famiglia più in vista della città insieme con i Florio, i ricchissimi commercianti inglesi Whitaker, tocca patire il rapimento della figlia undicenne Audrey e pagare un riscatto di 100 mila lire. «Se fate di testa vostra, le tagliamo mani e piedi», scrive la Mano nera nel gennaio del 1897. Sequestro nascosto pure ai familiari più intimi, negato alla polizia, declinato al condizionale da scarni trafiletti sui giornali, assordato dalle feste in onore del banchiere Nathaniel Anselm von Rothschild, in visita in quei giorni a Palermo. «Non ho mai avuto il coraggio di chiedere direttamente a mia nipote la verità, è in atto una congiura del silenzio», scriverà nel suo diario Tina Whitaker, zia della fanciulla. Giardinieri e cocchieri Ma c’è anche chi, per così dire, previene, mettendosi in casa - come giardinieri o cocchieri - uomini della malavita in funzione protettiva. «Stallieri di Arcore» ante-litteram. È il caso di Ignazio Florio, l’industriale che fece sognare a Palermo un futuro da capitale europea e che, derubato in casa di quadri e gioielli, chiama a rapporto il guardaporta Pietro Noto, fratello del capocosca Francesco. La refurtiva torna indietro dopo pochi giorni, mentre spariscono dalla faccia della terra i probabili ladri durante una guerra a colpi di omicidi incrociati. Ma c’è pure chi si ribella. I fratelli Edoardo e Samuele Hammet denunciano e si ritrovano la casa sventrata dalla dinamite. La rimettono in sesto e danno una festa, a dispetto della mafia. Un’eccezione. Allora come oggi.