Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 23 Sabato calendario

Ecco tutte le patacche di Michele e compagni - La macchina del fango? È sempre in bas­so a destra

Ecco tutte le patacche di Michele e compagni - La macchina del fango? È sempre in bas­so a destra. È quella dei giornali brutti, spor­chi e cattivi come il nostro. Gli altri fanno gior­nalismo indipendente e autorevoli inchieste. Noi ci dedichiamo al «killeraggio», alle imbo­scate personali e teniamo sempre in funzio­ne la macchina di cui sopra. Eppure i giornali e le trasmissioni televisive di sinistra si sono resi protagonisti negli ultimi anni di inchie­ste spiaggiate, di accuse cadute nel vuoto, di spazio garantito all’ambiguo oracolo di tur­no, poi regolarmente rivelatosi un bluff. Pa­tacche d’autore spacciate per grande giorna­lismo. Ecco una piccola collezione. Il teorema di «Report» naufraga ad Antigua: LA PATACCA Antigua, paradiso tropicale e per qualcuno anche fiscale, finisce al­l’attenzione di Report , il program­ma di Milena Gabanelli. Che dome­nica scorsa ha raccontato in tra­smissione la storia di un resort in riva al mare tropicale, di proprietà di Silvio Berlusconi. La storia pare proprio tagliata per creare un nuo­vo affaire monegasco, ma a parti in­vertite. Roba da eccitare tanto i fi­niani quanto gli antiberlusconiani di lungo corso. Quella casa, si fa ca­pire nel corso del servizio, è un in­vestimento poco trasparente. Si pa­ventano società off-shore , la Flat Point, controllata da holding con sede a Curacao, e bonifici bancari che partono dalla filiale italiana della banca svizzera Arner, al cen­tro di un’inchiesta della procura di Milano e sotto osservazione da par­te di Bankitalia. Anche Antigua, si fa notare,è o era nella lista nera del­l’Ocse. Ghedini diffida la Gabanel­­li, che legge la nota del legale del premier ma manda in onda il servi­zio. E trova sponda sulla stampa: Repubblica e Corriere anticipano la notizia e la seguono il giorno do­po. LA VERITÀ In realtà la diffida di Ghedini, e il successivo annuncio di querela da parte di Berlusconi, sono meno in­cisivi nello smontare la tesi delle possibili opacità nell’investimen­to sostenuta da Report rispetto alla smentita che arriva direttamente dalla Procura di Milano. Sulla vi­cenda di Antigua, secondo gli in­quirenti milanesi che indagano su tutt’altro, relativamente alla Ar­ner, non c’è alcuna ipotesidi reato, e nemmeno una richiesta di roga­toria. E si fa avanti anche Carlo Po­stizzi, il proprietario della Flat Point, che spiega come nessuno nelle società venditrici dei terreni «ha a che fare con Berlusconi e/o col suo gruppo», che le cessioni so­no state fatte a prezzo di mercato, che tutto è stato iscritto a bilancio, che i bilanci sono stati certificati. E che Antigua,nell’ultimo report Oc­se, non è in black list , bensì in lista bianca. L’oracolo Ciancimino: un teste inattendibile LA PATACCA L’8 ottobre 2009 la puntata di An­nozero ruota tutta intorno alla pre­senza in studio di Massimo Cianci­mino, figlio di «don Vito», ex sinda­co di Palermo condannato dalla Cassazione a otto anni di reclusio­ne per associazione mafiosa e cor­ruzione. Ciancimino junior, oggi 47 anni, aria da viveur in disarmo, da collaboratore di giustizia - quel­la stessa giustizia con cui ha molti conti aperti - da qualche tempo sta raccontando ai giudici del proces­so Mori dei legami strettissimi tra Cosa nostra e i servizi segreti, dei soldi rastrellati dal padre investiti su Milano 2, accusa Marcello Del­l’Utri. E nella trasmissione di Rai2 fa la parte dell’oracolo, mischia le carte, parla per bocca del defunto padre, accusa, collega, infanga. E non sarà l’unica volta: Ciancimino rispunta nella trasmissione di San­toro il 13 maggio scorso. LA VERITÀ La credibilità del teste Massimo Ciancimino è messa in seria discus­sione dalla decisione dei giudici della Corte d’Appello di Palermo di non ammetterlo a testimoniare nel processo contro lo stesso Del­l’-Utri per le tante contraddizioni ri­levate nelle sue parole: inizialmen­te Ciancimino nega di avere infor­mazioni sul senatore, poi ritrova la memoria, rivelando però circo­stanze non da lui conosciute diret­tamente ma riferitegli dal padre, nel frattempo morto, a cui sarebbe­ro a sua volta riferite da altri. Poi spunta un «pizzino» scritto da Ber­nardo Provenzano a Vito Ciancimi­no, in cui si fa cenno al presunto interessamento «del nostro Sen.». Peccato che, essendo del 2000, il messaggio non può riferirsi a Del­­l’Utri, all’epoca deputato e non se­natore. Insomma, un testimone molto chiacchierone ma fonda­mentalmente inattendibile. Ma a rivelare l’inaffidabilità di Ciancimi­no junior è la perizia della polizia scientifica sui documenti presenta­ti d­al teste nel processo contro il ge­nerale dei carabinieri Mario Mori, accusato di favoreggiamento nei confronti di Bernardo Provenza­no. Almeno uno dei 55 documenti è palesemente falso, un grossola­no collage di fotocopie e calligrafie diverse. E indovinate di chi si parla in quel foglio? Ma sì, di Silvio Berlu­sconi. La escort dei veleni boomerang sul Pd: LA PATACCA La storia ha tenuto banco per me­si, infuocando l’estate del 2009 e te­nendo sulla graticola il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. A in­nescarla, il 17 giugno, un’intervista del Corriere della Sera a Patrizia D’Addario,escort barese che raccon­tò di due notti passate dal premier, a Palazzo Grazioli. Ma a cavalcare la questione, tra continui titoli di prima pagina e insistite «dieci domande», fu invece Repubblica . Ipotizzando, a margine dei racconti di Patty, non so­lo gossip scandalistico ma molto di più: «riscontri investigativi» prossi­mi a emergere, istruttorie che monta­vano, inquirenti che affilavano i col­telli. Insomma, il quotidiano di Lar­go Fochetti sembrava aver preso sul serio il vaticinio di Massimo D’Ale­ma, che il 14 giugno, ospite di Lucia Annunziata a In 1/2 ora , e parlando da una masseria salentina, ipotizzò di lì a poco una «scossa» per il gover­no. L’escortbarese,più volteintervi­stata anche da Santoro su Annozero , sembrava insomma la polena di un giro di inchieste della procura di Bari che avrebbe affondato Berlusconi, l’esecutivo e, chissà, l’intero centro­destra. A leggere Rep ,c’era solo da at­tendere. LA VERITÀ In realtà quelle inchieste baresi, a margine delle quali venne fuori l’ affa­­ire D’Addario, non erano esattamen­te incentrate su non meglio precisati reati del premier. Ma puntavano, semmai, a scoperchiare un sistema di appalti pilotati nella sanità regiona­le pugliese. Tanto che l’ex assessore regionale alla Sanità di Nichi Vendo­­la, Alberto Tedesco, si era già dimes­s­o mesi prima dopo essere finito inda­gato, salvo essere «promosso» dal Pd al Senato. E per questa storia dietro le sbarre finirà un esponente del Pd di primissimo piano: Sandro Frisullo, vi­cepresidente della Giunta regionale. Che,curioso,il giorno in cui D’Alema parlava delle «scosse» per il governo, era nella stessa masseria di «Baffi­no ». E Berlusconi? Il procuratore ca­po di Bari, Antonio Laudati, a settem­bre 2009 taglia corto: «È di tutta evi­denza che è assolutamente fuori da qualsiasi responsabilità penale». Il finto scoop di Letta indagato: LA PATACCA L’esordio del Fatto quotidia­no , il 23 settembre 2009 per la prima volta in edicola, è fulmi­nante. Quel giorno il foglio diret­to da Antonio Padellaro e che vanta tra le firme di spicco quel­la di Marco Travaglio, propone il suo primo scoop: «Letta inda­gato ». Nell’articolo, firmato da Marco Lillo e Peter Gomez, s i s o­stiene che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio potreb­b e essere chiamato a rispondere di abuso d’ufficio, turbativa d’asta e truffa aggravata. Il tutto nell’ambito di un’inchiesta del­la Procura di Lagonegro su un appalto per la costruzione di un centro di assistenza ai richieden­ti asilo a Policoro (Matera) che Letta avrebbe pilotato. LA VERITÀ «Nessuno n e parla», scriveva i l Fatto quasi incredulo, commen­tando la presunta notizia. Sono passati tredici mesi e ancora nes­suno ne parla. Neppure più il Fatto quotidiano . Forse perché la notizia è una patacca? La bugia: papà Storace un picchiatore fascista LA PATACCA È il 24 marzo 2005. Nel Lazio in­furia la campagna elettorale per le regionali. Una battaglia senza esclusione di colpi tra Francesco Storace, governatore uscente, al­lora in An, e lo sfidante per il cen­trosinistra, Piero Marrazzo. Quel giorno Storace è presente alla commemorazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. C’è anche Mario Limentani, classe 1923, ebreo sopravvissuto a Mauthau­sen, che contesta il presidente della Regione. E che, dopo la ceri­monia, si ferma a chiacchierare con una cronista dell’ Unità . Le di­chiarazioni dell’82enne finisco­no, il giorno dopo, per sorreggere uno scoop pre-elettorale del quo­tidiano diretto - allora - da Anto­nio Padellaro. Titolo sobrio: «Il padre di Storace mi portò alla ca­sa del Fascio e mi picchiò...». I det­tagli? Già nell’attacco del pezzo: «Avvenne nel 1941. Il padre di Sto­race mi fermò per strada, mi por­tò alla sede del Fascio e mi pic­chiò. Mi aveva legato alla sedia». Urca. Certo, le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui fi­gli, ma lo «Storace senior» manga­nellatore fascista, a pochi giorni dalle elezioni, era un bel colpo. LA VERITÀ Peccato che la notizia fosse una clamorosa bufala. Il padre di Sto­race, Giuseppe, era nato nel 1929. Nel 1941 aveva 12 anni, e immaginarlo picchiatore in erba era difficile, anche perché non abitava a Roma ma a Sulmona. In­somma, Limentani ricordava ma­le, cosa legittima per un ultraot­tantenne che nella sua vita ne ha viste davvero di tutte. Ma quel ri­cordo sbagliato era troppo ghiot­to perché qualcuno all’ Unità , pri­ma di pubblicarlo, si preoccupas­se di fare una semplice verifica. La Ue contro l’Italia E arriva la smentita LA PATACCA Il 23 marzo 2009 Repubblica «apre» così: «L’Ue: l’Italia tra i Pa­esi a rischio». Da Bruxelles An­drea Bonanni riporta parole del commissario per gli Affari econo­mici Joaquin Almunia che addita l’Italia e la Grecia come l’anello debole dell’Unione. «E Berlusco­ni e Tremonti dicono che stiamo meglio degli altri partner euro­pei », ironizza Bonanni. LA VERITÀ Il bluff dura poche ore. Il tempo che la Commissione europea smentisca fermamente l’inseri­mento dell’Italia tra i Paesi a ri­schio bancarotta. «Almunia non ha detto quello che leggo in parti­colare su Repubblica , e d’altra parte le parole che vedo nel titolo non appaiono nell’articolo», pre­cisa la portavoce Amelia Torres.