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 2010  ottobre 19 Martedì calendario

SUGLI IMMIGRATI L’EUROPA PERDE IL FILO

Angela Merkel dubbiosa sulle reali possibilità di una società multiculturale? Il dibattito, in realtà, riguarda tutti in Europa, accompagnato dai sorprendenti successi dell’estrema destra. Come reagire? Ognuno, per ora, va avanti per la propria strada.

Francia, dalla volontà di assimilazione al pugno duro di Sarkozy. Assimilare: era la priorità di Parigi nell’era del colonialismo. È rimasto il progetto di una società che, ai tempi dell’immigrazione, ha scelto la carta dell’apertura, anche dal punto di vista normativo (relativamente facile ottenere la nazionalità, già a partire dai cinque anni di residenza). Negli ultimi tempi Sarkozy ha reso più dura la lotta contro l’immigrazione clandestina e più difficile la regolarizzazione. La tendenza si è accentuata, con una vasta operazione anti Rom e una nuova legge sull’immigrazione, la quinta in sei anni, ora al rush finale in parlamento. Prevede la revoca della nazionalità per chi abbia commesso gravi reati contro le forze dell’ordine. E rende più difficile l’accesso al permesso di soggiorno da parte dei clandestini (la permanenza massima nei centri sarà portata da 32 a 45 giorni). Intanto, è passata anche la norma che proibisce l’utilizzo del burqa nei luoghi pubblici. Una misura discussa, ma appoggiata dalla maggioranza dei francesi.

Germania, il tramonto del «multikulti». Angela Merkel l’ha detto chiaro e tondo: «Il nostro modello multiculturale ha totalmente fallito». Sì, la speranza di dare vita a una società dove più comunità coabitano, ma nel rispetto delle loro differenze. L’idea iniziò a imporsi in Germania negli anni Ottanta, su impulso dei verdi. Ha portato, fra le altre cose, a una legge sulla nazionalità (del 7 maggio 1999) che ha dato la possibilità ai figli degli immigrati nati in Germania di essere naturalizzati. Al di là delle parole della Merkel, l’estrema destra non ha vissuto qui l’esplosione registrata in contesti simili, vedi Olanda o Svezia. Il governo sta studiando misure per imporre corsi d’integrazione agli immigrati o per combattere fenomeni come i matrimoni forzati, in uso in alcune comunità. Al tempo stesso, prepara una legge per facilitare il riconoscimento dei diplomi ottenuti nei paesi d’origine dagli immigrati già residenti.

Regno Unito, più restrizioni, ma moderatamente. Il cambio della guardia, con l’arrivo al potere del conservatore David Cameron nel maggio scorso, ha portato qualche modifica in questo ambito. In giugno il governo ha introdotto una quota (assai criticata) per l’immigrazione in arrivo dai paesi esterni all’Unione Europea. Alcuni parlamentari della destra hanno chiesto per il Regno Unito una legge simile a quella francese sul divieto del burqa nei luoghi pubblici. Ma a tal riguardo esiste una forte opposizione generale: da parte di Cameron, dei politici (di tutti gli orientamenti) e dell’opinione pubblica. Per la naturalizzazione, al di là di alcuni limiti imposti nel tempo, il Regno Unito resta uno degli stati più generosi d’Europa: quasi tutti gli stranieri che vi nascono possono poi ottenere la nazionalità. Apertura sì, ma non l’approccio dell’assimilazione in stile francese. A Londra si è preferito sempre un modello «multietnico», più pragmatico e prudente, con il riconoscimento delle diverse comunità. Che però, negli ultimi anni, è al centro di un dibattito critico all’interno della società.

Spagna, quando la crisi economica rende tutto più difficile. Come non ricordare la megaregolarizzazione di 700mila clandestini nel 2005 da parte di Madrid? Allora la Spagna, soprattutto nell’agricoltura, aveva bisogno degli stranieri. Con la crisi, il governo socialista di José Luis Rodriguez Zapatero ha cambiato strategia. L’ultima legge sull’immigrazione (la quarta), in vigore dal 13 dicembre 2009, ha reso più severe le norme. La permanenza massima nei centri di permanenza temporanea è passata da 40 a 60 giorni. Più difficoltoso è diventato il ricongiungimento famigliare, ristretto solo ai figli minorenni e al coniuge dell’immigrato (possibilità limitate, invece, per i genitori). Nei giorni scorsi, l’esecutivo ha annunciato che rinnoverà il permesso di soggiorno agli immigrati (in regola) disoccupati, almeno per un determinato periodo di tempo, non ancora precisato.

Olanda, sempre più diffidenza. In passato uno dei paesi più aperti agli immigrati; da tempo ha cambiato il suo approccio, prima ancora che il 9 giugno il partito antislamico Pvv di Geert Wilders diventasse la terza formazione politica (il cui sostegno è necessario per il governo liberal-democristiano). Una normativa, già applicata dal 2006, impone al nuovo arrivato la conoscenza della lingua e della società locali (con test realizzati dai consolati nei paesi d’origine). Pochi giorni fa il governo ha annunciato che intende introdurre il divieto del burqa. E cercare di ridurre del 50% l’attuale flusso immigratorio, restringendo soprattutto il ricongiungimento famigliare.

Svezia, nuovi venti d’estrema destra. Finora un modello d’integrazione a livello europeo, quello svedese comincia a scricchiolare. La buona performance dei Democratici di Svezia (partito anti-immigrazione) alle elezioni legislative del 19 settembre potrebbe portare a sostanziali cambiamenti: il governo di destra di Fredrik Reinfeldt non ha più la maggioranza assoluta in parlamento. Per il momento le normative restano le stesse: nazionalità concessa dopo cinque anni di residenza, abbastanza facilmente. E grande liberalità nel campo del diritto d’asilo: la Svezia è uno dei rari paesi Ue dove le richieste accettate sono più numerose di quelle rigettate. Ma la popolazione appare stanca. In un’inchiesta dell’università di Göteborg del 1993, il 36% degli svedesi riteneva che il paese avesse accolto troppi stranieri. L’anno scorso, in una ricerca simile dello stesso ateneo, si è saliti al 52 per cento.