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 2010  ottobre 15 Venerdì calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

11 luglio 1979
Controcorrente
Mogli e figli sono al mare, così un gruppo di vecchi amici milanesi si ritrova per guardare alla tele il campionato europeo dei pesi massimi fra Zanon e Righetti. Il padrone di casa, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, spegne l’ennesima sigaretta nel portacenere e pensa che in fondo quei due connazionali che si picchiano in eurovisione sono la metafora della sua vita. Da cinque anni combatte contro Michele Sindona e non ha ancora capito da che parte stia l’arbitro. Anzi, l’ha capito fin troppo e l’ha anche scritto alla moglie: «Pagherò a molto caro prezzo questo incarico, ma non me ne lamento perché è stata un’occasione di fare qualcosa per il mio Paese». L’incarico è la liquidazione della banca di Sindona, un finanziere arrivato a Milano dalla Sicilia, che all’inizio degli anni ’70 era l’uomo più potente d’Italia, omaggiato a Wall Street e in Vaticano, salutato da Andreotti come «il salvatore della lira». Solo Enrico Cuccia da Mediobanca scuoteva la testa indignato: «È un falsificatore di bilanci». E un riciclatore di denaro mafioso. Ma questo lo avrebbe scoperto proprio Ambrosoli, dopo che «il salvatore della lira» aveva fatto crack e la Banca d’Italia si era rivolta a lui per mettere il naso in quel dedalo di scatole cinesi. Sindona ha provato a sedurlo, poi è passato alle pressioni. Due italoamericani introdotti da un certo Licio Gelli si sono recati da Andreotti per chiedergli di soccorrere il povero Sindona «accusato dai comunisti», cioè da Ambrosoli, cattolico liberale e monarchico. Il «comunista» ha presentato egualmente la sua relazione. Per dirla con Andreotti, «se l’è andata a cercare». Sono cominciate le telefonate strafottenti di un «picciotto» che lo invitava a soprassedere. Fino al messaggio definitivo: «Lei è degno di morire ammazzato come un cornuto». Poi un silenzio gravido di minaccia e l’assassinio di Mino Pecorelli, giornalista vicino ai servizi segreti, azzittito alla vigilia di rivelazioni su Andreotti, Calvi e Sindona.
L’incontro di boxe fra i due italiani è finito in parità. Ambrosoli sta per perdere definitivamente il suo. Squilla il telefono, ma dall’altra parte non parla nessuno. L’avvocato accompagna a casa gli amici con la sua macchina e al ritorno trova davanti al portone William J. Aricò, il killer che Sindona ha pagato 115.000 dollari. «Scusi, dottor Ambrosoli» e gli scarica addosso quattro proiettili. Sette anni dopo Sindona verrà condannato come mandante e si ucciderà in cella con un caffé corretto al cianuro, gridando «Mi hanno assassinato!». Una messa in scena per morire da vittima, secondo i giudici Turone e Colombo: il cianuro ha un odore troppo rivoltante perché si possa berne più di una goccia senza accorgersene. E Sindona ha svuotato la tazzina.