MAURIZIO TROPEANO, La Stampa 3/10/2010, pagina 26, 3 ottobre 2010
CHIESTO INCONTRO CON IL MINISTRO «OPPURE SARA’ MOBILITAZIONE»
La guerra del pane si combatte perche’ «se la signora Maria va a fare la spesa e trova un prodotto che costa il 30% in meno e’ chiaro che la compra dal contadino», spiega Luca Vecchiato, panificatore in quel di Padova e leader dei 26 mila colleghi di tutta Italia. Il «nemico», in questo caso e’ il coltivatore-panettiere. Claudio Vittone titolare dell’azienda agricola la Genuina di Barge, in provincia di Cuneo, non si considera in guerra e contesta anche l’accusa di concorrenza sleale: «Io faccio il pane come lo si faceva una volta e la signora Maria la incontro solo alle sagre paesane o perche’ verra’ a comprarsi il pane nella mia azienda». Per ora sono le schermaglie di una polemica che rischia di ingigantirsi. I panificatori hanno chiesto un incontro con il ministro dell’Agricoltura e se «la politica ci ignorera’ saremo costretti alla mobilitazione generale». Facciamo un passo indietro. Un decreto del ministro dell’Economia da’ la possibilita’ alle aziende agricole di trasformare e commercializzare i prodotti della terra. Una decisione che Coldiretti, Cia e Confagricoltura hanno accolto con favore. Per Vecchiato, invece, potrebbe essere l’inizio della fine: «Noi non siamo contro la liberalizzazione ma chiediamo parita’ di condizione. Se non si blocca adesso questo Far West il destino di 350 mila lavoratori e dei 26 mila forni artigianali e’ segnato». E’ davvero cosi’? Vittone spiega: «Io coltivo grano duro e lo trasformo in farina. Finora facevo pasta secca adesso ho chiesto il permesso all’Asl per utilizzare un vecchio forno aziendale e fare il pane. Facciamo tutto noi e non facciamo certo concorrenza a chi fa il pane tutti i giorni> >. E aggiunge: «Noi copriamo una nicchia di mercato quella dei consumatori che cercano il pane di una volta e che dura anche una settimana». La tesi di Vittone e’ rilanciata dalle organizzazioni agricole a livello nazionale. Secondo Coldiretti «dagli agricoltori potra’ essere acquistato solo il pane fatto con il grano italiano coltivato nelle aziende mentre oltre la meta’ di quello in vendita e’ ottenuto con farine straniere senza alcuna indicazione in etichetta». Confagricoltura e Cia difendono il provvedimento perche’ «finalmente e’ stato definito che per avere un pane di qualita’, cosi’ come una birra o una grappa, sono necessarie materie prime di qualita’, con una complementarieta’ importante che da’ modo alle imprese agricole di ampliare l’offerta produttiva». Insomma, piu’ valore aggiunto per circa 200 mila agricoltori che coltivano grano duro adatto alla produzione ma evidenti problemi per i panificatori. Soprattutto se si prende in considerazione che nel corso del primo semestre del 2010 il consumo di pane da parte delle famiglie e’ diminuito del 2,4%. E il mercato deve anche fare i conti con la concorrenza della grande distribuzione che vende prodotti surgelati, preconfezionati e in cassetta. Si spiegano cosi’ i timori di Vecchiato: «Ci troviamo a dover competere con una categoria di privilegiati fiscali, la cui pressione e’ di oltre il triplo inferiore alla nostra, con un regime forfetario che si ferma al 15%» . E aggiunge: «Un paradiso fiscale rispetto al comparto della panificazione artigianale, che tra imposte dirette e indirette sconta circa il 52% di tasse sul reddito trasformato. Gli agricoltori saranno i benvenuti nel nostro mondo ma solo a patto che ci sia equita’ e pari condizioni». E poi «non e’ vero che il coltivatore-panettiere produrra’ il pane solo con farina italiana» perche’ «visto che l’Italia non e’ autosufficiente le farine acquistate proverranno inevitabilmente anche dall’estero».