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 2010  ottobre 04 Lunedì calendario

IL SOGNO FINITO DI ZAPATERO

Liberarsi di Zapatero? L´ipotesi che ancora un anno fa nessun quadro socialista avrebbe osato discutere è diventata tanto reale da trasformare un evento in apparenza minore, le primarie del Psoe a Madrid, in una sorta di referendum sul premier spagnolo. Formalmente, 18mila iscritti ieri dovevano decidere il candidato nelle elezioni locali del prossimo maggio. Ma dei due sfidanti, l´una, Trini Jimenez, era stata imposta dal primo ministro; e perciò l´altro, il quarantenne Tomas Gomez, aveva incassato l´appoggio dei non pochi che adesso vorrebbero impedire a Zapatero di guidare il partito nelle politiche previste tra 18 mesi. Contro ogni pronostico ha vinto Gomez. E così ha ribaltato lo schema che dieci anni fa consegnò il Psoe a Zapatero.
All´epoca era quest´ultimo il Ragazzo della Provvidenza, il giovane spigliato cui la base si affidava perché mandasse a casa un apparato opaco, trascinasse alla vittoria un partito depresso e gli indicasse il futuro. Ieri a quel ruolo era di Gomez, e Zapatero doveva temere che anche i militanti comincino a vederlo fiacco e perdente, così come ormai pare considerarlo l´elettorato socialista.
Secondo un sondaggio diffuso ieri dal quotidiano El Pais, in capo a pochi mesi gli elettori del Psoe cui Zapatero ispira "poca" o "nessuna fiducia" sono diventati il 69%; gli spagnoli che disapprovano l´operato del suo governo il 75%. Nelle intenzioni di voto il Psoe è precipitato al 28.5%, 15 punti sotto la quota raggiunta nelle elezioni del 2008 e 14,5 sotto la percentuale attribuita dal sondaggio ai conservatori del Partido popular. Che la Spagna democratica ricordi, mai declino d´un primo ministro è stato così precipitoso. E mai così pericolante l´ultima sinistra al governo nell´Europa maggiore.
Gli zapateristi che ieri votavano in una sezione devota al premier, La Moncloa, vogliono credere che il peggio sia passato e il partito, avendo toccato il fondo, non possa che rimbalzare.
Sono sereni, sia pure con prudenza. Vedono la destra spaccata, considerano la rimonta possibile. E non ritengono che il Psoe soffra, né più né meno come altre sinistre europee, di una cronica mancanza di idee, in fondo suggerita anche dalle pareti di questo dignitoso bilocale. Il ritratto di Pablo Iglesias, storico fondatore. Quadri di una pittrice colombiana. Una foto di militanti palestinesi. Argina il vacuum il simbolo del partito ripetuto dai manifestini. Ma oggi la rosa nel pugno fa pensare alle numerose spine che sta stringendo quella mano.
Secondo Sergio Gonzalez, il militante responsabile delle primarie in questa sede, il primo ministro non poteva non pagare le misure di austerità decise a maggio, quando fece quanto finora è riuscito ad evitare alla Spagna gli attacchi della speculazione finanziaria. E cioè tagliò del 5 per cento lo stipendio dei funzionari statali, congelò le pensioni, aumentò l´Iva, rese più economico licenziare. Però aggiunse misure che potrebbero trasformare molto lavoro precario in contratti a tempo indeterminato. Basta a fare di questa manovra un´uscita dalla crisi "da sinistra"? Un compromesso accettabile? L´unico praticabile? Forse. Ma il fatto che a dirlo siano i banchieri di Wall street incontrati di recente da Zapatero (John Paulson, in una lettera fin troppo pubblicizzata dallo staff del premier: «La Spagna è diventata un esempio scintillante di politica economica progressista») non impressiona favorevolmente la base. E anzi, nei blog socialisti spesso quella cena con cinque mogul della finanza americana è considerata una prova a carico di Zapatero, variamente accusato di subalternità alla cultura del nemico, opportunismo, inconsistenza, tradimento dei principi di un partito che bene o male tuttora si definisce, nel nome, «socialista e operaio».
«Il governo ha mancato soprattutto nella comunicazione, nel futuro saprà spiegare le sue ragioni», mi dice Gonzalez. Grossomodo la sua è la tesi ricorrente tra gli estimatori del primo ministro: il vero errore di Zapatero è stato il tentativo di nascondere la crisi («decelerazione», la chiamava) fin quando i conti lo hanno clamorosamente smentito. Ma se il problema fosse solo quello, forse il premier riuscirebbe a rimontare la china. Nell´arte della comunicazione politica rimane un maestro. Mirabile la sua gestione dello sciopero generale, curiosamente invocato per primi dai banchieri spagnoli. La Spagna ne ha bisogno, suggerivano, perché convincerà i mercati che il governo è duro, intransigente, determinato. Ne avevano bisogno anche i sindacati, che non potevano accettare i tagli senza reagire. E Zapatero ha concordato la soluzione che gli provocava il danno minore. Lo sciopero generale non ha espresso particolare animosità verso il governo, e l´indomani Zapatero è riuscito ad accontentare tanto i mercati, respingendo la richiesta di "correzioni" avanzate dai sindacati, quanto i sindacati, annunciando di essere disponibile al dialogo, cioè a modifiche (il governo probabilmente rinuncerà ad alzare l´età della pensione a 67 anni, contro i 65 attuali). Tutti contenti e fine (al momento) del conflitto sociale.
Il problema è che questi giochi di prestigio non sono ripetibili in ogni occasione. Ci si può costruire una tattica di breve periodo, forse un´estetica: non una strategia. E col tempo lasciano nel pubblico una sensazione di inautenticità, o di ipocrisia, che mina la credibilità di un leader. Questo, stando ai suoi critici, è l´enorme limite di Zapatero. Gli si potrebbe concedere che la storia non lo aiuta. La necessità di intaccare la disoccupazione (al 20%, il doppio della media europea) lo ha indotto a politiche economiche tradizionali della destra. Ma le sue riforme cominceranno a creare lavoro non prima di due anni: fino alle politiche del 2012 l´elettorato vedrà soltanto sacrifici. Ancora: il desiderio spasmodico di portare la Spagna nel G-20 costringe Zapatero ad accettare gli alleati che gli offre la situazione, in primo luogo Sarkozy. Ma questo lo obbliga a non contraddire il francese, o ad assecondarlo, ogni volta che quello mira sui gitani e sull´immigrazione. E queste reticenze finiscono per far sorgere molti dubbi su uno dei pochi elementi che caratterizzano lo zapaterismo, una proclamata attenzione ai diritti.
Gli elettori del Psoe più delusi sono nella sinistra radicale, che nel 2008 votò Psoe per il 59%. Zapatero era riuscito ad attrarli aizzando uno scontro con la parte della prelatura cattolica che pare rimpiangere Franco. Ma quell´elettorato non tornerà. La scommessa residua di Zapatero è rientrare nel centro, lì dove perse quasi due milioni di voti. E per riuscire, il banco di prova è la capitale. Da quindici anni la regione di Madrid è amministrata dai conservatori del Partido Popular, attraverso una giunta presieduta da Esperanza Aguirre, esponente di una destra così aggressiva da irritare l´elettorato centrista. Avvicinandosi le elezioni locali (maggio prossimo) il Psoe doveva scegliere un candidato in grado di battere la Aguirre. E le indagini di mercato suggerivano la ministra della Sanità Jimenez, una quarantenne bonaria e affabile che sembra l´incarnazione perfino estetica del ceto medio moderato.
Ma nel frattempo la base aveva scelto un altro candidato, Tomas Gomez, giovane sindaco di una cittadina dell´hinterland. E Gomez, benché pressato da Zapatero, ha rifiutato di farsi da parte. A quel punto si è deciso di affidare la scelta agli iscritti, con le primarie, uno strumento cui il Psoe ricorre con circospezione, dati i precedenti infelici: spesso ha richiamato i riflettori su miserie umane e distanze ideologiche incolmabili.
Presto è stato chiaro che Gomez non era tanto il candidato della base, così come si presentava, ma di una cordata che sommava vari risentimenti contro Zapatero, personali e ideologici: dalla piccola corrente di sinistra del Psoe fino al sindacato, passando per notabili legati all´ex premier Felipe Gonzalez. Lo scontro Jemenez-Tomas è diventato duro. Lui le impediva di riunirsi nelle sedi del partito, lei usava la lista dei militanti per mandare sms apocalittici (con Gomez vince la destra!). Lui si precipitava negli stessi posti dove due ore prima lei aveva organizzato un incontro elettorale, lei passava alla stampa fantasiosi sondaggi nei quali annichiliva il rivale.
L´unica arma cui entrambi hanno fatto un uso molto parco sono state le idee.
L´alta affluenza al voto ha confermato che il Psoe è vivo, lo stile della competizione che è una sinistra in sofferenza. Come lamenta un militante, mancando un autentico dibattito di idee tutto si riduce ad una lotta di potere, «ad una politica senza ispirazioni né altra bussola che le indicazioni percentuali della mercatotecnìa, senza altro orizzonte che la continuità e senza altri strumenti di comprensione ideologica se non vecchi luoghi comuni».
E adesso anche senza un ledaer carismatico, quale Zapatero a lungo sembrò ai militanti. Poiché in quanto a personale politico la destra non è messa meglio, il beneficiario della crisi potrebbe essere l´antipolitica. Secondo un sondaggio tale Esteban Belen, conduttrice del programma «Salvame», oggi viaggerebbe intorno all´8% dei consensi. «Se continua così mettiamo su un partito», ha minacciato lei.