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 2010  ottobre 04 Lunedì calendario

IL SEMAFORO DELLA PAURA

Mister Smith va alla guerra, con la sua valigia da turista di nuovo riempita di paura. Sono trascorsi nove anni dalla dichiarazione di Guerra al Terrore fatta da Bush il 26 settembre del 2001.
E ieri l´altro l´amministrazione Obama l´ha avvertito che l´Europa resta un campo di battaglia. Chi sta vincendo dunque, nove anni dopo l´inizio? Certamente non il signore e la signora Smith, non l´american tourist che si riscopre nel mirino. Si devono sentire molto più soddisfatti di loro i burattinai sempre invisibili e sinistri del terrorismo, che possono leggere la notizia che immediatamente, dopo l´allarme della Clinton, le compagnie di volo hanno visto diminuire del 16% le prenotazioni per novembre verso il Vecchio Continente e crescere del 10% le disdette.
Il sospetto inevitabile è che anche dietro questo ultimo avvertimento ci sia, oltre alla necessità legale di mettere il governo americano al riparo da richieste di danni nel caso che qualcosa accada ai turisti in Europa, ci sia, insieme con una parte di legittime informazioni, questa volta arrivate dall´intelligence europea, una dose robusta di calcolo politico. Manca ormai meno di un mese a quelle elezioni legislative del 2 novembre che dovrebbero ribaltare la maggioranza democratica nelle due Camere, isolare il presidente democratico e portare a Washington plotoni di demagoghi e fanatici appartenenti al "Partito del Tè", quello che beve e versa anti-obamismo a damigiane. Non ci sarebbe da stupirsi se anche Obama e i suoi utilizzassero ora, per contenerlo, e per disperazione, una pagina tratta dal libro delle strategie di Bush, Cheney e Karl Rove.
Un warning, un allarme ancora più forte e circostanziato di quell´allarme generico lanciato ieri l´altro dal Segretario di Stato Hillary Clinton, è atteso, informa una fonte ufficiale il New York Times. Ma l´uno come l´altro comportano una serie di piccole paure, di piccole seccature, di piccole angherie agli aeroporti senza effetti concreti. Si accumulano a cascata per rendere angoscioso e irritante il viaggio che dovrebbe essere di piacere. Gli agenti della Tsa, l´agenzia per la sicurezza dei trasporti, che tendono, come tutte le burocrazie a rilassarsi nella routine dei controlli aeroportuali quando non accade niente, rialzano la testa, gonfiano il petto e ricominciano ad angariare mamme con il biberon, uomini con la suole troppo spesse che potrebbero nascondere esplosivi, portatrici di tronchesine per unghie e pinzette per le ciglia, businessmen con portatili e telefonini. Gli allarmi non agitano più come nei primi mesi dopo l´11 settembre, secondo la classica sindrome del "lupo" gridato troppe volte, ma avvelenano la piccola quotidianità di turisti americani che spesso già sbarcano in Europa con l´inquietudine dell´esploratore in terra incognita.
Nessun viaggiatore per professione, businessman, commerciante, banchiere rinuncerà al viaggio per timore di Al Qaeda. Il brivido del "terrore in agguato" tocca soltanto i più deboli, forse i più ingenui. Coloro che non si rendono conto che la prima motivazione di queste iniziative dei governi, la cui inutilità è palese (da che cosa esattamente si dovrebbero guardare il signor Smith che fa shopping a Londra o la signora Johnson che visita il Louvre?) è politica.
Se a emettere l´allerta formale del Dipartimento di Stato per bocca del Segretario Hillary Clinton fosse stato George Bush o uno dei suoi portavoce, molti scriverebbero oggi che l´allarme fa parte di quella strategia elettorale del caldo e del freddo, del semaforo spento e acceso, che il predecessore di Obama usava abitualmente, e cinicamente, per ricompattare il proprio elettorato con la paura per «chi ci odia» e «ci vuole distruggere».
Sette volte in otto anni, Bush e l´amministrazione repubblicana usarono la leva del terrore senza dare altro che vaghe spiegazioni, per opportunismo elettorale o politico, come ha ammesso disgustato nelle sue recenti memorie il responsabile ultimo del famigerato "semaforo del terrore", quello che cambia colore secondo il livello di rischio, il capo dell´Agenzia per la Sicurezza Nazionale, Tom Ridge.
Ma questa volta è stato il team Obama ad azionare l´interruttore della paura e la prossimità del voto politico nazionale è troppo evidente per essere pura coincidenza. È possibile, naturalmente, che le segnalazioni arrivate dall´Europa, e in particolare dal Servizio Segreto di Sua Maestà britannica, rivelino ipotesi di operazioni terroristiche ordite da Al Qaeda attraverso agenti pachistani e algerini metastatizzati sul nostro continente.
Ma se questo fosse vero, significherebbe inesorabilmente che i nove anni di colossali investimenti in danaro e in vite umane, nostre come di iracheni, afgani, pachistani, fatti per tagliare Al Qaeda alle radici, ci hanno lasciati vulnerabili come nel 2001.
In vista di elezioni nelle quali, accanto all´interminabile e spesso demenziale lista di doglianze e accuse contro di lui (straniero, comunista, mussulmano, esoso, scialacquatore, indeciso, anti-americano, eccetera), ora c´è anche l´Afghanistan, divenuto la "Guerra di Obama" con la decisione di triplicare senza successo il numero di soldati al fronte, non dispiace all´amministrazione in carica di poter ricordare quali siano le ragioni profonde di questa guerra. Ricondurre l´attenzione al "perché combattiamo", come ripetevano i documenti di propaganda diffusi durante la Seconda Guerra.
Siamo lì per combattere quella matrice del terrorismo jihadista che continua a spingere i propri tentacoli in Occidente, avverte l´avvertimento. Mentre il problema della "Guerra Globale al Terrore" dichiarata da Bush nove anni or sono resta aperto. «Occorrerà molta pazienza», aveva detto il predecessore di Obama, e quella pazienza non deve esaurirsi ora soltanto perché il titolare della guerra in Afghanistan è cambiato.
Tutto questo, per la parte reale della minaccia come per quella politicamente montata, comporta per i "pazienti", per il signore e la signora Smith con in mano il biglietto aereo prepagato e non rimborsabile verso Londra, Roma o Parigi, un´ombra di inquietudine impotente sulla vacanza (il Dipartimento di Stato allude specificamente a «turisti americani»). Imporrebbe, secondo la dinamica di queste "allerte" o peggio "allarmi", una serie di vacui adempimenti specifici, indicati dallo stesso Dipartimento, come la compilazione di una lugubre scheda sul "parente più prossimo" al momento dell´imbarco negli Usa, da avvertire ovviamente in caso infausto, che negli ultimi mesi era stata dimenticata. Suggerisce la notifica della propria presenza ad ambasciate e consolati americani nella nazione visitata in caso di rapimento o cattura; la verifica accurata della propria copertura assicurativa, soprattutto sanitaria, in caso di ricovero d´urgenza e di trasporto a casa del ferito o della salma; i consueti avvisi sul consumo dell´acqua, possibilmente imbottigliata, perché il terrorista potrebbe puntare all´avvelenamento di pozzi e acquedotti; il comportamento in pubblico, da tenere sotto tono, per risultare meno americani e più invisibili possibile.
Dunque buon viaggio, Mister Simith, ma si ricordi: la guerra alla paura continua e la paura sta vincendo.