Aldo Varano, La Stampa 4/10/2010, 4 ottobre 2010
IL PIZZO AMBIENTALE. ALLE COSCHE IL 3% IN PIU’ DEGLI APPALTI
All’inizio, sull’affare dell’autostrada, alle cosche era proprio andata male. In Calabria, a gestire subappalti, assunzioni e cantieri era arrivato dalle brume fredde di chissà dove a rappresentare la Asfalti Sintex Spa, che aveva vinto l’appalto dei lotti cosentini, «tale ing. Facchin, il quale - ricostruiscono i magistrati - non intendeva sottostare ad alcuna forma di estorsione». Un bel guaio per le ’ndrine. Ci furono i primi attentati, ma Facchin sempre lì: fermo come una roccia a dire di no. Nessuno saprà mai se alla fine avrebbe vinto lui o la ‘ndrangheta, che nelle fantasie nordico-romane è potentissima e, con geometrica precisione, vince sempre e comunque.
Non lo sapremo mai perché l’Asfalti Sintex affrontò la cosa con piglio determinato e risolutivo. Il gruppo, «prendendo atto della incapacità dell’ing. Facchin a gestire il rapporto tra imprenditori e cosche - recitano con involontaria ironia le carte - ed avendo la prioritaria esigenza di garantire la “tranquillità sui cantieri”, decise di sollevare dall’incarico l’ing. Facchin, sostituendolo con tale Angelo Spiga, romano».
Fu subito un’altra musica. Gli attentati? Un fastidioso ricordo. Le cosche passarono dalle bombe e gli incendi al lavoro «scegliendo quale proprio imprenditore di riferimento, che avrebbe cioè dovuto prendere in subappalto i lavori della detta società (l’Asfalti, ndr), tale Dino Posteraro, il quale … s’impegnò a garantire la riscossione, dalla Asfalti Sintex e in favore delle cosche, di una somma pari al 3% dell’importo del capitolato». Un trionfo delle virtù di Spiga sull’incapacità di Facchin.
Strada ormai tracciata. Spiga e Posteraro vantando «contatti politici in Roma, che avrebbero loro consentito di pilotare le assegnazioni dei lavori nei successivi lotti autostradali calabresi» organizzarono «una decina di riunioni notturne in contrada Bosco di Rosarno» per la continuazione degli affari. Bosco è nel cuore dei territori della mafia potentissima della Piana di Gioia Tauro dove inizia il Reggino. L’affare cresce. La costa splendida e tormentata obbliga a una fuga di opere d’arte: ponti, gallerie, costruzioni ardite.
L’Asfalti esce di scena. C’è il Consorzio Scilla, di Impregilo e Condotte, i due più potenti gruppi del paese; per intenderci, quelli che hanno vinto l’appalto miliardario del Ponte sullo Stretto. Alle riunioni di Bosco, con Spiga e Posteraro, c’è il boss cosentino Di Dieco (che poi si pentirà illuminando quei summit) che si porta dietro uno dei suoi killer di fiducia, perché non si sa mai; c’è soprattutto il gotha dei rappresentanti delle famiglie che dominano i territori del tratto reggino dell’autostrada: Pesce, Bollocco, le famiglie di Bagnara; «il signorino» dei Longo, poi ammazzato; gli Alvaro di Sinopoli, i Gallico di Palmi e via elencando.
Impregilo e Condotte non vogliono perder tempo. Non sono come l’Asfalti. Non ci provano neanche a mandar giù un ingegnere cocciuto e roccioso, uno col vizio assurdo dell’onestà come l’ingegnere Facchin. Secondo i magistrati le intercettazioni dei dirigenti del consorzio «dimostrano in maniera incontestabile la disponibilità del Contraente Generale operante sul V macrolotto (Condotte Spa e Impregilo Spa) a sottostare alla tassa ambientale, pari al 3% da corrispondere alle organizzazioni criminali». Tassa ambiente e non più estorsione, che suona male.
Spiega il pentito: se «un esponente criminale si rivolge alla ditta» gli dice «mi devi pagare l’estorsione ma se saliamo a Roma a parlare con un funzionario dell’Anas diciamo: l’impatto tassa ambientale». Scrupolosi, l’Asfalti, Impregilo, Condotte che pur di costruire l’autostrada ci rimettono il 3% girandolo alle cosche? In realtà, non è esattamente così. Il capo area del Consorzio Scilla Giovanni D’Alessandro «aveva spiegato, sempre all’ingegnere Sales della sede di Roma (di Condotte Spa, ndr), che per recuperare il 3% da stornare alle organizzazioni criminali, aveva studiato l’inserimento fittizio di un costo aggiuntivo. Per usare le parole dell’ingegnere D’Alessandro - spiegano i magistrati - questa nuova voce era stata denominata: «costo fittizio di stima di un 3% sui ricavi chiamato costo sicurezza Condotte-Impregilo». Un giro di fatture maggiorate per «ricavare un surplus finanziario, il cash flow appunto, per poi destinarlo alla tassa ambientale da versare alle cosche». Insomma, costi scaricati sull’Anas, cioè su tutti noi che, senza saperlo, abbiamo pagato la tassa sicurezza Condotte-Impregilo, quella messa dalla ‘ndrangheta e finita in una riga del bilancio del Consorzio Condotte-Impregilo.