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 2010  ottobre 04 Lunedì calendario

ARTISTI E MODELLE, UN RAPPORTO INTIMO

La nostra è l’unica epoca in cui, grazie alla fotografia, il ritratto è potuto dilagare in ogni classe sociale. Nel passato, trattandosi di un rapporto fra artista e persone altolocate, per lo più nobili, si è sviluppato nella forma di un rito le cui rigide regole potevano essere incrinate dalla relazione diretta che di volta in volta si instaurava fra gli occhi dei due officianti.
In teoria l’artista ha in mano un potere in più rispetto a colui che si fa ritrarre: il potere di Pigmalione, di Faust, dei costruttori di Golem delle leggende ebraiche. Insomma il potere di Dio che anche nella tradizione biblica crea l’uomo facendone prima una statua di creta. Sappiamo che Isabella d’Este ne fu spaventata al punto da rifiutare un ritratto di Leonardo da Vinci che le pareva troppo introspettivo, troppo dentro i segreti della sua anima, e non possiamo stupircene visto che ancora oggi, pur abituati come siamo alle immagini, gli occhi e il sorriso della Gioconda continuano a turbarci.
Ma com’erano le regole di questo pas de deux in cui ci si poteva scambiare il ruolo di colui che conduce la danza e di chi invece si fa portare? Molto varie, posto comunque invalicabile il divario sociale fra artista e ritrattato. Conosciamo un solo caso in cui la barriera di classe sembra, almeno per un momento, essere caduta: quando l’imperatore Carlo V, ad Augusta, pare si fosse chinato per raccogliere il pennello sfuggito di mano a Tiziano che stava ritraendolo.
In questo rapporto il tempo era sempre tiranno: i nobili concedevano solo quello necessario per tratteggiare il volto mentre per dipingere tutto il contorno — vestiti, cani, cavalli, arredi — il pittore doveva arrangiarsi per conto suo. Nell’archivio del Palazzo Reale di Madrid sono ancora conservate due lettere del 1625 e del 1628 in cui il conte duca di Olivares ordinava al marchese Flores Dávila, primo Cavallerizzo, di facilitare rispettivamente a Velázquez e a Rubens l’accesso a tutti i pezzi dell’armeria reale per la realizzazione dei ritratti equestri del re.
Una relazione molto intima fu invece quella fra Sofonisba Anguissola e le infante di Spagna: non solo la giovane pittrice cremonese era la ritrattista di corte, ma anche la dama di compagnia delle principesse. Si può pensare quindi che avesse tutto il tempo a disposizione per ritrarre le sue modelle, ma non il distacco per farne dei ritratti che non fossero encomiastici e celebrativi. Quasi un secolo dopo, Van Dyck riusciva a liberarsi dei lacci cortigiani della vita a corte: era così ricco e richiesto che riceveva i reali d’Inghilterra nel suo studio a Blackfriars, reso confortevole con servi, carrozze, cavalli, suonatori e buffoni. Nel Settecento anche Pompeo Batoni, il più celebre ritrattista dei giovani miliardari europei che spendevano le loro ricchezze nell’esotica Italia del Grand Tour, aveva allestito l’atelier come un elegante appartamento ricco di tendaggi, sete, velluti, opere d’arte. I giovani si fermavano per qualche seduta di posa e poi sceglievano a piacere gli oggetti, soprattutto reperti archeologici, che sarebbero apparsi nello sfondo del quadro.
Caravaggio la pensava all’opposto: preferiva la sua stanza buia e sporca e come modelli usava il garzone e le amanti prostitute.
Un altro che amò dipingere immerso nel mondo della prostituzione fu il conte Toulouse Lautrec. Fra lui e i soggetti ritratti cadeva così ogni barriera, che nel suo caso sarebbe stata un muro sociale eretto al contrario. Anche Klimt mescolava arte e sesso. Nel suo studio viennese spogliava le signore dell’alta società, le ritraeva minuziosamente e poi, con comodo, le rivestiva sulla tela dei suoi tipici abiti-mosaico con tessere d’oro. Non ci è dato sapere se andasse oltre lo sguardo; di certo Hayez lo face. Lo sappiamo perché il pittore stesso, che raccoglieva grandi successi presso le giovani della borghesia milanese, si è disegnato nel suo studio impegnato in molteplici pose di sesso.
Col tempo la fotografia ha semplificato molto il rituale accorciando il tempo della relazione fra artista e persona da ritrarre. Warhol è stato il prototipo di questo cambiamento: con la sua Polaroid coglieva la banalità della cronaca e da quegli scatti veniva poi il quadro. Un rapporto dunque mediato sia dalla distanza tecnologica che dallo spazio non più condiviso fra l’artista e il suo soggetto. Ma anche in questo caso ci sono eccezioni: la fotografa Annie Leibovitz che aveva tirato troppo in lungo la posa sul set, è riuscita a scatenare l’irritazione della regina d’Inghilterra.
Alla fine, sono ancora i sovrani a dettare le regole del rito.
Francesca Bonazzoli