Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 04/10/2010, 4 ottobre 2010
I MISSILI DI CARTAPESTA PER INGANNARE I SOVIETICI
Mi riferisco ai suoi commenti sul ruolo di Francesco Cossiga nella vicenda dello schieramento degli Euromissili in Italia per ricordare quello di Bettino Craxi, assolutamente cruciale quando si trattò di schierare i Cruise a Comiso. Politicamente era difficile far comprendere ai cattolici e ai pacifisti, per non parlare di tanti militanti in buona fede del Pci, la portata della minaccia dei missili sovietici a medio raggio, gli SS 20, con cui Mosca si proponeva il così detto «decoupling», vale a dire la separazione della sorte degli Stati Uniti da quella dei loro alleati europei. Bettino Craxi, come Francesco Cossiga, aveva capito che i Cruise in Italia e i Pershing in Germania, seguiti pochi mesi dopo dalla Strategic Defense Initiative lanciata nel 1983 dal presidente Reagan con il discorso sulle «guerre stellari», avrebbero dimostrato ai sovietici che l’Alleanza Atlantica era più forte che mai per la coesione politica dei suoi Paesi, tra cui l’Italia, e per il primato tecnologico americano. Partecipai al negoziato per la base di Comiso e posso raccontare ciò che accadde quando il Primo Segretario della Ambasciata americana venne alla Farnesina per comunicarci che i lanciatori mobili dei Cruise e un primo gruppo di missili sarebbero sbarcati nella base Sigonella qualche giorno prima del calendario concordato. Ma la base di Comiso necessitava ancora di parecchie settimane di lavoro. Se avessimo tenuto i missili fermi a Sigonella, i sovietici, grazie ai loro satelliti, lo avrebbero saputo e avrebbero tentato un’ultima offensiva, anche con manifestazioni popolari, contro la nostra decisione. Era meglio quindi creare il fatto compiuto. Proponemmo al governo di organizzare subito i convogli che dovevano portare i Cruise a Comiso. I convogli cominciarono a partire, sotto l’occhio vigile dei satelliti sovietici, ma i camion trasportavano soltanto giganteschi involucri e poco più, lasciando a Sigonella i missili veri.
Vincenzo Petrone
Ambasciatore d’Italia a Tokyo
Caro Petrone, quando Caterina di Russia, nel 1787, decise di visitare i territori che la Russia aveva strappato all’Impero ottomano sulle rive del fiume Dnepr, uno dei suoi amanti, il principe Grigorij Alexandrovic Potiomkin, fece costruire lungo il percorso molti villaggi di cartapesta popolati da attori che recitavano la parte dei contadini e dei pastori. La storia fu raccontata da un diplomatico, che ne fece materia di un libello, ed è probabilmente il frutto di pettegolezzi e maldicenze che circolavano allora contro Potiomkin nella corte di Pietroburgo.
Vera o falsa, tuttavia, la vicenda dei «villaggi Potiomkin» dimostra che nei rapporti internazionali, in pace e in guerra, è sempre lecito mentire e ingannare. Quando arrivò a Tripoli per assumere il comando dell’Afrikakorps, il generale Rommel decise di adottare una strategia offensiva ancora prima che il grosso del contingente tedesco sbarcasse in Libia. Mise in campo una flottiglia di automobili Volkswagen, le rivestì con una falsa corazza e le mandò in giro per il deserto avvolte in una nuvola di sabbia. Gli inglesi, dal canto loro, fecero del loro meglio, con varie simulazioni, per indurre i tedeschi e gli italiani a credere che lo sbarco del 1943 avrebbe avuto luogo in Sardegna anziché in Sicilia. La trovata più geniale, probabilmente, fu quella del cadavere lanciato in mare, al largo della costa spagnola, da un sottomarino britannico. Quando i servizi spagnoli ne fecero omaggio ai servizi tedeschi, questi trovarono nelle sue tasche documenti che avrebbero dovuto, nelle intenzioni dell’Intelligence Service, trarli in inganno.
Grazie a lei, caro Petroni, sappiamo ora che durante la Guerra fredda vi furono anche i «missili Potiomkin», molto più innocui e divertenti di quelli veri, che per altro esistevano dietro le quinte e aspettavano la loro installazione.
Sergio Romano