Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 03/10/2010, 3 ottobre 2010
LA MIA BATTAGLIA CONTRO L’OBLIO
Vent’ anni fa era una casa parrocchiale in piena campagna, nei pressi di Biandrate (a pochi chilometri da Novara), quasi un rudere nelle risaie. Un rudere parrocchiale, proprio di fianco alla chiesetta di san Bartolomeo, che fu parrocchia fino agli anni 50 e che da luglio, quando un’ auto è andata a schiantarsi ad alta velocità contro il portale, ha la facciata deturpata: il piccolo arco è venuto giù e i calcinacci hanno sepolto per sempre la conducente. Nel 1990 Sebastiano Vassalli acquistò il rudere e recuperò quel poco che restava di un vecchio libro di matrimoni trovato in uno stanzino a pianterreno: «La gran parte dell’ archivio è andato in malora, e chi è nato, vissuto e morto da queste parti è come se non fosse mai esistito». Il rudere divenne una grande casa su due piani e il campo di granoturco antistante divenne un piccolo giardino ben curato e ricco di noci, ciliegi selvatici, querce varie, betulle, aceri, noccioli, noci, frassini, gelsi, castagni, biancospini, aceri, giuggiole, carpini, roveri, un pioppo, un platano... L’ orgoglio di Sebastiano: «Il giardino l’ ho progettato io, sono andato dal ferramenta, ho comperato una bindella per prendere le misure e ho scelto gli alberi». Ogni pianta una storia su cui ogni tanto vengono ad appollaiarsi gli aironi. Vassalli ricorda che durante la ricostruzione della casa, qualcuno gli chiese con circospezione se intendesse prosciugare il pozzo. La domanda gli fu posta, qualche tempo dopo, anche da un vecchio capo partigiano: «Se per due punti passa una retta, qualcosa lì sotto c’ è, armi, corpi di tedeschi, chi lo sa... E qualunque cosa ci sia, ci rimarrà per sempre». Scavando per piantare i due tigli giovani che adesso hanno tronchi enormi, venne fuori un metro di calce: «In tempi di epidemie, la calce serviva per le sepolture degli animali». Questa casa potrebbe anche chiamarsi «La chimera», come il romanzo del 1990 che ha regalato a Vassalli oltre un milione di copie vendute nelle varie edizioni. E qualcosa di quel libro, che racconta la storia di una giovane strega bruciata sul rogo agli inizi del ’ 600, è ben visibile sulla facciata. È la bellissima immagine della copertina, disegnata da Giuliano Della Casa e riprodotta su un grande pannello di ceramica: un merlo fermo su un ramo dai colori autunnali. Di ceramiche, in realtà, ce n’ è una collezione intera, sui muri esterni di casa Vassalli: la più grande è un pannello (sempre dell’ amico Giuliano) con animali acquatici e terrestri della zona, aironi, fagiani, anatre, beccacce e beccaccini. «Il martin pescatore - dice Vassalli - da queste parti non si trova più, in compenso da qualche anno è arrivato dal Nilo l’ ibis». Ceramiche d’ ogni tipo e provenienza, un azulejo settecentesco, statuine di Toledo, formelle di Faenza, Deruta, Impruneta, Grottaglie: i piatti di Mastro Oronzo portano i titoli dei romanzi del padrone di casa e l’ anno d’ uscita. Manca ancora l’ ultimo, Le due chiese. Sul muro posteriore, c’ è un verso di Sebastiano che ne fotografa bene i tratti, come la finestra trompe-l’ oeil al primo piano, che lo ritrae, baffuto, in compagnia di un gatto: «I soli stanno soli e fanno luce». Una casa-museo, l’ ha definita Vassalli nel libro-intervista appena uscito da Interlinea, scritto con Giovanni Tesio e intitolato Un nulla pieno di storie: un bilancio impietoso dei suoi primi settant’ anni, con ricordi di un’ infanzia e di un’ adolescenza, non proprio serene, vissute a Novara, in casa delle sorelle del padre (che Sebastiano, in una sorta di outing emotivo, non esita a chiamare il Merda). Quel nulla del titolo è l’ autodefinizione di Vassalli («io sono un nulla pieno di storie»), ma è forse anche questa pianura che ha visto e cancellato («come su un’ immensa lavagna») invasioni di popoli, guerre, rivolte, fatiche di uomini e donne, case, chiese, animali e piante. «Questa natura è l’ ambiente che mi è più congeniale», dice Vassalli. Il libro contiene anche un breve testamento. Con qualche desiderio. Che nel boschetto davanti vengano sparse le sue ceneri e che per il suo funerale (laico e civile) si suoni l’ Internazionale (un «sogno di giustizia») e si reciti il Padre nostro («il sogno d’ amore rappresentato dal dialogo con il padre»). Un grande orecchio di Aldo Parmigiani accostato al tronco di un tiglio dà l’ idea dell’ ascolto della terra, il Monumento alla Zanzara di Giovanni Tamburelli è un omaggio semovente e ironico all’ insetto più familiare e più insopportabile della zona, simbolo del male di vivere (anche altrove), il gigantesco drago-geco appostato sul muro di cinta sembra uscito da un bestiario medievale, il gufo scolpito che occhieggia in alto, dai rami, potrebbe essere vero. «Bisogna coltivare il proprio giardino» è la frase di Voltaire trascritta sul muro di una piccola dépendance che contiene la biblioteca di narrativa italiana, perfettamente ordinata alfabeticamente. Vassalli sorride dietro i suoi baffi scuri: «Ho costruito un luogo dove conservare la memoria che da queste parti manca quasi del tutto. La cosiddetta Padania è stata per secoli terra di transito in cui passava di tutto, e il Po più che unire ha sempre diviso. Questa era una terra in cui i mercenari svizzeri combattevano contro altri mercenari svizzeri: a Basilea c’ è addirittura una via Novara». Passavano tutti, da queste parti, anche quando non c’ era né l’ autostrada né, appena dopo lo svincolo, la cittadella commerciale Outlet Vicolungo, oggi meta di pellegrinaggio per mezza Lombardia e mezzo Piemonte. Passavano tutti e tutto passava. «Persino dell’ epopea del riso è rimasta poca memoria. L’ immagine ricorrente è quella delle mondariso, che però cominciano a lavorare a metà ’ 800, mentre il riso viene coltivato dal ’ 400 e per la Chiesa della Controriforma non era pensabile che le donne stessero in fila con il culo per aria. Gli schiavi del riso erano vecchi, malati, handicappati, storpi, gozzuti, bastava che respirassero. Secondo certe "gride" spagnole, la metà moriva di stenti e di malaria in una stagione, senza assistenza materiale né spirituale. Erano disgraziati che morivano e basta. Una schiavitù molto simile a quella del cotone in America: solo che gli schiavi qui non venivano dall’ Africa ma dalle valli e dalla pianura». Un luogo di storie senza storia, questa pianura dimenticata, questo paesaggio «tra i più manipolati del mondo», un non-luogo letterario, secondo Vassalli. Una sfida, per lo scrittore, un corpo a corpo contro l’ oblio. Forse anche il suo prossimo romanzo avrà questi scenari, ma non chiedeteglielo, perché «le idee a parlarne si consumano»: «Un progetto c’ è sempre, il prossimo potrebbe somigliare alla frase che Flaubert disse a proposito del Candide di Voltaire: "una storia tranquilla e stupida come la vita"». Sarà una storia maturata nella solitudine, come sempre: «Se vivessi immerso nel rumore dei media, del mondo che continua a parlare e urlare, non riuscirei a scrivere: sento il bisogno di isolarmi per filtrare le parole attraverso il silenzio, ma oggi non c’ è niente di più fragile del silenzio». Sbaglia chi pensa che per Vassalli il sibilo di un computer sia più silenzioso del battere delle dita su una vecchia macchina da scrivere. Lo testimoniano le sue quattro Olivetti Lettera 35 e la gigantesca Adler anni 40, che peserà una ventina di chili. Ma la fatica di battere sui tasti arriva solo per la stesura definitiva, quando sono stati riempiti centinaia di fogli manoscritti: «La macchina da scrivere mi dà il tempo di riflettere se cambiare una parola oppure no. La scrittura ha i suoi tempi che non sono accorciabili se non a scapito della scrittura stessa. Tutti mi dicono che il computer facilita e rende più rapido il lavoro, ma è come se arrivasse una nuova tecnologia capace di ridurre la gravidanza a sei mesi... Ci sono tempi naturali per tutto». L’ «incubatrice» è al primo piano, sono due studi-archivio ordinatissimi, dove Vassalli lavora con orari regolari (una volta solo al mattino, oggi anche nel pomeriggio, se necessario): «La continuità è fondamentale, il mito romantico dell’ artista genio e sregolatezza è una colossale balla». Ci vuole ordine e pulizia, il caos, per Sebastiano, è nemico dell’ arte: anche questo ci dice questa casa-museo, che Vassalli sta allestendo per i posteri come punto di riferimento della pianura, luogo naturale e artistico della memoria, testimonianza del proprio percorso: alle pareti le fotografie che contano, le prove di copertina (einaudiane: una più bella dell’ altra, addirittura dodici quelle di Dux), i quadri che ricordano il pittore anni 70 (e oltre) di «rebus», «ex voto», collage, alcune pagine dei quotidiani che hanno recensito i suoi romanzi. E una cartella con una cinquantina di lettere mai aperte di mittenti spesso misteriosi e dunque rimaste senza risposta: «Giulio Einaudi, quando le vide, andò in visibilio, le voleva a tutti i costi». La memoria, si sa, richiede anche la crudeltà della selezione. Altrimenti, che memoria è?
Paolo Di Stefano