Danilo Taino, Corriere della Sera 03/10/2010; D. Ta., ibid., 3 ottobre 2010
2 articoli - GERMANIA ANNO VENTI IL GIGANTE SENZA TABU’ - Fino al 1990, questa città si chiamava Karl-Marx-Stadt
2 articoli - GERMANIA ANNO VENTI IL GIGANTE SENZA TABU’ - Fino al 1990, questa città si chiamava Karl-Marx-Stadt. Il nome - una trovata del 1952 - voleva indicare la grande rinascita nel socialismo della metà orientale della Germania dopo il nazismo e la tragedia della guerra. Le cose andarono diversamente. Quando cadde il Muro di Berlino, nel 1989, Città Karl Marx era un esempio di architettura pianificata e basta: centro storico raso al suolo un po’ dalle bombe e il resto dal partito, i condomini prefabbricati erano tutto quel che c’ era. Vent’ anni dopo la riunificazione tedesca - l’ anniversario è oggi - Chemnitz non ha solo ripreso il suo vecchio nome: è una delle città a maggiore crescita di tutta la Germania, parti intere sono state ricostruite, i centri commerciali trionfano. E’ uno dei cuori della nuova economia, quella che fa parlare di secondo miracolo tedesco, dà alla Germania motivo di sentirsi di nuovo orgogliosa di se stessa, la rende più assertiva. E ormai sempre meno occidentale. «Certo, la riunificazione è stata un successo e possiamo vederne il risultato: vent’ anni fa la Repubblica federale era uno dei grandi Paesi occidentali, oggi la Germania è un Paese centro-europeo, più spostato verso Est e più forte», dice Dietmar Roth, fondatore e amministratore delegato di Roth & Rau, un’ azienda nata nel giugno 1990 - Muro di Berlino caduto da poco e riunificazione in arrivo - poco lontano da Chemintz. Quella che nei giorni successivi alla caduta del socialismo realizzato era una delle tante imprese che nascevano, oggi ha 1.200 dipendenti ed è uno dei produttori mondiali più avanzati di tecnologie al plasma per l’ industria fotovoltaica. E’ una faccia della Nuova Germania, costruita attorno all’ enorme sforzo che è stato la riunificazione: almeno 1.300 miliardi di euro spostati dalla parte Ovest a quella Est del Paese ma soprattutto una trasformazione profonda nell’ economia, nella cultura, nella politica, nel posizionamento geopolitico dell’ intera Germania. Nella coscienza di se stessa. «Non è solo la Germania dell’ Est che è dovuta cambiare - dice il ministro degli Interni Thomas de Mazière -. La riunificazione ha cambiato tutto il Paese». La vecchia Repubblica di Bonn (dal nome della ex capitale della Germania occidentale) era un Paese ancora attraversato da un senso di colpa profondo a causa del nazismo, timido nella difesa dei suoi interessi, forzatamente aperto nei confronti degli stranieri, primo sostenitore dell’ integrazione europea vista come antidoto al nazionalismo. Chi guarda il Paese oggi vede qualcosa di diverso. «Grazie alla riunificazione, la Germania intera è diventata molto più diversificata e i sentimenti dello stare insieme sono cresciuti», sostiene il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. L’ evento insperato di vent’ anni fa ha scavato nella realtà e nelle coscienze: i tedeschi che si vergognano di essere tali sono sempre meno; anzi, l’ orgoglio nazionale è qualcosa che si torna a esprimere pubblicamente. Non sono solo la bandiera che ancora negli anni Novanta quasi nessuno osava esporre e l’ inno nazionale che imbarazzava tutti su quelle note che si erano colorate di tragedia: certo, questi simboli sono tornati. Ma soprattutto si è risvegliato il senso di identità. Il ministro della Difesa Karl-Theodor zu Guttenberg, un giovane nobiluomo bavarese del partito cristiano-sociale, sta conducendo una battaglia per abolire il servizio di leva. Finora, le forze armate di popolo sono state un totem intoccabile, deciso nei primi anni Cinquanta come garanzia che il nuovo esercito tedesco non cadesse in tentazioni militariste. Bene, zu Guttenberg è riuscito a fare passare le sue idee anche tra i più conservatori e nei prossimi mesi la Bundeswehr avrà quasi certamente solo soldati professionisti. Dallo scoppio della crisi finanziaria due anni fa, i governi guidati da Angela Merkel sono diventati via via più assertivi nell’ imporre il loro punto di vista, in particolare di fronte alla crisi della Grecia e ai salvataggi di Paesi in difficoltà finanziarie: ancora in questi giorni, la cancelliera ha detto che per garantire la stabilità dell’ euro occorre cambiare i trattati europei, per quanto questa sia un’ operazione difficilissima. La lingua tedesca è un bene che viene sempre più coltivato. Le ferrovie, per dire, aboliranno gli annunci in inglese su buona parte dei treni nazionali, dopo avere ricevuto un buon numero di proteste; e cambieranno i cartelli che oggi portano scritte in inglese. Alcuni ambasciatori hanno di recente protestato perché il tedesco sta trovando poco spazio nel nuovo servizio diplomatico europeo. E al Bundestag (il Parlamento) ci sono proposte per introdurre nella Costituzione il tedesco come lingua ufficiale (per affermare con forza che lo straniero che vuole la cittadinanza deve sapere parlare la lingua). Nelle radio, in vent’ anni il numero di canzoni tedesche è (ahimè) raddoppiato, attorno al 30 per cento. Nella letteratura, il passato nazista e il senso di colpa sono meno presenti, cresce invece la valorizzazione della tradizione letteraria tedesca, anche in autori insospettabili come il Premio Nobel Günter Grass. Nelle scuole, lo studio del nazismo resta un asse portante della didattica. Le giovani generazioni sono però meno angosciate da questo passato e, soprattutto, chi è cresciuto nei Länder socialisti fino al 1990 porta un distacco totale dal passato hitleriano: il partito aveva loro insegnato che la responsabilità del nazismo era del capitalismo occidentale, non di un popolo, quindi i campi di concentramento non erano un problema loro. In vent’ anni, insomma, nel bene e nel male la Germania ha perso remore e timori, ha sempre più fiducia in se stessa e misura senza infingimenti i suoi successi democratici e la sua potenza economica straordinaria. «Ci sono ancora problemi di riunificazione ma siamo orgogliosi dei risultati ottenuti dopo la svolta», dice Jochen Wolff, direttore di SuperIllu, una rivista illustrata che parla ai lettori dell’ Est del Paese, un po’ con nostalgia, un po’ per consigliarli. Grazie a un sondaggio appena condotto, SuperIllu ha scoperto che il 65% dei tedeschi orientali è contento di essere passato in un Paese a economia di mercato e solo il 13% rimpiange il socialismo reale. Differenze tra Ovest e Est permangono, «ma non diversamente da come ci sono differenze tra Nord e Sud, e non solo in Germania ma un pò in tutti i Paesi», sostiene il dottor Roth, il fondatore della fabbrica di plasma per pannelli solari a Chemnitz. Attorno alla sua azienda, per dire, corre la cosiddetta Silicon Saxony, una quantità di imprese nel settore delle alte tecnologie che in Sassonia, terra storicamente imprenditoriale e colta, crescono a ritmi elevatissimi. Questa Germania che sta ritrovando se stessa, ormai tornata un Paese normale, crea naturalmente problemi ai vicini. Non per cattiveria ma perché inevitabilmente la sua Weltanschauung cambia, la sua concezione del mondo vede il Paese meno dipendente dall’ Europa e un po’ più solitario. «Un colosso assorbito da se stesso», ha detto di recente il filosofo Jürgen Habermas. Ma in movimento. «Avendo spostato la capitale da Bonn a Berlino - dice il presidente dell’ American Council on Germany, William Drozdiak - c’ è stato un cambiamento psicologico significativo, il centro di gravità si è spostato a Est, la Germania vede se stessa più come un potere dell’ Europa centrale». Certamente ancora europea, ma forse non più disposta a dare un’ esclusiva a Bruxelles, come ai tempi della Guerra Fredda. La Russia è attraente, la Cina è un grande mercato, la Turchia è importante e Berlino sa che certe volte, anche se non sempre, è meglio che faccia da sola nelle relazioni con questi Paesi, senza doversi sempre trascinare la Ue. «La nuova Germania unificata ha attraversato un periodo prolungato di ricerca della propria coscienza e della propria centralità a seguito della riunificazione, un processo ancora non finito», ha scritto di recente Jan Techau, un analista di politica internazionale. Persino uno dei grandi protagonisti della riunificazione, l’ ex ministro degli Esteri liberale Hans-Dietrich Genscher, dice che esistono ancora «i veterani della Guerra Fredda» che non hanno più ragione di esistere. E di essere «molto a favore di un rilancio del Triangolo di Weimar», cioè della collaborazione tra Germania, Francia e Polonia: anche qui uno spostamento di equilibri verso Est, questa volta all’ interno dell’ Unione Europea. E’ con questa Germania, forte e libera nella mente, che vivremo i prossimi vent’ anni. Danilo Taino DALLE SCARPE ALLO SPUMANTE. GLI OGGETTI DELLA OSTALGIE - Quando la Germania era divisa in due, i cittadini dell’ Ovest spedivano ai parenti dell’ Est pacchetti regalo: abiti, cibo, profumi, le meraviglie del consumismo che dall’ altra parte del Muro erano solo viste in televisione. Questi pacchi, sui quali il governo socialista applicava una piccola tassa, venivano chiamati Westpaket. Oggi, vent’ anni dopo la riunificazione, vanno forte gli Ostpaket: le merci dell’ Est, i vecchi marchi tanto cari agli Ossie, gli abitanti della ex Ddr. A due passi dalla Alexanderplatz, a Berlino, c’ è per esempio un negozio che si chiama proprio Ostpaket: in tutta la ex Germania Est sono almeno una dozzina. E’ che, come sempre accade, il passato ha un suo fascino anche se non era dei più belli e, per i tedeschi orientali, la Ostalgie, la nostalgia dell’ Est, spesso prende le forme e i nomi dei prodotti di consumo. Non solo e non tanto le Trabant, le vecchie auto a due tempi della Ddr. Il successo maggiore è forse quello delle Zeha, le uniche scarpe da sport prodotte nella Germania orientale e oggi diventate un prodotto di lusso. Ma nei gusti nostalgici vent’ anni dopo va forte anche il caffè Rondo, la cui produzione non è mai cessata, come è accaduto in gran parte delle 14 imprese dell’ Est che sono state privatizzate dal 1990. Qualche volta, la Ostalgie ha un profumo politico. Come nel caso di chi acquista l’ Erichs Luxus Duschbad, il bagnoschiuma dedicato a Erich Honecker, l’ ultimo dei grandi dittatori della Ddr, quello che baciava Breznev sulla bocca. O nelle bandiere rosse, nere e oro con martello-e-compasso nel centro. In genere, però, la nostalgia è più personale, appunto legata a ricordi, a profumi, a gusti. Il prodotto che forse meglio di altri si è adattato ai tempi nuovi è il Rotkäppchen, un vino spumante con cui Honeker brindava con Fidel Castro: è prodotto da oltre 150 anni da una cantina della Sassonia-Anhalt che oggi ha un fatturato superiore ai 700 milioni di euro. D. Ta.