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 2010  ottobre 04 Lunedì calendario

SOS NUOVE SCHIAVE. ORA L’INFERNO È IN CASA


Invisibili. Così le vogliono: chi le sfrutta, chi le ospita, chi ne abusa. Nascoste dagli occhi di possibili controlli, da chi sulla strada osserva, riporta, denuncia. E nascoste anche dai limiti che quella stessa strada, tanto vitupe­rata, ha in qualche modo sempre posto alla sessualità a pagamen­to, almeno in Italia. A cominciare dall’età di chi ne è vittima. La pro­stituzione, oggi, ha un volto “nuo­vo”. Orribile. È tornata a rinchiu­dersi nelle case, nei sottoscala dei locali notturni, nei fittizi centri e­stetici. E certo non per garantire sicurezza e salute alle donne che mercanteggia, o ai loro clienti.

Il quadro desolante è stato com­posto a difficoltà, e fotografato, dalle associazioni impegnate sul campo della lotta alla tratta e al­cune istituzioni (tra cui il Gruppo Abele di don Ciotti, Cat Coopera­tiva sociale, Dedalus, Mimosa, la Caritas diocesana di Padova, On the road, il Comune di Venezia, la Regione Emilia Romagna, Piam onlus, Tampep) in collaborazione con le forze dell’ordine e la poli­zia municipale di centinaia di co­muni sparsi lungo lo Stivale. Ri­sultato: negli ultimi due anni tra il 40 e il 70% della prostituzione su strada ha “traslocato” al chiuso. Stiamo parlando di circa 15mila donne, una media di 68 per ogni 100 che sono rimaste lungo i mar­ciapiedi. Giovani, 25 anni per lo più. E giovanissime: migliaia di minorenni – le “bamboline”, così come vengono chiamate dai loro protettori quando le propongono ai clienti – che possono essere vendute in appartamento proprio perché al sicuro dai controlli del­la polizia e dalle denunce dei co­muni cittadini, che sulla strada potrebbero facilmente accorger­si della loro età. Quasi 8 su 10 so­no straniere (per lo più prove­nienti dal Sudamerica, dall’Euro­pa dell’Est e dalla Cina). Una pro­porzione inversa a quella della na­zionalità dei clienti, per la quasi totalità italiani. Giovani e giova­nissimi anche loro (tra i 18 e i 38/40 anni). Ma soprattutto ric­chi. Tanto da potersi permettere appuntamenti al chiuso: dove ai costi delle prestazioni si aggiun­gono quelli delle spese da soste­nere (affitto, acqua, luce, gas). Set­tecento, a volte mille euro a sera­ta. Cui va aggiunto l’uso delle so­stanze, sempre più massiccio, quasi sempre a carico del cliente stesso: cocaina per lo più, ma an­che acidi, pasticche. Una buona parte entrano negli appartamenti, solitamente gesti­ti da donne più anziane (le “tenu­tarie” d’un tempo), volontaria­mente. Sanno che si prostituiran­no, sanno che saranno sfruttate, ma sanno anche che avranno ca­sa, che terranno per sé una pic­cola percentuale del guadagno, che eviteranno i controlli (la mag­gior parte sono irregolari). Ma c’è anche la spaventosa realtà dello sfruttamento, e delle ragazze ob­bligate a prostituirsi, segregate ne­gli appartamenti, spostate ogni 6/8 mesi da una città all’altra, co­strette a lavorare 24 ore su 24, so­prattutto nelle grandi città, dove passano e vanno i pendolari, gli impiegati della pausa pranzo, i di­rigenti prima i rincasare la sera.

Eccola, l’invisibilità. Con i suoi de­moni, i suoi segreti. E con la sua sfrontatezza, anche: perché se in­visibile è la pratica, della nuova prostituzione, è invece visibilissi­ma la sua offerta. Pubblicizzata, addirittura. Sui giornali, le riviste di settore. Su siti Internet che as­somigliano a vere e proprie vetri­ne: pagine e pagine web di numeri di telefono, annunci, fotografie, descrizioni dettagliate. Filtri, giungle di link e di voci che ri­spondono a un numero per quat­tro o cinque giorni, poi il cellula­re scompare. «Come forze dell’or­dine – spiega Antonino Runci, so­stituto commissario della Squa­dra mobile della Questura di To­rino – abbiamo grosse difficoltà a gestire e monitorare il fenomeno, non abbiamo il “polso” della si­tuazione. Un tempo potevamo di­re quante prostitute c’erano, zo­na per zona. Conoscevamo le et­nie, dove si posizionavano, erava­mo in grado di fare calcoli precisi perché tutto era sotto i nostri oc­chi. Purtroppo la prostituzione al chiuso è difficile da monitorare, il che si traduce in una maggiore dif­ficoltà di intervento». D’altronde anche seguire il “filo rosso” della pubblicità è pressoché impossi­bile per polizia e carabinieri, che in questo caso si misurano con la rete di rimandi tra il web, affittuari prestanome, contratti in nero: un puzzle per la cui soluzione (spes­so limitata a un solo giro d’affari) occorrono decine di uomini, spe­cializzati in campi diversi. «Una difficoltà di investigazione – ag­giunge il dirigente della Squadra mobile della Questura di Cuneo, Tommaso Pastore – percepita in tutta la sua valenza anche dalla criminalità organizzata, che non a caso sta spostando i propri traffi­ci da sfere più controllate come quella del traffico di stupefacenti verso il contesto di questo tipo di sfruttamento». Male che attira male, che cresce. Nell’ombra.