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 2010  ottobre 03 Domenica calendario

AUTOPUBBLICARSI? PER ORA È UN SOGNO

Senza voler rilanciare la provocatoria idea di Mi­chel Foucault - «Per un anno tutti i libri siano pubblicati senza il no­me dell’autore, di modo che criti­ci e lettori si confrontino davvero con i contenuti e non con le mo­de » - sarebbe comunque interes­sante vedere che succederebbe se un autore affermato decidesse di scommettere innanzitutto su ciò che scrive, e soltanto dopo sul suo nome, o meglio sul suo «brand», e sull’editore che lo so­stiene e che spesso lo «gonfia». Funzionerebbe lo stesso il leggen­dario passaparola, per esempio? E se l’e-book conquisterà sempre più quote di mercato, trasforman­do l’e-reader in un supporto co­mune, perché un autore famoso non dovrebbe vendersi dal pro­prio blog, incassando pure la lau­ta percentuale dell’editore? L’idea è un po’ pazza, ma ci è venuta leggendo della «carriera» di Lisa Genova, scrittrice statuni­tense appena uscita per Piemme con Perdersi (pagg. 294, euro 16,5). Questo romanzo Lisa Ge­nova se l’era inizialmente pubbli­cato a proprie spese «senza nes­sun dubbio e nessun rimorso. Ero convintissima della mia scel­ta ». Tanto che, caricata la tiratura nel bagagliaio dell’auto, l’autrice è andata in giro a vendersela in proprio, fino a quando un giorna­lista non ne ha­acquistato una co­pia e ne ha scritto una recensione entusiasta. Il resto è american dre­am realizzato: Simon & Schuster non ne ha rilevato i diritti, il libro è ora un best seller. E se Lisa Geno­va non avesse incontrato quel giornalista? E in Italia, sarebbe stato possibile tutto ciò? Perché, anziché prendere di mira le dina­miche «troppo commerciali»del­le nostre case editrici medio- gros­se, i nostri scrittori non si fanno imprenditori di se stessi, un po’ come i cineasti indipendenti? Non sarebbe più allegra e rischio­sa, la letteratura? Oltretutto, auto­pubblicarsi non è più difficile co­me qualche anno fa: le tecnolo­gie hanno fatto passi da gigante.
«Ammetto di averci pensato ­ci racconta Andrea De Carlo, in uscita il 6 ottobre con Leielui (Bompiani) - e credo che sia un’idea comune a molti scrittori: una produzione in proprio, più ecologica, umanista, artigiana. Può darsi sia una strada probabi­le, se continuerà la tendenza del­le case editrici a diventare grandi conglomerate in cui l’aspetto per­sonale viene messo sempre più spesso in secondo piano. E dipen­de da cosa succederà con gli e-book, che potrebbero significa­re il passaggio a un rapporto mol­to diretto tra autore e lettore, op­pure la fine della possibilità di vi­vere scrivendo libri. Autoprodur­si, tuttavia, comporta doversi oc­cupare di questioni come stam­pa, distribuzione, vendita: non è detto che uno scrittore vi sia ferra­to. Il vantaggio è il controllo diret­to di ogni particolare che riguar­da il libro. Devo dire che nel mio caso mi occupo da anni delle co­pertine dei miei romanzi. Per Le­ielui ho curato interamente an­che la grafica. Perfino la carta è certificata FSC, secondo i princi­pi della campagna “Scrittori per le foreste” lanciata da Greenpea­ce ».
«La domanda “Ma perché non ti pubblichi?” - ci dice Giuseppe Genna, autore Mondadori tra i più venduti e attivissimo in Rete­porta alla luce parecchi problemi legati all’editoria e,più in genera­l­e, alla cultura contemporanea. Io mi sono autopubblicato due volte: con Medium , su Lulu.com, e poi in occasione di un mio inter­vento al festival Officina Italia, per cui feci preparare da un tipo­­grafo, a mie spese, una parte del mio Hitler che la Mondadori vole­va espungere perché non era “ alli­neata all’idea di vendita di mas­sa”.
Ne ricavai un libriccino di 40 pagine che misi sulle sedie del pubblico, un’ora prima di inizia­re a parlare. Fu un successo. Oc­corre dirlo, però: attualmente se ti autoproduci non vai da nessu­na parte. È accaduto a uno dei grandi capolavori degli ultimi de­cenni, La messa dell’uomo disar­mato di Luisito Bianchi, che circo­lava in edizione autofinanziata. Non lo conosceva nessuno, pri­ma che Sironi lo pubblicasse. Questo perché il nostro è un mer­cato in fase finale, con fenomeni di gigantismo paraculturale che asfissiano il resto. Siamo in pieno transito da una civiltà tipografica a un’altra tipografico-digitale. Qui cambierà tutto da quando renderanno disponibile l’ebook per Saviano. Non conviene auto­prodursi prima».
Ma c’è anche chi,come Miche­le Mari, ha ragioni personali, pri­ma ancora che social-culturali, per non autopubblicarsi: «Rimar­rei inedito a vita- ci racconta l’au­tore del recente Rosso Floyd (Ei­naudi). La prospettiva di autopro­durmi mi sgomenterebbe: non ho mai messo in discussione per un secondo della mia vita la ne­cessità di un editore. Non ho lo spirito donchisciottesco di Lisa Genova. E poi ho un rapporto quasi inesistente con internet, ebook, nuove tecnologie promo­zionali: sono persino restio a da­re testi per la Rete, quando me li chiedono. Mi sembra di gettarli nel vuoto. Piuttosto che autopro­durmi, preferirei radunare quat­tro amici una sera a casa mia e leg­gergli il mio libro. E poi il sistema metabolizza tutto, pure quegli au­t­ori che vorrebbero star fuori dal­le logiche mercantili delle grandi case editrici. Vale lo stesso per la musica: ne parlo in Rosso Floyd .
In fondo il mito di Syd Barrett è legato a una specie di verginità ri­spetto al mercato». Gianrico Carofiglio, invece, è uno degli autori più venduti e ce­lebri degli ultimi anni. Il suo Non esiste saggezza ( Rizzoli) è stato on­nipresente su tutti i mass media. «L’idea di autopubblicarsi è inte­ressante perché permette di gio­c­are sul serio con la libertà del pas­saparola. Ad ogni modo, io non ci ho mai pensato: mi mette allegria riconoscere gli editori e al contra­rio mi fanno un po’ tristezza i libri senza editore. Salvo interessanti eccezioni, il binomio autore-edi­tore è ciò che identifica ancora l’oggettolibro. Autopubblicarsi è una scommessa pericolosa: la di­stribuzione, la visibilità su giorna­li e in Tv, l’esposizione nelle libre­rie… chi garantirebbe tutto que­sto? L’essere pubblicato da un ve­ro grande editore mi dà la piace­vole sensazione di fare parte di qualcosa di collettivo e importan­te. E se penso a quegli scrittori che a un certo punto scelgono il low profile editoriale “per conser­vare la propria voce”, passando dall’anonimato alla fama e dalla fama all’anonimato, credo che il loro sia un fenomeno simile al downshifting , da indagare con i mezzi della sociologia e della psi­cologia ». Insomma, dal punto di vista de­g­li scrittori gli editori tradizionali, meglio se grandi, godono di otti­ma salute. Quanto al mettersi alla prova, forse non è ancora ora: ci sono le bollette da pagare.