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 2010  ottobre 03 Domenica calendario

UNA VITA CONTROCORRENTE

«C’è stato un tem­po nella mia gio­vinezza, negli anni Trenta, in cui la cor­rente della manipolazione ideologica era così forte che io, studiando all’università, leggendo Marx, Engels, Le­nin, credevo di scoprire gran­di verità, e noi ci sentivamo persino riconoscenti del fat­to che grazie a Marx eravamo ormai esentati dal dover leg­gere tutta la filosofia mondia­le precedente, quei venticin­que secoli di pensiero; aveva­mo tutte le verità a portata di mano! Ah, è davvero un vele­no terribile quando ti dicono che la verità è già stata trova­ta ». Così Aleksandr Solzeni­cyn rievoca le tentazioni del comunismo. Siamo negli an­ni Trenta, il futuro premio No­bel per la letteratura, il simbo­lo della lotta al totalitarismo sovietico e della resistenza al materialismo storico, è uno studente di matema­tica iscritto all’universi­tà di Rostov. La propa­ganda stalinista è mar­tellante, e produce effet­ti tangibili: «Presi a sim­patizzare per questo gio­vane mondo. Il mondo sa­r­à come noi lo avremo crea­to... Mi lasciai prendere dal­la corrente».
Nel 1937-1938, nelle aule parte una campagna di reclu­tamento per la scuola del­l’NKVD, la polizia politica da cui nascerà il KGB. E lo scritto­re, poi perseguitato per decen­ni proprio dai servizi segreti sovietici, quasi crolla: «Penso che se avessero fatto pressio­ni molto forti, ci avrebbero fat­to cedere tutti ». Lo dirà in Arci­pelago Gulag , l’opera che fa­rà tremare le fondamenta dell’URSS, rivelando che il lager non era una stortu­ra, una deviazione, ma l’essenza stessa del siste­ma socialista. E ancora: «Io mi attribuivo un’ab­negazione disinteres­sata. Ed ero in realtà un boia bell’e pronto.
Se fossi capitato alla scuola dell’NKVD ai tempi di Ezov forse sa­r­ei stato perfettamen­te a mio agio con Be­rija... Davanti alla fos­sa nella quale erava­mo lì lì per spingere i nostri avversari, ci fermiamo stupefat­ti: è puro caso se i boia non siamo noi, ma loro».
Forse non fu merito del «pu­ro caso» ma di una predisposi­zione alla spiri­tualità impossi­bile da soffocare nonostante le seduzioni delle «verità» marxiste. Infatti, nel­lo stesso periodo in cui tenta (inutilmente) di appassionar­si al Capitale , Solzenicyn but­ta giù versi che tirano in un’al­tra direzione. Quelli che se­guono sono del novembre 1937, e coincidono con le campagne di reclutamento dei servizi stalinisti: «Cosa c’è là, dove la morte col suo respi­ro/ Tocca il cuore mio/ Là... oltre l’ultimo distacco?.../Co­sa c’è là, dove non c’è nien­te? ».
Gli uomini sono sem­pre un po’ più complicati di quello che sembrano e Solze­nicyn non sfugge alla regola. Anzi. Per questo sono prezio­s­e tutte le 1442 pagine di Solze­nicyn ( Edizioni San Paolo, eu­ro 84), poderosa biografia scritta da Ljudmila Saraskina, specialista di Dostoevskij, di­rettrice dell’Istituto Statale di Critica d’Arte dell’Accade­mia delle Scienze Russa (ma anche amica e stretta collabo­ratrice di Solzenicyn stesso).
Figlio di un ufficiale del­l’esercito zarista e della giova­ne erede di un patrimonio agricolo, Solzenicyn nasce nel 1918. Si trova subito a ca­vallo di due mondi: quello del­la tradizione e quello della ri­voluzione. Il secondo spazze­rà via il primo: la memoria del padre sarà cancellata e il non­no materno Scerbak, dopo la confisca dei terreni, subirà l’onta del carcere nel 1930. Fin da giovanissimo, sente la vocazione dello scrittore e ha chiaro quale sarà il suo desti­no: scrivere la storia del 1917, raccontare il passaggio dal vecchio al nuovo. Eppure ri­mane un autore inedito fino al 1962, quando la pubblica­zione sulla rivista Novyj Mir
di Una giornata di Ivan Deni­sovic ,
resoconto straziante della vita nel gulag, lo rende nel giro di poche settimane una celebrità sia nella Russia di Chruscev sia nel resto d’Eu­ropa.
Prima di Ivan Denisovic c’è la Seconda guerra mondiale, combattuta anche in prima li­nea; l’arresto per aver insulta­to Stalin nella corrisponden­za con un amico al fronte (N. Vitkevic); il trasferimento alla famigerata Lubjanka; le tortu­re psico-fisiche e la inevitabi­le «confessione»; l’allucinan­te esperienza del lager e del confino (fine pena: febbraio 1953); l’addio definitivo alle menzogne del comunismo in nome della fede; una intensa attività di scrittore «clandesti­no »; la riabilitazione resa pos­sibile dal clima di disgelo se­guito alla morte di Stalin.
Dopo Ivan Denisovic c’è il ri­torno alla semi-clandestinità almeno come autore; il ricor­so al samizdat per far circola­re le opere; il Premio Nobel (1970); un lungo braccio di fer­ro con le autorità, ormai aper­tamente sfidate; l’uscita in Francia di Arcipelago Gulag (1973);il sequestro dell’archi­vio personale; un paio di ag­guati del KGB dai quali si sal­va per miracolo; l’arresto e in­fine l’espulsione dall’Unione sovietica (1974).
L’arrivo in Europa e poi ne­gli Usa di Solzenicyn, inizial­mente trionfale, si trasforme­rà in una sorta di esilio nell’esi­lio. Lo scrittore prenderà alla lettera la libertà di parola of­ferta dall’Occidente. E la uti­lizzerà senza risparmiare criti­che al modello capitalista, spiazzando tutti. La democra­z­ia liberale infatti non gli sem­bra priva del principale vizio del totalitarismo sovietico: il materialismo. (Anche il no­stro mondo editoriale, un tempo vagheggiato, lo delude perché gli sembra composto da «predatori e babbei» dalle «mani prensili» che ignorano la libertà di cui godono senza merito). Dal suo ritiro nel Ver­mont, negli Usa, si levano pa­role spesso etichettate come nazionaliste, teocratiche, rea­zionarie e perfino fasciste. Na­tura e cristianesimo sono i due pilastri da riscoprire per salvare la madre Russia ma l’operazione è complicata dal­la «tribù istruita», l’ intelli­ghentia succube del marxi­smo o del mercato.
Nel 1994 torna in patria pas­sando per Vladivostok: dal­l’estremo Oriente a Mosca, per abbracciare in treno l’inte­ra patria. L’uomo che aveva previsto l’implosione del co­munismo, e che con la forza dirompente della letteratura più di ogni altro aveva contri­buito ad affondarlo, giunge da vincitore in un Paese che ora guarda verso Occidente. Rimane se stesso, come dimo­s­tra questo commento lapida­rio sulla nuova Russia: «La li­bertà è tanta, la verità è po­ca ».