Pierre de Nolac, ItaliaOggi 2/10/2010, 2 ottobre 2010
DI BLOCCATO CI SONO SOLTANTO LE LISTE
«Le liste bloccate produrranno parlamentari capaci di pronunciare solamente signorsì», dicevano i politici contrari all’attuale sistema elettorale. È vero il contrario: i transfughi che hanno cambiato casacca non si contano più, alla faccia della fedeltà al partito.
Montecitorio racconta storie incredibili: sono 74 gli onorevoli che hanno cambiato bandiera. Aggiungendo tre deputati che il salto della quaglia l’hanno fatto due volte in due anni si arriva a quota 77 su 632. I conti li ha fatti la Velina rossa e dai numeri emerge che a rimetterci di più, in termini assoluti, sono stati i due partiti più grandi: il Pdl ha iniziato la legislatura con 275 parlamentari, oggi ne ha 236. Perde onorevoli anche il Pd che partiva da quota 217 e oggi si ritrova a 206. Tra i grandi partiti fa eccezione la Lega che alimenta la sua immagine monolitica contenendo i danni: ha iniziato con 60 e ne ha perso soltanto uno. Cinque defezioni anche nell’Idv di Antonio Di Pietro: 29 deputati nel 2008, 24 nel 2010. Per non parlare dell’Udc. E pure a palazzo Madama la situazione è analoga. Qualche nome dei passeggeri che hanno deciso di cambiare partito? Massimo Calearo e Paola Binetti a Montecitorio, Francesco Rutelli, Riccardo Villari e Achille Serra al Senato. E chi deve fare mea culpa? I segretari dei partiti, che hanno inserito nelle liste personaggi inaffidabili.
Quello che accade nei palazzi del potere (e pure dell’oppisizione) fa ricordare la storia dell’antica Babilonia, dove nessuno conosce le regole della logica preferendo invece il caos quotidiano. Fenomeno bipartisan, l’avventata compilazione delle liste: sia nel Pdl che nel Pd evocano con fastidio le infinite difficoltà legate alla scelta di chi far eleggere nelle aule parlamentari. Commentando, con sincerità, che i responsabili non potevano conoscere personalmente tutti i candidati, così come il loro sincero attaccamento all’ideale del partito: un’implicita ammissione dell’improrogabile necessità di tagliare, senza pietà, il numero dei parlamentari, e in un regime di monocameralismo. I 630 deputati della Camera sono troppi da gestire e tutti concordano che con 400 eletti, indipendentemente dal sistema adottato, la situazione tornerebbe alla normalità. Anche il capogruppo più attento alle esigenze dei cosiddetti peones non riesce a trattenere «quelli che si guardano intorno», secondo la definizione che racconta aulicamente i potenziali transfughi. E si tratta di un vizio antico, che vanta storiche tradizioni pure negli enti locali: quando Achille Lauro mezzo secolo fa perse la sua pattuglia di consiglieri comunali napoletani, che lo abbandonarono per entrare nella Democrazia cristiana, un fondo memorabile di Alberto Giovannini bollò i fuggiaschi definendoli «i puttani», provocando la furibonda reazione delle professioniste del sesso che si sentirono offese, eticamente, per essere state accostate a quei politici. L’immagine di Silvio Berlusconi, Walter Veltroni e Pier Ferdinando Casini è stata fortemente colpita dalle fughe degli eletti: e chi si trova a palazzo Chigi, ieri come oggi, è costretto a distogliere l’attenzione dai temi del governo per assumere un ruolo di tutor nei confronti degli eletti.
Ma il problema va affrontato con decisione: un’aula parlamentare sovraffollata sarà sempre ingovernabile, è inevitabile. E se le liste non vengono compilate con cura, succede il patatrac: già si sa che nel Pd Pier Luigi Bersani non ripeterà i tanti errori di Veltroni, e nel Pdl l’uscita dei finiani permetterà di tornare a garantire l’affidabilità delle candidature. Senza una robusta sforbiciata al numero dei parlamentari, però, i rischi da correre saranno sempre tanti.